Su 36 opere di Johannes Vermeer, il Rijskmuseum di Amsterdam ne ha raccolte 28, andando così a comporre la più grande mostra mai realizzata sul pittore olandese. Dal 10 febbraio al 4 giugno 2023.
Delft, 15 dicembre 1675. Un corteo con 14 portatori accompagna Johannes Vermeer fino alla Oude Kerk (la Chiesa vecchia), dove verrà tumulato. Un funerale sontuoso per un pittore affermato, mercante di opere d’arte, membro della Gilda di San Luca (la corporazione degli artisti e artigiani) e della Milizia cittadina, marito – lui di origine protestante – della cattolica Catharina Bolnes, e padre di 11 figli. Quando muore, a 43 anni, la sua unica eredità sono pochi quadri e molti debiti.
In contrasto con la lussuosa cerimonia (di cui si conoscono i dettagli rivelati da documenti di recente scoperta), dopo poche settimane la vedova sarà costretta a dichiarare bancarotta e a liquidare tutto. L’inventario dei beni presenti in casa, descritto stanza per stanza, è conservato all’Archivio di Stato di Delft. Anche i dipinti vengono venduti. Altri, una ventina, acquistati negli anni da Pieter van Ruijven (1624-1674) con la moglie Maria de Knuijt ed ereditati dalla figlia Magdalena, andranno all’asta nel 1695.
Nel giro di 50 anni nessuno avrebbe ricordato più questo pittore enigmatico, che durante la sua vita aveva dipinto circa 45 quadri, due all’anno. Di questi solo 37 sono giunti sino a noi (uno, rubato al Museo Isabella Stewart Gardner a Boston, è ancora ricercato dall’FBI). Un’esiguità che ha concorso all’oblio, insieme forse ad un altro elemento non trascurabile nel contesto calvinista olandese: il suo legame con i “papisti” di Delft (la suocera Maria Thins, con la quale Johannes e Catharina vivevano, era molto legata ai Gesuiti di base a Delft). Uno studio (Johannes Vermeer. Faith, Light and Reflection) di Gregor J.M. Weber, a capo del dipartimento di Fine and Decorative Arts del museo e co-curatore della retrospettiva insieme a Pieter Roelofs, capo invece dei Dipinti e delle Sculture, indaga questo aspetto della vita dell’artista e l’influenza che la fede cattolica può aver avuto sulla sua produzione.
Vermeer, al Rijskmuseum (fino al 4 giugno) riunisce 28 opere dell’artista. Un’operazione di portata storica con il coinvolgimento di 13 musei e collezioni private da tutto il mondo, che hanno accettato di prestare i loro capolavori. Prima tra tutti la Frick Collection di New York, in chiusura per restauri. “Neppure Vermeer aveva mai visto insieme tante sue opere”, sottolinea Taco Dibbits, Direttore Generale del Rijksmuseum. Ma l’importanza della mostra, la prima che il museo gli dedica, risiede anche nel poderoso catalogo, ricco di saggi sulla sua biografia e sulla tecnica pittorica.
Talentuosi restauratori e scienziati, utilizzando metodologie d’avanguardia, hanno scoperto, sotto la scena dipinta, gli schizzi tratteggiati da Vermeer per delinearla. Solo una traccia, che veniva rielaborata sottraendo via via elementi della scena. Hanno sviscerato le sue pennellate, la sua folgorante sensibilità cromatica e le abili dissolvenze di colore. Mentre studiosi-detective, in primis i due curatori, hanno riletto notizie già note, scovato nuovi documenti, incrociato dati, componendo tessera dopo tessera un mosaico biografico più completo.
L’artista riemerge dal silenzio nell’800, per merito del collezionista e storico dell’arte francese Etienne-Joseph-Théophile Thoré, noto come W. Bürger. La riscoperta innesca meccanismi di caccia all’opera, che il falsario Han van Meegeren (1889-1947) sfrutta abilmente specializzandosi nella riproduzione di quadri di Vermeer (e ingannando persino il gerarca nazista Hermann Göring).
Nell’allestimento, creato dall’architetto e designer francese Jean-Michel Wilmotte richiamando le composizioni di Vermeer, elementi decorativi in velluto verde intenso, melanzana e blu sono la cornice di questa straordinaria parata. Ci si perde davanti alla Veduta di Delft e a La Stradina (individuata nella Delft odierna dopo minuziosi studi d’archivio). Si potrebbe stare ore a studiare i dettagli delle giovani donne intente in attività quotidiane negli eleganti interni delle case del ’600. Non sono ritratti – anche se forse in alcuni dipinti Vermeer usò come modelle le donne di casa – ma allegorie i cui simboli a volte sfuggono, a volte sono lampanti (come nella Ragazza con la bilancia, memento del giudizio universale, o nella Allegoria delle fede cattolica).
Come scriveva André Malraux ne Le voci del silenzio (1952), riferendosi a Vermeer, “i suoi aneddoti non sono aneddoti, le sue atmosfere non sono atmosfere, i suoi sentimenti non sono sentimentalismo”, piuttosto un’astrazione sensibile. I colori sono ancora vividi perché Vermeer li usava puri. Quel particolare blu che lo caratterizzava, ottenuto con polvere di lapislazzuli, non è diverso, secondo lo studioso del colore Michel Pastoureau, da quello degli altri artisti contemporanei. È però più armonioso e vellutato per la finitura particolare e per il lavoro incomparabile sulla luce, resa con zone chiare e scure e l’uso del bianco.
Lo si ritrova negli abiti, insieme ai gialli e ai rossi, che imprimono carattere. Vesti che, come spiega Gregor J.M. Weber, sono lo specchio della moda del tempo nelle classi elevate cattoliche e protestanti. E quante perle. Alcune potrebbero essere veneziane, come forse quella opalescente e luminosa della Ragazza con l’orecchino di perla, considerato il costo esorbitante delle perle naturali. Resta il dubbio se per ottenere la nitidezza quasi fotografica delle sue opere, il maestro abbia mai fatto uso dell’apparecchio ottico definito Camera Obscura, diffuso nel “secolo d’oro”, fervido di scoperte scientifiche, per mettere a fuoco un soggetto.
Dopo la visita al Rijsksmuseum è d’obbligo partire per Delft e calcare le stesse strade del nostro, che qui visse l’intera parabola della sua esistenza. Non prima di visitare la rassegna La Delft di Vermeer al Prinsenhof Museum, dedicata al contesto in cui egli si muoveva. Confrontare però i dipinti dei suoi contemporanei, come i famosi Pieter de Hooch o Carel Fabritius, con le opere di Vermeer evidenzia in modo ancora più accentuato la sua capacità di andare oltre l’apparenza della realtà.