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Intervista a Luis Casanova Sorolla: tra la danza e l’invisibile

Yui Kawaguci, Improvvisazione sperimentale in collaborazione con Baeckerstrasse Berlin 2015, 340 x 220 cm Carta e guazzo con pigmenti naturali. Yui Kawaguci, Improvvisazione sperimentale in collaborazione con Baeckerstrasse Berlin 2015, 340 x 220 cm Carta e guazzo con pigmenti naturali.
Linguaggio dei segni nel balletto, semi-solista Anita Manolova, Vienna State Ballet, Studio 17, Vienna, 2019, Grafite su carta, 60x80cm

M: Partiamo dalle basi: quando hai incontrato la danza?

C: Uhy, la danza? All’asilo, e da lì non l’ho più lasciata. Anche durante la scuola primaria ero fortemente in contatto con il folklore peruviano, frequentavo corsi di balli popolari dove la tradizione era nel ritmo ma anche nei vestiti che indossavamo. Credo sia stata una tappa che ha lasciato un segno molto forte in me, da lì ha avuto inizio il mio essere così affascinato dalla danza.

M: La danza però non è entrata subito nella tua ricerca come artista, giusto?

C: No, è arrivata solo durante l’ultimo anno di Accademia. Prima ero un po’ perso: disegnavo molto, ma non avevo chiaro chi volessi essere come artista.

M: E quando lo hai scoperto?

C: L’ho scoperto perché.. (pensa e ridacchia) L’ho scoperto perché ho avuto la fortuna di portare a Vienna un Maestro Zen e di Tai Chi che avevo conosciuto a Madrid, un grande pensatore, scrittore e filosofo. Mi parlava molto del mondo invisibile e della filosofia Zen, in più in quel periodo frequentavo una ballerina classica e passavo molto tempo con i ballerini, a cui facevo molte domande sul corpo, sulla tensione fisica, sul saltare e cadere, domande che a me sembravano superficiali, ma per loro erano molto intime perché non sono abituati a parlare del loro medium d’espressione. Ad ogni modo, credo che queste due cose hanno fatto sì che stringessi una connessione molto forte con il ballo classico e con i suoi lati più “invisibili”. È successo che una volta dei ballerini hanno fatto pratica a casa mia e io vedendo le linee, tutti quei segni lasciati sul pavimento, ho pensato “ok, qui si nasconde qualcosa”. Ho iniziato a praticare Capoeira su carta con dei pigmenti per vedere cosa poteva succedere, ma in mente avevo già il balletto.

Yui Kawaguci, Improvvisazione sperimentale in collaborazione con Baeckerstrasse Berlin 2015, 340 x 220 cm Carta e guazzo con pigmenti naturali.
Yui Kawaguci, Improvvisazione sperimentale in collaborazione con Baeckerstrasse Berlin 2015, 340 x 220 cm Carta e guazzo con pigmenti naturali.

M: I primi Signapura che hai fatto sono proprio di balletto classico, ma poi è arrivato un momento in cui ti sei aperto ai balli folkloristici di vari paesi. Come sono stati percepiti i balli popolari vicini al balletto? Per me il balletto viennese è paradigma di elitario, al contrario dei balli popolari.

C: Attenzione: per l’élite, ma attraverso il popolo. È indiscutibile che il balletto sia sempre stato destinato all’élite, ma i ballerini provenivano da famiglie umili. Mi sono azzardato a realizzare una Signapura con lo Schwanensee, il Lago dei cigni, giusto dopo essermi diplomato. Ho iniziato a cercare di catturare la coreografia, e credo che dentro di me già ardeva la sensazione di cosa contiene una coreografia, ricordo che ballavo queste figure geometriche che mutavano e cambiavano. Era qualcosa che mi incuriosiva tanto da non saper poi da quale danza popolare iniziare, quale fare. Ad un certo punto sono stato contattato da un’agenzia turistica che mi ha proposto di realizzare una performance in Turchia, volevano che facessi un Valzer viennese e ho accettato a condizione che me ne facessero realizzare anche una con un ballo turco sullo stesso palco. Hanno accettato.

M: Quindi il turco è stato il primo ballo folkloristico. È cambiato qualcosa in te?

C: Molto. La mia percezione è cambiata totalmente, mi si è aperto un mondo completamente nuovo.

WIENER WALZER (3 PAIRS), in collaborazione con il Balletto dell'Opera di Stato di Vienna, Installazione su carta con pigmenti di carbone naturale, 750 x 750 cm, Istanbul 2014
WIENER WALZER (3 PAIRS), in collaborazione con il Balletto dell’Opera di Stato di Vienna, Installazione su carta con pigmenti di carbone naturale, 750 x 750 cm, Istanbul 2014

M: E come sei arrivato alla Capoeira? Nel 2006, quando sei andato in Brasile?

C: Nono, molto prima. È la Capoeira che è arrivata da me, a 13 anni, quando un ragazzo cileno mi si è seduto vicino. Abbiamo iniziato a chiacchierare e mi ha raccontato che praticava Capoeira, io l’avevo appena scoperta per un film e mi aveva incuriosito e da lì ho iniziato a praticare, per una casualità della vita, perché l’unica persona che in quegli anni praticava Capoeira in Perù si è seduta vicino a me.

M: E cos’è per te la Capoeira?

C: (Silenzio) … credo che… (silenzio) … so come esprimerlo cos’è per me, però forse…

M: Non devi rispondere per forza, se non hai parole per spiegarlo. Puoi rispondere semplicemente con la performance di dicembre, quando hai realizzato la prima Signapura con una Capoeira performata da te.

C: È davvero difficile trovare una definizione perché per me la Capoeira è tanto, sono tante cose che sento simultaneamente. Penso che molto del processo creativo di un artista parta da un punto molto intimo, molto personale, da cui si aprono temi e intenzioni. La performance di dicembre era un momento molto intimo per me, per cose che stavano succedendo, e la Capoeira era l’unico modo di esprimermi, con il corpo. Sentivo il bisogno provare a spiegare cosa avevo dentro, è stato una sorta di terapia per me. Sto ancora elaborando ciò che è successo quella sera, perché l’energia che percepivo, nonostante fossi con persone vicine al mondo dell’arte ma estranee alla Capoeira è stato qualcosa che non ho mai provato prima. Un momento di gioia, energia ed euforia condiviso con gli spettatori.. è stato qualcosa fuori dai parametri che conoscevo.

M: Quello che è successo quella sera è stato qualcosa che si avvicina alla magia.

C: Difficile trovare altre parole per descriverlo.

Capoeira improvisation, Dicembre 2022, Vienna

M: Ultima domanda: ti manca la pittura? Sei tornato al figurativo con la serie Undanced realizzata nel 2020. È chiaro che in quel momento non potevi incontrare i ballerini, ma credo non fosse scontato un tuo ritorno alla pittura. Mi chiedo se questi due tue lati ancora coesistano, o se la tua ricerca ormai appartiene solamente all’astratto.

C: Credo che l’astratto sia emerso perché ho deciso di prenderlo per le corna, ho deciso che quello era ciò che volevo fare, è stata una decisione molto chiara. La pittura, che è ciò da cui provengo, è la mia radice. Undanced per me è stato come restituire alla danza ciò che la danza ha dato a me, e l’ho fatto mettendo in mostra un lato altrettanto invisibile, qualcosa che nessuno conosce e di cui bisognerebbe essere più consapevoli: il dolore che i ballerini provano ma non dimostrano, di cui ti parlano solo in confidenza.

Undanced serie, Maria Tolstunova, 130cm x 160cm, Pastelli su carta, 2021
Undanced serie, Maria Tolstunova, 130cm x 160cm, Pastelli su carta, 2021

Luis Casanova Sorolla nasce a Lima, in Perù, nel 1984. Si trasferisce a Vienna nel 2000 dove frequenta l’Accademia di Belle Arti. Tra il 2006 e il 2014 vive e lavora tra Londra, Argentina e il Brasile, attualmente vive tra Vienna e Bahia. Negli anni ha partecipato a svariate esposizioni tra Europa, Africa, Centro e Sud America. Le sue opere sono in collezioni pubbliche e private, tra cui The Harmonie Hotel di Vienna, che omaggia la sua dedizione alla musica, danza e teatro con una grande collezione di lavori di Casanova Sorolla.

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