Alla Nami Gallery di Napoli la prima personale dei giovani Alice Mestriner e Ahad Moslemi, con opere incentrate sulla polvere, medium sempre contemporaneo che fa i conti con la storia dell’arte e dell’umanità
Pulvis es et in pulverem reverteris (Genesi 3, 19). Il memento divino della cacciata dall’Eden appare severo e implacabile, eppure il ritorno alla cenere cela in sé una vocazione processuale vertiginosa. Che tocca l’uomo, la sua (s)composizione organica e tutto ciò che ne consegue in termini esistenziali.
È questo il focus di memoriaplastica, la prima mostra personale di Alice Mestriner (Treviso, 1994) e Ahad Moslemi (Teheran, 1983), a cura di Massimiliano Bastardo.
Il percorso espositivo, allestito alla NAMI Gallery di Napoli e fruibile fino al 16 aprile, mette in luce il reversus ad pulverem come una mutazione non immediata, non scontata. Un ritorno che non ha molto a che vedere con la smaterializzazione e l’annullamento, quanto piuttosto con una concretissima rivelazione epifanica: siamo materia anzitutto, in continua evoluzione, proprio come lo spazio di cui partecipiamo. Anche la polvere dice qualcosa e la reductio non significa sparizione, è solo un passaggio di stato.
Alice e Ahad eleggono la polverizzazione a fenomeno di studio, accumulando detriti sotto calotte vitree, catalogandoli in sequenze-campione, impiattandoli, disponendoli secondo forme inusitate. L’uomo fu polvere e vi ritornerà, ma cosa accade nel mentre? Qual è la piccola grande storia invisibile che il pulviscolo racconta?
Cos’abbia a che fare la polvere con l’arte e con la storia dell’arte è un quesito lecito cui risposero già i fiamminghi quando – contrapponendosi alla tensione verso la lucentezza sacrale e dei quattrocentisti italiani – cominciarono a ferire le proprie tele con oscure e muffe straducole. O realistiche visioni domestiche nelle quali non mancano villiche fémme, scopa alla mano. La polvere è sempre stata in agguato. Così come accade nelle nature morte di Evaristo Baschenis (1617 – 1677). Sui liuti e i chitarroni, le mandole e i violini delle sue tele cresce uno strato di polvere gravido di ditate e di striature.
E nel contemporaneo la polvere non svanisce, resta presente. Man Ray s’impegnò nel registrare gli accumuli pulviscolari del Grande vetro mentre Duchamp vi lavorava. Le impronte tracciate nel polveroso atelier di Giorgio Morandi diventano i soggetti delle fotografie di Luigi Ghirri.
I due giovani artisti di memoriaplastica – incontratisi per la prima volta in Canada dove inizia la loro collaborazione e un percorso di studi tra Londra, Venezia e progetti europei – approdano a Napoli con l’intento di delineare quella che definiscono un’“estetica dell’immortalità” attraverso l’osservazione dello spolverio cosmico. Le loro ricerche confluiranno nel Quaderno d’artista#3, una pubblicazione che s’iscrive nel programma di NAMI Edizioni dedicato ai libri d’artista.
All’algida lucentezza delle aspirapolveri di Jeff Koons, che pure nelle parole dell’artista anelano alla resa di una condizione immortale, ma cristallizzata, si contrappone l’eterna e dinamica presenza pulviscolare svelata da Alice e Ahad.
“Nulla è perduto nella polvere, nulla viene dimenticato, invero viene rimembrato, accumulato, soppesato – spiega il curatore della mostra – ogni granello possiede un’identità mista dove il comune linguaggio fallisce perché differente in ogni luogo”.