L’opera di Josè Angelino incontra quella di Tristano di Robilant nello spazio della galleria romana Alessandra Bonomo, mettendo in dialogo due differenti pratiche scultoree
La doppia personale di Angelino e Robilant da Bonomo segue la scia di “Oblique Magie del Tempo”, mostra a cura della galleria al Museo Archeologico di S. Scolastica di Bari. Se nel museo i due artisti si sono relazionati con manufatti e reperti archeologici, in questo secondo appuntamento lo spazio si dedica totalmente al loro lavoro.
Nelle stanze della galleria in via del Gesù, le opere di Josè Angelino e quelle di Tristano di Robilant si alternano in un rapporto reciproco di diversi elementi. L’uno svela la materia solida della fisica e rende evidente ciò che non sempre è visibile, l’altro cattura la forma fluttuante del vuoto, dell’aria, dell’inafferrabile. Con la sua posizione centrale, è l’opera Sintonie a richiamare subito l’attenzione. Già presentato presso l’Isola Bisentina, questo lavoro di Josè Angelino, fisico di formazione, nasce da una riflessione che prende in causa la Risonanza di Schumann: una frequenza di 7.83 Hz al secondo, estremamente bassa, accomuna ciò che avviene tra superficie terrestre e ionosfera e ciò che risuona in una parte del nostro cervello. Con questa “antenna” che ricorda la forma naturale di un albero, l’artista mette in luce la sintonia tra uomo e pianeta terra.
Con un rimbalzo dal centro al lato della stanza, l’eco terrestre respira nel Cippo Rosa di Tristano di Robilant. La classica stele di pietra che in passato veniva utilizzata per delimitare spazi, segnalare distanze o commemorare si trasforma qui in un’oggetto di vetro dall’aspetto leggero, tutt’altro che pietroso. Essenza di un passaggio, forma ariosa, il cippo di Tristano di Robilant deve il suo aspetto al disegno dell’artista e al vetro soffiato nella fornace di Murano di Andrea Zilio. Così, anche sviluppando più di un lavoro dallo stesso tema, come in questo caso del cippo, l’artista ottiene per ogni pezzo un unicum.
La stessa magia del vetro soffiato, trait d’union tra i due artisti, è cristallizzata anche nelle altre opere di Tristano di Robilant realizzate con la medesima tecnica. Ogni lavoro si fa portavoce di una storia dal passato: Milleseicento si ispira a un dialogo filosofico di Giordano Bruno, la Lumera alla Divina Commedia, la Torre di Babele alla narrazione biblica. Si modella la materia a partire dalla parola: il legame alla letteratura per questo artista è un fattore incisivo. Infatti, sono i versi di Vincenzo Cardarelli quelli che leggiamo sulle ceramiche smaltate a forma di orci: “Mite Follia”, “Le care immagini”, “Canti Ieratici”.
Da una parte la metafora organica del vetro e della ceramica, dall’altra la fragilità poetica dei movimenti nello spazio di particelle cariche elettricamente. Moltiplicata, divisa e disseminata nello spazio l’opera di Josè Angelino ospita le oscillazioni del campo elettromagnetico, tutto matematicamente calcolato. Nelle sue sculture-assemblaggi si osserva il corpo di luce, gas e pietra e le interazioni della materia che l’artista orchestra per svelarci le sue proprietà intrinseche.