Poeta o mago? O piuttosto poeta e mago? Difficile definire la personalità di Enzo Cucchi, protagonista della grande mostra che il Maxxi ha voluto dedicare ad uno degli artisti più talentuosi ed eccentrici dell’ultimo mezzo secolo, costruita dai curatori Luigia Lonardelli e Bartolomeo Pietromarchi come un percorso sinuoso e sorprendente negli articolati spazi della Galleria 4 del museo
La mostra di Cucchi “Il poeta e il mago” non è un’esposizione tradizionale ma un “ritratto d’artista” che riunisce 200 opere, eseguite dagli anni Settanta ad oggi, e non solo. Per entrare in contatto in maniera diretta con il mondo di Cucchi , all’ingresso il visitatore si trova di fronte ad una selezione di libri della sua biblioteca personale- curata da Francesco Longhi- dove classici della letteratura come la Bibbia, la Divina Commedia e le Vite Parallele di Plutarco sono affiancati ad opere di scrittori come Lovecraft, Cortàzar o Cassola e a monografie di artisti come Seurat, Raffaello, Monet o Dalì . Un immaginario composito ed eclettico, che introduce ad un universo di immagini bidimensionali e tridimensionali, realizzate con tecniche diverse (dalla tela alla carta, dal bronzo alla ceramica), in dialogo tra loro secondo un allestimento curato da Claudia Reale in collaborazione con l’artista. Simile al laboratorio dell’Apprendista Stregone, uno degli episodi più celebri del film di Disney Fantasia (1940), la prima sensazione è quella di una situazione dinamica e temporanea, frutto dell’inganno di un prestigiatore, capace di attirare il pubblico nell’abisso visivo di ciò che sembra ma non in realtà non è. Stupore e meraviglia: in questo laboratorio di segni e immagini, lo sguardo viene attirato in mille direzioni da stimoli che uniscono macro e micro, orizzontale e verticale, ordine e disordine-per dirla alla Boetti – fino ad arrivare all’esterno del museo, dove per la prima volta si trova, dietro ad una vetrata, Religione (2013), una scultura in bronzo che ricorda un vascello fantasma.
Grande spazio viene dato al disegno, pratica che accompagna Enzo fin dai suoi esordi, come dimostrano sia i piccoli pastelli su carta gialla del 1979 che A terra d’uomo (1980), un carboncino su carta intelata dove Cucchi dichiara il suo interesse per la cultura contadina marchigiana, rimarcato da altre opere che calano dal soffitto come gonfaloni o stendardi medievali, carichi di simboli arcaici e misteriosi, senza tralasciare l’opera I piedi di Caravaggio (1993). Collocati al centro della sala, i quattro pannelli realizzati in smalto su rete di acciaio (Senza titolo, 2008) rappresentano una sorta di trait d’union ideale tra i disegni e le opere pittoriche, tra le quali spiccano Il Ciclista (1979), La Città incantata (1986) e Senza titolo (Montagna) (1989), realizzato in gomma e ferro, senza però dimenticare un capolavoro come Per ora…basta (2014). Molte le sculture di piccole dimensioni, in bronzo o in ceramica dipinta, quasi una sorta di rêverie frammentata in tante suggestioni arcaiche e surreali, riunite in un compiacimento onirico efficace, ma a tratti eccessivo, anche per questa dimensione barocca.
La mostra spicca il volo con il suggestivo allestimento dell’opera Il re magio (2018), presentata all’interno di una ampia piattaforma simile all’altare di un tempio, insieme ad una serie di sedici formelle rettangolari in bronzo (Senza titolo, 2005) che introducono ad un ambiente più intimo, occupato da una serie di disegni del 2022 a grafite e tempera, vicino ad uno spazio in gradinata, dedicato alla presentazione di alcuni cataloghi, progettati dall’artista in occasione di sue mostre personali. Come coup de théâtre finale, Cucchi ha dipinto a guisa di epigrafe su una gigantesca vetrata queste frasi: La pittura raduna il peso delle cose. Una pittura è una cosa calda. Si vede da lontano che odi la pittura. Mostra e muori. Nel suo andamento undivago e stratificato, la mostra ricorda il genius loci di Roma, definita da Cucchi “una foresta di città”: come nella città eterna anche qui vita e arte si uniscono in uno sfaccettato labirinto di specchi simile alla Biblioteca di Babele descritta da Jorge Luis Borges, grande assente tra i libri presenti al Maxxi. È allo scrittore argentino che si potrebbe dedicare questa esposizione, accompagnata da un denso e interessante catalogo, edito da 5 Continents.