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Il British Museum interrompe la partnership con la multinazionale petrolifera British Petroleum dopo 27 anni

The arts activist group BP or Not BP_ staged a protest at the British Museum last weekend Photo by Ron Fassbender
The arts activist group BP or Not BP_ staged a protest at the British Museum last weekend. Photo by Ron Fassbender
Il 2 giugno, dopo un sodalizio ventennale cominciato nel 1996, il British Museum ha preso le distanze da uno dei suoi maggiori sponsor, il gigante di combustibili fossili British Petroleum (BP), ponendo così fine a uno degli accordi di sponsorizzazione più controversi degli ultimi anni.

Il primo a comunicare la notizia è stato The Guardian il quale, ottenendo le informazioni tramite il canale Freedom of Information (FOI), ha dichiarato che “museum confirmed that no further exhibition or other activities are being sponsored by BP, and there are no other contracts or agreement in effect between the museum and BP.”

L’annuncio è stato immediatamente accolto con entusiasmo da curatori, artisti e attivisti che, ormai da anni, accusano BP di “artwashing”, ovvero il fenomeno con cui le compagnie petrolifere “ripuliscono” l’immagine aziendale attraverso ingenti finanziamenti nel settore culturale, guadagnando la fiducia della comunità internazionale. Tuttavia, con l’aggravarsi della crisi climatica e ambientale, tale strategia ha cominciato a produrre effetti controproducenti provocando un significativo aumento di reazioni negative da parte di diversi membri della società artistica e non solo. 

Organizzazioni come Culture Unstained e BP or Not BP? hanno difatti intensificato le azioni di protesta, occupando in svariate occasioni il cortile del British Museum, il Great Court, con il fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle responsabilità di BP nell’ambiente. Nel febbraio 2020 il BP or Not BP? ha programmato una campagna di massa, “BP Must Fall”, di tre giorni alle porte del museo per chiedere la cessazione della collaborazione. Ancora, nel 2022 il medesimo gruppo si era infiltrato nel museo presentando un’ironica simulazione del sito di Stonehenge occupato da trivelle per l’estrazione petrolifere. Negli ultimi dieci anni sono state registrate circa una quarantina di manifestazioni pubbliche contro la partnership tra BP e le istituzioni culturali britanniche. Sotto la pressione degli attivisti diversi musei hanno rinunciato alla sponsorizzazione della compagnia petrolifera, che ha visto diminuire gradualmente il suo dominio nel settore.

Nell’articolo The Guardian sottolinea che in base al contratto di sponsorizzazione la collaborazione tra il museo e BP sarebbe terminata a febbraio 2023, con la mostra Hieroglyphs: Unlocking Ancient Egypt, l’ultima esposizione di un programma quinquennale (2018-2023) redatto nel 2016. Con questo accordo la compagnia petrolifera rinnovava la partnership con il British Museum e altre tre istituzioni culturali – National Portrait Gallery, Royal Opera House e Royal Shakespeare Company – per un finanziamento di circa 7,5 milioni di sterline. Le recenti rivelazioni degli avvocati di Culture Unstained hanno precisato tuttavia che “alcuni termini” dell’accordo resteranno in vigore fino alla fine dell’anno. Questi “termini” garantirebbero ai “sostenitori” una serie di “benefici” e “privilegi” non specificati, che The Guardian ipotizza riguardino l’uso degli spazi museali per eventi aziendali. 

I primi segni di una possibile interruzione dei rapporti tra il museo e BP avevano cominciato a circolare a dicembre 2022, quando il presidente del British Museum, George Osborne, in occasione della presentazione del piano di rinnovamento “Rosetta Project”, aveva dichiarato che il museo “no longer a destination for climate protest but instead an example of climate solution”. Il progetto di ristrutturazione renderà l’edificio a zero emissione. Una missione dunque in totale contrasto con le azioni di BP. 

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