Un accumulo di altari, devoti a déi protettori dal potere vacillante su vite sfumate. Olimpi, paradisi ed inferni di diversi credo e diversi mondi si fondo nella celebrazione di ogni ritualità. Questa è Napoli. La tensione di tutte queste pulsioni ascetiche si fondono nella magnetica energia che tutto aggrega e, miracolosamente, tiene unito nella città partenopea: è l’arcana forza del mediterraneo, utero della modernità nelle sue sponde, liquido amniotico delle civiltà con le sue acque.
Nel cuore di questa città viene installata due settimane fa una sovradimensionata venere degli stracci, celeberrima opera di Michelangelo Pistoletto, a scala urbana, che ribalta le proporzioni dello spazio urbano. La Venere come simbolo della nuova Napoli, città del riscatto nel vivo di un nuovo rinascimento delle arti e della cultura (mostra al Louvre dedicata a Napoli, riallestimentodelle gallerie cittadine, i trionfi internazionali del teatro San Carlo e il successo turistico e mediatico successivi alla fortuna sportiva di cui la città sta godendo). La presenza di un’opera d’arte tanto vulnerabile incustodita in contesto pubblico è senza dubbio ineditaper Napoli, come giustamente considerato dai numerosi articoli che in queste ore sono state prodotte sull’opera napoletana di Pistoletto, ma direi anche per il contesto europeo. A Parigi le installazioni di ArnaldoPomodoro in occasione di una recente mostra temporanea a scala urbana erano tenacemente presidiate; stessa cosa a Milano per le installazioni superstiti del lontano expo 2015. La scelta, dunque, di arredare con l’arte lo spazio pubblico è un gesto senza precedenti. Alla sua eccezionalità conseguono onori, ma anche rischi e timori che, purtroppo, in questo casosi sono verificati.
La venere, infatti, collocata nel centro di piazza Municipio, grande spazio urbano cinto dal possente profilo di castel Nuovo, dalla prospettivascorciata verso palazzo reale e il teatro san carlo, frontale alla sede del municipio e proiettata verso la stazione marittima ed il golfo dagli antichi lidi, ha preso fuoco poco meno di due giorni fa. La mano colpevole sarebbe quella di un clochard che in pochi minuti è riuscito a rendere cenere la grande installazione.
Ma questo articolo non vuole soffermarsi sulla dinamica dei fatti, tanto meno sull’individuazione di responsabilità. Di certo non ci sentiamo di incolpare un’amministrazione municipale che sente di poter fidarsi della propria comunità cittadina, su cui tanto sta investendo, tanto da affidarle quanto di più prezioso l’uomo abbia: l’arte. Il perseguimento, forse superficiale ma ad ogni modo necessario da tentare, dell’ambizione kantiana per cui “la bellezza educa” ci sembra anzi da onorare.
Ad interessarci è piuttosto l’effetto della Veneresul contestonapoletano.
Iconograficamente il profilo inarrivabile della Venere smuove ogni faglia ideologica su cui la città poggia, ridestando l’atavica tettonica di un eburneo misticismo. Archetipo ultimo, il corpo umano nella definizione della statuaria greca riaccende la scintilla del passato pagano e greco di Neapolis. Già vacillano gli altari barocchi in foglia d’oro. Portatrice di un’eresiamultiforme, la Venere di Pistoletto nella sua effimera sede napoletana rivoluziona i paradigmi estetici della città sommando alla contraddizione iconografica della sacralità, lo svuotamento del simbolo, diventando mero simolacro: una maschera ontologica. Il cumulo di panni la ricolloca nella dimensionetutt’altro che olimpica, a cui sembrava alludere. Quella statuaè forse semplicemente un soprammobile ingigantito, una statuina greca, il ricordo di un’acropoli tascabile e disorientata, messa lì, pronti per esserne disfatti. E così è stato. È la destabilizzante riduzione di un’idea ad oggetto sublimando ogni passo estetico.
Senza dubbio a contribuire alla commozione perla perdita di quest’opera è la brevità della vita di questa installazione, che l’ha sottratta al pieno godimento di cittadini e turisti e alla popolarità mediatica, ora concentrata sulla notizia della sua dissoluzione.
L’Aura di cui parlavaWalterBenjamin, per una volta nell’età della riproducibilitàtecnicadell’arte, si riappropria dell’opera d’arte stessa, ricordandociquantoanche l’arte possa soccombere alla violenza bruta dell’uomo nella bieca forma di un cannibalismo intellettuale, uccidendo la più sublime proiezione dell’uomo, e ci richiama alla dimensione dell’unicità, a cui siamo ormai disabituati. Anche per l’arte, come componente fondamentale della natura umana, l’unica speranza è lasocial catena, ossia la solidarietà tra gli uomini, a cui invitava Leopardi nei suoi versinapoletana della Ginestra. Nel caldo colore di quel tenace fiore vulcanico ribollivail ricordo del magma che bruciò Pompei e le sue veneri. L’uomo per l’uomo, e quindi anche per l’arte, è il paradigma della vita che il poeta individua e che se,bra avverarsi nella solidarietà che la comunità napoletana dimostra a sé stessa, in queste ore di autentico, spontaneo e non scontato sgomento. La venere degli stracci è la anti-Napoli che ridesta Napoli.
Nonostante tutto: una lanterna. Anche nel suo annullarsi, l’arte distoglie le ombre sciogliendosi nella fiamma di una nuova consapevolezza.