Con oltre sessanta opere di artisti italiani realizzate da inizio Novecento a oggi, tutte provenienti da collezioni private, la mostra “Volti. La pittura italiana di ritratto nel XX secolo” guarda alla costante attualità del ritratto, che nell’immortalare un soggetto cristallizza anche il rapporto con il suo presente.
La scelta di reperire le opere che compongono il percorso espositivo – nella quasi totalità dipinti a eccezione di una superficie specchiante di Michelangelo Pistoletto, dei collage di Enrico Bay e Marco Ceroli, della fotografia acquerellata di Luigi Ontani e delle due tecniche miste basate sul disegno di Vanessa Beecroft e Giulio Paolini – in raccolte private dislocate nella provincia italiana, risponde all’intento di sottolineare il loro potenziale come bacino per la ricerca e lo studio della storia dell’arte nazionale e non solo, grazie alla varietà di approcci al collezionismo che esprimono. Ciò ha permesso di portare in mostra opere di artisti che si posizionano in modo vario nell’arte italiana da inizio Novecento a oggi: dai suoi grandi interpreti come – tra gli altri – Felice Casorati, Giorgio De Chirico, Giosetta Fioroni, Achille Funi, Mario Merz, Giulio Paolini, Carol Rama, Alberto Savinio, Mario Sironi, Francesco Vezzoli -, a giovani emergenti e artisti dei decenni passati rimasti di nicchia, che nel loro insieme costituiscono il sostrato dinamico e necessario del panorama artistico nazionale e di cui il percorso espositivo fornisce un vivace spaccato.
La mostra, a cura di Luca Beatrice, ideata da Velasco Vitali e prodotta da ArchiViVitali, visitabile fino al 12 novembre 2023, si sonda in cinque sale collocate in due diverse sedi: una allo Spazio Circolo di Bellano (Lecco) e quattro, sulla sponda opposta del Lago di Como, alla Villa del Balbianello, a Tremezzina (Como).
Il progetto espositivo segna anche la prima volta in cui Villa del Balbianello ospita una mostra: un passo audace per uno dei più visitati beni gestiti dal FAI Fondo Ambiente Italiano, grazie all’unicità della sua storia e al suo incanto architettonico e paesaggistico, celebrato recentemente anche da Hollywood.
Fatta edificare sulle rovine di un monastero francescano dal cardinale Angelo Maria Durini alla fine del Settecento, la villa accoglie, anni dopo, Silvio Pellico, che vi lavora come precettore dei figli di Luigi Porro Lambertenghi, fino a diventare, nel 1974, dopo vari passaggi di proprietà, residenza dell’importante esploratore Guido Monzino, che alla sua morte, nel 1988, la dona al FAI (all’interno della villa è possibile approfondire la storia delle sue 21 spedizioni, tra cui quella del 1971, unica spedizione al mondo ad aver raggiungere il polo nord con slitte trainate da cani e equipaggiamento interamente realizzato dagli eschimesi, e quella del 1971 che lo vede primo italiano a raggiungere la vetta dell’Everest).
Qualche anno più tardi il complesso architettonico viene eletto da registi come John Irvin, George Lucas e Martin Campbell a set cinematografico per scene delle pellicole, rispettivamente, Un mese al lago (1995), Star Wars: Episodio II – L’attacco dei cloni (2002) e Casino Royale (2006), ventunesimo film della serie di cui è protagonista l’agente 007.
In merito a questa nuova apertura Giuliano Galli, responsabile FAI di Villa del Balbianello, ha dichiarato ad ArtsLife: «Siamo molto felici di essere stati coinvolti nel progetto dell’Archivio Vitali e di poter ospitare a Villa del Balbianello, che per la prima volta apre all’arte contemporanea, parte delle opere selezionate per la mostra “Volti”. Un’occasione importante per unire le due sponde del lago e creare reti sul territorio funzionali alla sua valorizzazione e utili per un’accoglienza di alto livello dei numerosi turisti che visitano la zona in questi mesi».
Abbiamo approfondito la genesi, i contenuti della mostra e l’attività di ArchiViVitali con Luca Beatrice e Velasco Vitali nell’intervista qui sotto.
Silvia Conta: Le oltre sessanta opere in mostra, si legge nel comunicato stampa, «testimoniano l’evoluzione del ritratto e riflettono sulla sua importanza storica e attuale». Quali aspetti di questa evoluzione si possono leggere, in estrema sintesi, nel percorso espositivo?
Luca Beatrice: «A livello di cronologico la mostra prende avvio da un periodo storico in cui la fotografia è ormai diffusa e il cinema comincia a diffondersi, quindi la riproducibilità tecnica e meccanica delle immagini cambiano completamente il modo di percepire l’immagine stessa. La pittura, in questo senso, mette in campo una forma di resistenza: i suoi tempi sono più lunghi, le sue modalità sono diverse e quindi continua a manifestarsi un certo interesse verso di lei e il suo modo di trattare il ritratto.
Oggi, inoltre, le immagini sono instagrammate e i nostri visi sono ovunque sui social, rimane quindi interessante continuare a vedere come si muove la pittura in quest’epoca».
Come avete scelto gli artisti e da dove provengono le opere?
LB: «Non ho scelto gli artisti, ma le opere, ho condotto una ricerca nel grande bacino del collezionismo privato, che a mio avvio in Italia è ricchissimo, portando in mostra lavori inediti o poco visti. Con queste premesse ho cominciato a lavorare su opere di fine Ottocento e soprattutto inizio Novecento e attraverso il susseguirsi dei decenni abbiamo preso in esame sostanzialmente tutto il Novecento».
Durante la conferenza stampa Lei ha parlato della provincia italiana come bacino per mostre e ricerca. Può parlarci più ampiamente di questo aspetto?
LB: «A livello di collezionismo l’Italia è un paese con una conformazione del tutto particolare, che secondo me non si ritrova altrove, ovvero in Francia c’è Parigi, in Gran Bretagna c’è Londra e poco altro, negli Stati Uniti c’è New York e un po’ la California, mentre per quanto riguarda il nostro Paese se noi volessimo interrogarci su quale effettivamente sia il centro, come potremmo rispondere? Torino, Milano, Roma, Napoli? Senza contare tutte le varie città di provincia che a mio avviso sono molto interessanti e forniscono – e hanno fornito nei secoli – artisti, musei, collezionisti. Tutto ciò deriva dalla storia del Paese, fatta di municipalità e non di grandi centri. Dal punto di vista dell’arte secondo me non è cambiato nulla, nel senso che non abbiamo più le evidenti operazioni campanilistiche di un tempo, però dobbiamo continuare a considerare che le piccole città e la provincia forniscano idee, movimenti, situazioni e figure che sono di una ricchezza incredibile».
Come è nata l’idea della mostra “Volti. La pittura italiana di ritratto nel XX secolo”? E l’opportunità di coinvolgere sia Spazio Circolo che Villa del Balbianello? Che tipo di realtà pone in rapporto?
Velasco Vitali: «La mostra è nata dal desiderio di esporre e raccontare la densità espressiva della pittura attraverso una pluralità di voci, in connessione tra passato e presente. Il ritratto è un argomento che riguarda tutti ed è stato anche il tema espositivo portante di quest’annata 2023 a Bellano, quindi l’occasione giusta per rievocare uno dei grandi motivi della pittura da sempre. Il paese stesso “c’ha messo la faccia” mettendosi in posa di fronte all’obbiettivo del fotografo Carlo Borlenghi e le sue foto, con i volti degli abitanti, sono state esposti lungo le vie e sulle vetrine dei negozi, un omaggio alla comunità attiva e uno più sommesso che Borlenghi ha voluto tributare a mio padre, suo maestro e autore a sua volta di tanti ritratti dipinti di volti noti anche qui. Bellano continua a rappresentare il luogo ideale per stabilire un sano dialogo con il territorio, una tabula rasa dove il rapporto fra storia e contemporaneità è più che mai attivo, ma soprattutto rappresenta una zona di confine, o meglio, un luogo marginale adatto per poter ripensare a un futuro diverso».
Lei è fondatore di ArchiViVItali e di Spazio Circolo. Come sono nate queste realtà e quale è la loro mission?
VV: «ArchiViVitali, associazione fondata con Sara e Paola (mie sorelle) e altri soci, è nata nel 2017 in concomitanza della mostra di Giancarlo Vitali a Palazzo Reale a Milano (lo avevamo intervistato qui) e la sua attività è proseguita dopo la morte di nostro padre nel 2018 con l’individuazione di una sede di archiviazione e studio della sua opera e un progetto museale che si sta per concretizzare. Altra cosa è lo spazio “ex circolo dei lavoratori”, un luogo centrale e molto caro al paese, che dopo la ristrutturazione cercava una nuova identità. Le mostre nate qui, in questi cinque anni, nascono tutte da un approfondita relazione col territorio e lo scopo di questa ricerca è sempre stato quello di trovare degli elementi a contrasto capaci di stimolare un rinnovamento, da questa riflessione è nata l’idea e la proposta di collaborare con Villa del Balbianello: un dialogo aperto tra due mondi fino ad oggi lontani e divisi, non tanto per geografia, ma per vocazione».
Che rapporto avete instaurato con il FAI? Che ruolo ha in questo evento espositivo che per la prima volta porta l’arte contemporanea negli spazi della Villa del Balbianello?
VV: «Dovrei iniziare da due ringraziamenti e forse neppure basterebbero per dire con quale responsabilità e coinvolgimento Paola Candiani e Daniela Bruno si sono fatte carico del progetto. Mi sembra di poter affermare che il FAI abbia aderito a questo progetto per poter rilanciare un seme di qualità e rinnovamento in termini di beni culturali, se con questo termine ci riferiamo ai luoghi e alle persone che visitano e abitano questi spazi, siano essi naturalistici che architettonici».
Quali sono i progetti per il futuro di ArchiViVItali e di Spazio Circolo?
VV: «Per ora s’è compiuto un cammino di cinque anni che ha portato alla realizzazione di dieci mostre, un workshop di cinema documentario, una rassegna d’incontri con grandi scrittori, un museo per Giancarlo Vitali e un’altra sede espositiva in paese a chiudere un ipotetico anello di percorso culturale ed espositivo in paese, una relazione importante con un’istituzione nazionale come il FAI e, per questa mostra, s’è aggiunto il Patrocinio del Ministero della Cultura. Ora ci sono tutti gli elementi per cominciare e annunciare nuovi progetti».