La Fahey/Klein Gallery di Los Angeles propone una mostra sul poeta Allen Ginsberg, interessante per almeno due ragioni: espone alcune fotografie scattate dallo scrittore e ha chiesto all’intelligenza artificiale di darne un commento.
Allen Ginsberg acquistò la sua prima macchina fotografica, una Kodak Retina, nel 1953 e iniziò ad usarla per immortalare i amici, amanti e i momenti condivisi. Immagini scattate d’istinto, il cui valore è impresso nei soggetti ritratti più che nella tecnica utilizzata per realizzarle. Nelle trame in bianco e nero sono impressi i corpi e gli spiriti di grandi autori vicini a Ginsberg, come William S. Burroughs e Jack Kerouac.
La mostra, Muses & Self: Photographs by Allen Ginsberg, raccoglie infatti i ritratti dei suoi compagni del movimento Beat, tra cui il già citato Kerouac, ma anche Peter Orlovsky, Neal Cassady e Gregory Corso, catturati in istanti di candida spontaneità. Ma testimonia anche i graduali miglioramenti di Ginsberg come fotografo, che mano a mano acquisisce dimestichezza con il mezzo e cerca di affinare il gesto. Un percorso lungo, parallelo alla scrittura, tanto che solo nel 1983, a trent’anni dall’acquisto della Kodak, l’autore compra una nuova macchina fotografica e si impegna in quello che definì un “reportage continuo”.
Iniziò così un decennio particolarmente prolifico, che lo portò da realizzare più scatti di quanti ne avesse realizzati in precedenza. Anche perché negli anni Ottanta la cerchia di amicizie – composta per lo più da artisti e letterati – si allarga fino a coinvolgere alcune delle personalità più interessanti dell’epoca. Come si può vedere in alcune fotografie esposte, come una foto di gruppo alla Small Press Book Fair del 1990, un selfie scattato durante un viaggio in ascensore con Arthur Miller, una scena in cui Keith Haring dipinge con un gesso sul marciapiede e un tenero ritratto di Patti Smith e Burroughs.
Alcune di queste fotografie sono impreziosite da didascalie scritte a mano, una sorta di legame con la letteratura, la prima delle passioni artistiche di Ginsberg, il quale diceva che “in un certo senso, scrivere poesie e scattare foto sono state due attività distinte ma strettamente correlate“. La Fahey/Klein Gallery, per completare tale correlazione, ha inoltre chiesto a un’intelligenza artificiale di scrivere le didascalie per le immagini che ne sono prive. Non casualmente, ma secondo il bagaglio di informazioni fornitagli da poesie, prose, didascalie e più di 400 fotografie dell’autore.
Le didascalie, scaturite dagli insegnamenti impartire all’A.I. da parte di theVERSEverse, sono state sistemate per adattarle al meglio allo stile di Ginsberg ed ora appaiono come delle traduzione letterarie quasi perfette dell’atmosfera che l’autore ricercava con le fotografie. Risonanze tra medium che possiamo apprezzare, per esempio, nel confronto tra l’immagine , Calcutta Self-Portrait with Peter Orlovsky, 1961 e il suo commento “Chi può catturare / l’essenza fugace / di un tale momento, / frammenti di l’infinito?”.
L’operazione, che inizialmente può apparire come artificiosa, moltiplica invece le possibilità espressive delle opere, colmando almeno parzialmente il nostro desiderio di continuare a fruire nel modo più completo possibile del lavoro di Ginsberg. Una soluzione che non può di certo sostituire l’autore, ma che può contribuire a mantenerne vivo il ricordo.