Givenchy, in libreria la prima retrospettiva completa delle collezioni donna della storica maison francese, dagli esordi a oggi
1954, Audrey Hepburn vince l’Oscar come migliore attrice protagonista per la sua interpretazione in Vacanze Romane. Alla cerimonia di premiazione si presenta con un abito bianco a fiori, smanicato, stretto in vita da una cintura sottile. È una creazione di Hubert de Givenchy, che solo pochi anni prima aveva debuttato con la prima collezione a suo nome. L’attrice e il couturier si erano conosciuti l’anno prima, lei spedita da Billy Wilder a Parigi per cercare i costumi per Sabrina. In quel periodo Vacanze Romane, il primo grande successo di Audrey Hepburn, era uscito da poco, e quando a Hubert annunciano che si sarebbe presentata Miss Hepburn lui pensa subito a Katharine, in quegli anni una stella di prima grandezza. «Avevo capito di dover incontrare Katharine Hepburn. Mi ritrovai invece dinanzi una ragazzina vestita da gondoliere: pantalone Capri, maglietta a righe orizzontali e cappello a tesa larga in paglia. La trovavo tra il buffo e l’assurdo, ma mi conquistò e dovetti cedere». Givenchy all’inizio cerca di liberarsi di quell’attrice semisconosciuta, dall’aspetto rustico e poco signorile, ma lei insiste, sono le sue creazioni che vuole per il personaggio di Sabrina. E lui cede. Nasce così un’amicizia inossidabile, Audrey ritira il suo primo Oscar vestita Givenchy, con i look sfoggiati in Sabrina e Cenerentola a Parigi diventa un’icona di stile, fino alla definitiva consacrazione col tubino nero di Colazione da Tiffany: «Gli abiti di Givenchy sono gli unici con i quali mi sento me stessa», ha spiegato lei.
È uscito da poco in libreria un volume che raccoglie tutte le collezioni di Givenchy, con oltre 1200 fotografie, per ripercorrere l’intera storia di questa storica maison (edizioni L’ippocampo): sfogliarlo, stagione dopo stagione, è un viaggio incredibile attraverso la storia del costume.
Parigi 1951, Hubert de Givenchy ha 24 anni, ha già lavorato per Jacques Fath, Robert Piguet, Lucien Lelong e, soprattutto, Elsa Schiaparelli che lo assume come direttore della boutique al piano terra della sua maison. Qui Givenchy crea modelli comodi e versatili con le rimanenze dei tessuti delle collezioni procedenti, capi che anticipano i “séparables” che da lì a poco daranno allo stilista un immediato successo, facendolo conoscere al mondo della moda come enfant terrible. La Schiaparelli dice di voler far di lui il suo erede, ma la maison non naviga più in buone acque da un po’, Dior e Cristóbal Balenciaga sono gli stilisti più innovativi e segnano un nuovo corso nel mondo della moda imponendo un nuovo stile; nel ’54 lei dichiara banca rotta. Givenchy decide quindi di mettersi in proprio e nel 1952 presenta la sua prima collezione haute couture che prende spunto dalle dinamiche e dallo spirito del prêt-à-porter, tutti i look della collezione sono formati da almeno due capi, tutti intercambiabili e abbinabili tra loro, anche per i vestiti da sera. Trionfano le bluse, il modello Bettina spopola: 100.000 falsi prodotti nella sola Parigi nei quattro mesi dopo la sfilata. Con Givenchy anche l’alta moda diventa comoda, moderna, giovane.
Collezione dopo collezione Givenchy torna però al lusso e alla ricercatezza tipici dell’haute couture, allontanandosi – momentaneamente dalle suggestioni prêt-à-porter. Seguono anni di sinergia con Balenciaga, tanto che la stampa ribattezzerà la coppia “Givenchiaga”; per anni i due smettono di presentare le loro collezioni in anteprima ai giornalisti, per cercare di contenere il fenomeno legato al mercato dei falsi. Intanto, Audrey Hepburn sceglie il modello “Inès de Castro” – un sontuoso abito da sera in organdi bianco ricamato con motivi floreali neri – da indossare in Sabrina di Billy Wilder, che esce negli Stati Uniti nel settembre 1954 (la produzione farà alcune modifiche ai vestiti per non concedere i credits alla maison, ma questa è un’altra storia). Nelle collezioni delle stagioni successive “In omaggio alla bellezza di Audrey Hepburn, divenuta ormai una star di prima grandezza, Hubert de Givenchy realizza silhouette affusolate e sinuose, e battezza “Sabrina” uno dei modelli della collezione, strizzando l’occhio al fortunato film di Billy wilder del 1954. Gli abiti, morbidi ed essenziali, sono arricchiti da dettagli sorprendenti: abbottonature oblique, le patte delle tasche di una giacca riprese sul fondo di una gonna… I colori vivaci di molti modelli – il giallo, il blu, il lampone – pare siano stati ispirati da un recente viaggio in Spagna. La collezione stupisce inoltre per l’ampio uso di un nuovo materiale sintetico, l’orlon, fibra acrilica creata all’inizio del decennio dalla DuPont”.
Nel frattempo, Givenchy è tra i primi a intuire la crescente importanza dei loghi: “La moda sta diventando sempre più popolare sulla scena internazionale, la competizione fra i marchi sempre più accesa, per cui le varie maison cercano di distinguersi ricorrendo a un simbolo riconoscibile a colpo d’occhio. Hubert de Givenchy si rivolge allora allo stilista Pierre Dinand, incontrato da Schiaparelli. Per creare il logo «4G», Dinand si ispira al comune ricordo dello zio di Elsa, Ernesto Schiaparelli, lo stimato egittologo scopritore nel 1904 di una delle più belle tombe della Valle dei Re, quella di Nefertari. Studiando le traslitterazioni semplificate dei geroglifici, Dinand nota che la H di Hubert ha la forma di un motivo serpeggiante, simile alla G di Givenchy. Moltiplicando per quattro la lettera e specchiandola agli angoli di un quadrato, simbolo di stabilità, crea un logo destinato a divenire uno dei più iconici al mondo e a campeggiare su tutte le fragranze di successo della maison, fra cui L’Interdit (1957) e Gentleman (1975)”. Verso la fine degli anni 60 lo stilista torna all’abbigliamento sportivo e leggero, nel 1968 lancia la linea prêt-à-porter “Givenchy Nouvelle Boutique” nel 1969 quella di abbigliamento maschile “Givenchy Gentlemen”.
Negli anni ’70 per le nuove collezioni il couturier francese prende ispirazione da una delle sue più grandi passioni, la pittura: per la Primavera/estate 1971 omaggia Rothko, una collezione che viene accolta con grande favore, dopo alcune stagioni definite «troppo classiche»: spazio agli effetti ottici con preziosi inserti neri o blu notte: “Con le grandi mantelle in organza che drappeggia su questi capi, poi, il couturier torna a giocare con le trasparenze e le sovrapposizioni. Il medesimo principio viene applicato a un secondo gruppo di abiti stampati con ampie fasce orizzontali a contrasto, in omaggio all’artista Mark Rothko, scomparso l’anno precedente. Di li a poco, grazie all’intermediazione della sua amica e cliente Rachel «Bunny» Mellon, Givenchy acquisterà il quadro Untitled (Red-Brown, Black, Green, Red) del 1962, emblematico del movimento pittorico Color Field Painting”. Segue, per l’Autunno/inverno 1971-1972 l’omaggio in passeralla a Braque e Miró.
Si avvicendano anni che vedono grandi trasformazioni nel mondo della moda, ma Givenchy prosegue per la sua strada, con stampati innovativi a trompe l’oeil, lavorazioni artigianali di altissima qualità, modelli dalle linee ricercate e moderne, con uno sguardo al Settecento, alla Belle Époque, alla Cina e all’Africa. Hubert de Givenchy si ferma solo nel 1995, dopo quarantatré anni di attività ininterrotta. Già dal 1998 il marchio è passato alla proprietà del gruppo LVMH che anno dopo anno ha fagocitato tutti i brand più importanti di alta moda. Per il suo addio alle passerelle Hubert propone silhouette che si ispirano, ancora una volta, alla figura di Audrey Hepburn e a quella di Rita Hayworth, icone di stile e fascino imperituri che hanno superano mode e correnti. Nel 1998 è John Galliano a prendere le redini della direzione creativa di Givenchy, e lo fa con collezioni che omaggiano la storia della maison e del suo fondatore, ma con uno sguardo più opulento e teatrale. Per la collezione Autunno/inverno 1996-1997 torna nuovamente il fantasma di Audrey, sempre lei: la sfilata si apre con la voce dell’attrice (“the rain in spain stays mainly in the plain”, da My Fair Lady). A lui faranno seguito Alexander McQueen, Julien Macdonald, Riccardo Tisci, Clare Waight Keller e, l’attuale, Matthew M. Williams.
Come spiega Alexandre Samson nell’introduzione al volume: “Questo libro intende offrire ai lettori l’occasione di ripercorrere tutte le tappe creative della maison, dal fondatore ai suoi più recenti successori, e di conoscerne i debutti, i trionfi, i dubbi e le innovazioni. Il cuore di Givenchy ha sempre battuto al ritmo dei tempi, in un raro equilibrio fra proposte commerciali e presentazioni spettacolari. E attraversando 179 collezioni si avrà modo di ammirare una galleria sfolgorante di lusso e creatività, oltre a rivivere le reazioni dell’epoca e i loro riverberi sul nostro presente”.