L’erotismo concettuale espresso con l’autoritratto fotografico dove il corpo diviene la tela su cui operare è il tramite attraverso cui Iness Rychlik, fotografa di origine polacca che ora vive a Londra, racconta di sé e della e dell’esperienza della malattia, vissuta in prima persona. Infatti l’artista soffre di una rara forma di ipersensibilità cutanea al tatto e alla temperatura che è stata fonte di disagio fino a quando non ha cominciato ad esplorarsi e creare un mondo parallelo, surreale, oscuro e seducente. Nei suoi lavori che hanno come sfondo ambientazioni e oggetti che richiamano l’Inghilterra Vittoriana, l’artista esplora i temi del dolore, della solitudine, della vulnerabilità ma in modo sottile ed elegante. Usando il proprio corpo, Iness Rychlik imprime sulla cute, come fossero ricami, simboli che richiamano l’identità femminile, da spille a fiori fino a costumi e oggetti d’epoca. Ogni autoritratto è frutto di un procedimento complesso in cui l’artista disegna o preme oggetti sulla pelle, attende almeno una decina di minuti perché diventino visibili e scatta. In uno spazio intimo e sacro, Iness Richlyk combina negli scatti fragilità e forza, trasportando lo spettatore in una dimensione di mistero e desiderio.
Con l’opera Beyond Repair l’artista ha vinto il secondo posto al INPRNT photography award del Beautiful Bizarre Art Prize 2023. Ecco l’intervista che ha rilasciato per i lettori di Artslife.
Hai fatto della tua particolare condizione un mezzo per creare quelle che vengono definite “narrazioni” del corpo, come è avvenuto il passaggio in cui le cicatrici diventano lievi segni poetici sulla pelle?
Il passaggio dal considerare la mia condizione cutanea come una fonte di insicurezza all’abbracciarla come un potente strumento di narrazione è stato graduale, senza un momento “Eureka!” specifico. Durante l’adolescenza, i commenti non richiesti sulla mia pelle hanno influito in modo significativo sulla mia autostima. Tuttavia, ricordo un piccolo tentativo di prendere il controllo disegnando un cuore sulla mia pancia durante una noiosa lezione al liceo. Ho iniziato a fare esperimenti artistici con tutto il cuore in età adulta, intorno al 2017, e da allora la mia pratica è diventata sempre più introspettiva. È stata un’esperienza liberatoria.
Sei un’artista che interpreta l’autoritratto, i tuoi scatti si rifanno anche alla storia dell’arte?
Appassionata di arte, traggo spesso ispirazione dalla sua storia: dalle luci e dalle pose classiche, passando per lo spirito ribelle dei Preraffaelliti, fino alle esplorazioni del perturbante in Frida Kahlo o Dorothea Tanning. Tuttavia, ho anche iniziato a esplorare il crescente impatto dell’IA in opere come “Art in the Age of Digital Puritanism” o “The Awakening”. Pur essendo inseriti in un contesto storico, i miei autoritratti riflettono principalmente la mia identità, le mie esperienze e le mie osservazioni sul mondo contemporaneo.
Come studi le composizioni? La luce, le pose in relazione ai temi che affronti? I titoli dati alle opere rimandano a una dimensione di fragilità, vulnerabilità ma allo stesso tempo di cura, rinascita…
Oltre a studiare la storia dell’arte, eseguo numerosi test fotografici in cui sperimento vari set-up di illuminazione, pose e temi nel mio lavoro. Attraverso tentativi ed errori meticolosi, affino la mia comprensione della composizione, perseverando nelle frustrazioni insite nel processo artistico, soprattutto quando si lavora con una tela viva. Sono guidata dal mio forte desiderio di trasmettere la complessità dell’esperienza umana attraverso la narrazione visiva.
Nelle tue immagini permane sempre una parte oscura, sensuale e intrigante,,,
Lo spero proprio. Il mio obiettivo è trasmettere un senso di intimità e di profondità emotiva, lasciando al contempo spazio all’immaginazione, sia visivamente che metaforicamente.
Tratti i temi dell’universo femminile, dalle mestruazioni alla grave patologia dell’endometriosi, sempre con un linguaggio ambiguo, crudo ma anche poetico ed evocativo, cosa pensi di questa duplicità nel tuo linguaggio?
Penso che non si escludano a vicenda. L’espressione è al centro della mia arte e credo che questa dualità arricchisca l’aspetto narrativo del mio lavoro. Mi permette di evocare emozioni viscerali, lasciando al contempo spazio alla riflessione e alla contemplazione.