Al Museum Susch, istituzione privata dell’Engadina svizzera, è in corso la «prima grande retrospettiva dell’artista estone Anu Põder (1947-2013) al di fuori del suo Paese di origine. La mostra è curata da Cecilia Alemani e riunisce oltre 40 opere create tra il 1978 e il 2012 e raramente esposte nei circuiti internazionali».
“Anu Põder: Space for My Body” – aperta fino al 30 giugno 2024 – affonda le proprie radici nella grande mostra “Il latte dei sogni”, allestita da Alemani in occasione della sua curatela alla Biennale di Venezia del 2022, in cui incluse la ricerca dell’artista estone.
Il titolo del percorso espositivo in Svizzera – “Space for My Body” – riprende quello di una scultura di Anu Põder presente in mostra.
Il Muzeum Susch, fondato dalla collezionista Grazyna Kulczyk. è l’istituzione ideale per questa mostre: è, infatti, «dedicato alla revisione del canone storico-artistico matrilineare. È ospitato in un monastero e in una birreria del XII secolo, ristrutturati con sensibilità e situati sull’antico percorso di pellegrinaggio di Santiago de Compostela.
Il museo presenta due mostre temporanee all’anno, invitando curatori internazionali ad attingere alla collezione di Grazyna Kulczyk come punto di partenza e riunendo opere provenienti da musei pubblici e privati di tutto il mondo per mostrare le opere omesse, trascurate o lette in modo non corretto. Il Muzeum Susch ha anche un programma attivo di residenze e di ricerca dedicato a promuovere la ricerca interdisciplinare che comprende coreografia, arte, musica e letteratura», ha spiegato il museo stesso.
La ricerca di Anu Põder
«Põder è una delle voci più rivelatrici dell’Estonia degli ultimi cinquant’anni. Profondamente personali, i suoi lavori si distinguono fin dagli anni Settanta per una concezione completamente originale e una realizzazione unica e personale. Quelle di Põder sono sculture altamente evocative che esplorano il corpo umano, mettendo in luce la fragilità, transitorietà e caducità della vita», ha ricordato l’istituzione .
«Nel corso della sua carriera, Põder compone delicati assemblaggi con materiali inconsueti quali tessuti, cera, iuta, sapone, plastica, grasso e linoleum. Diversamente da colleghi che ritraggono gli ideali della società sovietica in materiali tradizionali come la pietra o il bronzo, Põder costruisce un proprio vocabolario visivo intimo e altamente vulnerabile, fatto di semplici elementi quotidiani.
Attiva a cavallo tra due importanti fasi storiche – l’occupazione sovietica dell’Estonia a partire dal 1940 e l’indipendenza recuperata nel 1991 – l’artista incarna quel senso di incertezza che il popolo estone prova riguardo alla propria identità. Põder è una tra le poche artiste in un mondo declinato decisamente al maschile e si concentra sull’identità femminile al pari di altre colleghe del panorama internazionale come Magdalena Abakanowicz, Louise Bourgeois, Ana Mendieta e Alina Szapocznikow».
Il percorso espositivo
«Articolata in ordine cronologico, la mostra si incentra su tre grandi aspetti dell’opera dell’artista estone. L’esposizione inizia con un allestimento di bambole, manichini e busti, personaggi principali dell’immaginario põderiano. Un ampio gruppo di lavori che vanno dalla fine degli anni Settanta all’inizio degli anni Novanta individua nel corpo femminile il fulcro della ricerca artistica. Dilatando i confini tradizionali del figurativo, Põder compone potenti assemblaggi di corpi amputati e decadenti, fatti di materiali inusuali come plastica, iuta, lana e resine epossidiche. Si tratta di opere sensuali ed erotiche ma al contempo violente: busti femminili frammentati e sezionati che si intersecano con appendici amorfe», ha spiegato il museo.
«La seconda parte della mostra si focalizza sul ruolo di vestiti e indumenti come controfigure del corpo. Negli anni Novanta Põder realizza un corpus di lavori profondamente suggestivi e poetici in cui utilizza cappotti, giacche e borse alterate, tagliate e sezionate. La forma del corpo non è più presente e viene sostituita dalla sua immagine fantasma evocata dagli indumenti, generando uno spazio negativo che allude alla figura senza mai ritrarla completamente. Nella sezione finale della mostra sono esposti gli ultimi lavori di Põder. Incentrati sul rapporto con i sensi, con il nutrimento e il desiderio, queste opere utilizzano o ricordano come proprio materiale il cibo, abbracciando la durata effimera di elementi che si deteriorano, cambiano e svaniscono».