Fondazione Prada ospita «Miranda July: New Society», la prima retrospettiva museale dedicata all’opera dell’artista multidisciplinare americana, dal 7 marzo al 14 ottobre 2024 presso l’Osservatorio in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano. L’esposizione, curata da Mia Locks, ripercorre la carriera trentennale dell’artista visiva, regista e scrittrice (Barre, 1974), dagli albori punk degli anni Novanta a oggi. Cortometraggi, performance e installazioni creano un quadro intricato e al contempo pregnante di una volontà sovversiva, sia in ottica femminista che populista. Come afferma la Locks ,«Il lavoro di July prende in esame una serie di relazioni umane e forme di intimità. Mettendo in discussione le gerarchie consolidate e le dinamiche di potere convenzionali, l’artista assume una posizione dichiaratamente femminista che attraversa i diversi media che ha utilizzato nella sua carriera».
Questa narrazione transmediale approda al Cinema Godard nel mese di marzo con la proiezione della filmografia completa dell’artista composta di tre lungometraggi «Me and You and Everyone We Know» (2005), «The Future» (2011) e il suo film più recente «Kajillionaire» (2020); i cortometraggi e opere inedite. Il primo piano della mostra(il quinto dell’Osservatorio) presenta la documentazione delle prime performance di July nei locali punk fino a quelle più note, come «Love Diamond» (1998-2000), «The Swan Tool» (2000-2003), «Things We Don’t Understand and Definitely Are Not Going to Talk About» (2006- 2007) e «New Society»(2015), accanto a costumi, oggetti di scena e documenti d’archivio posizionati in teche di vetro. Al secondo piano (il sesto della struttura) è esposto «F.A.M.I.L.Y.», un’installazione video multicanale che comprende performance realizzate su Instagram in collaborazione con sette estranei, insieme ad altri due progetti collaborativi – «I’m the President, Baby» (2018) e «Services» (2020), nelle quali incontri ordinari di natura commerciale si evolvono in ritratti intimi. La mostra presenta inoltre una reiterazione di «Learning to Love You More» (2000-2007), progetto online realizzato in collaborazione con Harrell Fletcher, che include settanta «compiti» assegnati al pubblico e caricati sul sito web.
In occasione di questa mostra, July ha collaborato con Miriam Goi, una giovane donna milanese, la prima a rispondere al suo appello consistente nel realizzare una mostra con le opere d’arte trovate in casa dei genitori. Il lavoro itinerante e incatalogabile di Miranda sarà anche al centro di una mostra organizzata a Tokyo da Prada con il supporto di Fondazione Prada. Per l’occasione Fondazione Prada presenta una nuova pubblicazione illustrata della serie Quaderni, che include una conversazione tra Miranda July e Cindy Sherman e un saggio della curatrice Mia Locks. Uscendo dall’ascensore ci si imbatte immediatamente in un dittico «A poster to be ripped» (2024), composto da un poster realizzato da July per Printed Matter, libreria d’arte no profit di New York, e da un video che ne documenta la realizzazione: due esecutori si scagliano con veemenza contro il supporto, come da istruzioni. Merita una parentesi anche «Love Diamond» (1998), prima performance di lunga durata che si incontra al primo piano della mostra. Concepita dall’artista come film dal vivo, l’opera si configura come racconto dualistico, che vede da una parte le dinamiche tra una madre e sua figlia, dall’altra una donna intrappolata nell’orbita attorno a Titano, figura ambigua e potente. July interpreta tutti e tre i personaggi e al contempo le proiezioni digitali, come un essere onnipresente. Una polarità binaria che ritroveremo spesso nell’arco della sua attività, anche in «The Amateurist» (1997), anch’essa presente in mostra. Ma è in «Things We Don’t Understand and Definitely Are Not Going to Talk About» che July ingloba il pubblico, coinvolgendolo per la prima volta con una call to action. Lo fa portando sulla scena una storia intima e al contempo comune, quella di un amore che finisce, mentre un altro fiorisce.
Quell’inspiegabile fine, talvolta irrazionale, dichiarata in virtù di un impeto passionale. E poi con l’opera multimediale «The Swan Tool» (2000) quel disagio e quella vergogna sfociano in una scelta esistenzialistica: vivere o morire? Un bivio davanti al quale una donna (da lei interpretata)scava una buca in giardino e si seppellisce per evitare la scelta. Sino ad arrivare al fondo della sala, dove troviamo l’opera che dà il nome all’intero progetto espositivo, ovvero «New Society» (2015). Un esperimento sociale dal vivo durante il quale July chiede al suo pubblico di restare in teatro per il resto della loro vita e formare una nuova società. Si intrecciano una serie di esperienze emotive e personali, che diventano prima collettive e poi universali attraverso la sua arte. Ad ogni replica July seleziona una persona per disegnare la bandiera (in mostra ne sono esposte diverse), mentre chi ha una formazione medica crea delle fasce per il braccio con il tessuto dalla camicia di July. La mostra include otto camicie verdi ritagliate durante otto repliche alla Brooklyn Academy of Music di Brooklyn e i pantaloni neri utilizzati da July, invecchiati durante la performance. Ma la vera avanguardia è l’installazione artistica nella toilette. «The Crowd» (2004) è una registrazione audio nella quale July urla alla folla come se fosse a un concerto rock, ponendo domande alle quali il pubblico risponde ruggendo. Salendo al piano superiore è impattante il collage fotografico «Two Things Are Sure» (2024) che denota l’importanza del fil rouge relazionale sotteso alla sua opera. July stabilisce legami tra fotografie trovate casualmente, mettendole in connessione attraverso dei bollini adesivi arancioni. Ma è «F.A.M.I.L.Y.», acronimo di Falling Apart Meanwhile I Love You (2024), il progetto più condiviso, aperto e in itinere. L’ultimo lavoro di July, iniziato nel 2020 e realizzato in collaborazione con sette estranei su Instagram. I partecipanti hanno inviato video nei quali fingono la presenza dell’artista accanto a loro, interagendovi. July vi si integra in post produzione attraverso uno strumento di editing video. Il risultato, dal surrealismo di un Dalì, indaga concetti di intimità e confine attraverso un linguaggio fisico inedito. I monitor riportano un codice QR da cui trarre informazioni per partecipare alla selezione per nuovi video. Al termine del progetto, tutti e nove i componenti saranno in mostra e l’opera sarà presentata nella sua interezza per la prima volta. Unico nel suo genere all’interno della mostra è senz’altro «I’m the President, Baby» il ritratto di Oumarou Idrissa, un autista di Uber che Miranda ha conosciuto a Los Angeles. Quattro tende sono collegate all’iPhone e al letto di Idrissa per mezzo della tecnologia “smart home”. L’utilizzo delle app utilizzate da Idrissa e le sue notti insonni a Los Angeles influiscono sull’apertura e la chiusura delle tende. La performance cattura l’impatto psicologico delle migrazioni e dell’economia del lavoro occasionale. L’opera, commissionata per la mostra «The Future Starts Here» al Victoria and Albert Museum di Londra, riproduceva i dati in tempo reale, mentre oggi mostra l’attività delle notti di Idrissa nel 2018.