La Fondazione Trussardi a Milano, nel 2022, aveva realizzato il progetto dedicato a Nari Ward alla piscina Guido Romano in Città Studi, ma è imperdibile la retrospettiva dell’artista “Ground Break”, incentrata sul tempo e le performances, che abbraccia tre decenni della sua attività in dialogo con gli spazi di Pirelli HangarBicocca, a cura di Roberta Tenconi con Lucia Aspesi, include un corpus di opere sensazionali, da attraversare.
L’artista di origine giamaicano, che il curatore Okwui Enwezor aveva incluso nella sua memorabile Documenta11 del 2002, “trasformando completamente la scala e l’ambizione dell’arte installativa” è tra i più importanti artisti americani contemporanei, noto per opere realizzate con materiali quotidiani di recupero trovati in luoghi improbabili, che narrano spazio e tempo. Nelle sue installazioni gli oggetti assumono diversi significati e raccontano storie della condizione umana di chi vive ai margini della società globale, distanziandosi dalle rappresentazioni stereotipate di ciò che viene considerato “esotico”.
Nel suo lavoro sono rintracciabili diverse pratiche tradizionali della comunità diasporica africana e raccoglie l’eredità degli artisti afroamericani della “West Coast” della metà degli anni Sessanta, fra cui John Outterbrige (1933-2020), riconoscibile per sculture di oggetti assemblati attraverso i quali ha esplorato questioni legate alla famiglia, comunità e ambiente. Il senso di appartenenza e il concetto di “casa” intesa non come luogo geografico bensì come spazio familiare e del sentimento, è frequente in diverse opere di Ward che indaga gli effetti della gentrificazione di Harlem, quartiere a maggioranza afroamericana e latina di New York, dove c’è il suo studio ricavato in un ex caserma di pompieri.
Come le molteplici influenze artistiche s’intrecciano nelle sue opere che assumono anche un significato devozionale, lo capiamo in mostra attraverso video, lavori sonori, sculture performative e installazioni, composte secondo un approccio trasformativo e collaborativo all’arte. Tra i lavori racchiusi nell’architettura delle Navate, ci sono quattro installazioni di grande formato che Ward ha realizzato tra 1996 e il 2000 per il progetto di performance Geography Trilogy del coreografo-scrittore Ralph Lemon; un progetto performativo in tre parti che esplora tematiche legate all’identità e al patrimonio culturale attraverso tradizioni di danza. Di nuovo c’è la piattaforma cangiante dal titolo Ground Break (2024), istallazione pavimentale composta da oltre 4000 mila mattoni in cemento rivestiti da lastre di marmo, è il palcoscenico creato per ospitare divere performance in programma fino al 7 luglio.
Dal disegno all’istallazione alla performance: tutto è trasformazione
Nari Ward, nato in Giamaica nel 1963 e cresciuto senza la mamma immigrata clandestinamente a New York, appassionato disegnatore, si iscrive all’Hunter College per diventare illustratore e inizia a frequentare mostre e artisti, in particolare David Hammons, con il quale sente affinità. Dal 1991 con Praise I e Paise II, passa alle installazioni, realizzando opere con materiali trovati. Sono anni difficili in America, tra droga, AIDS e condizioni di marginalità dei cosiddetti ‘invisibili’, in cui si vive in bilico tra precarietà e resilienza. I suoi lavori sono lo specchio poetico di tematiche legate alle questioni razziali, alla giustizia, al consumismo, povertà, schiavismo, sfruttamento economico, redenzione degli afroamericani, colonialismo e migrazioni. Stordiscono le sue potenti installazioni a partire da Hunger Cradle (1996), riadattata agli spazi del Pirelli Hangar, composta da una rete di fili di lana azzurri che imbriglia diversi rifiuti, come bottiglie di plastica, vecchie ciabatte, taniche per la benzina, siringhe, bastoni, e i medesimi mattoni utilizzati per l’opera Ground Break. Il gesto dell’accumulo e del cullare, azione suggerita dalla parola “culla” (cradle) nel titolo, richiama l’idea di luogo di protezione e di trasformazione, come il bozzolo di un insetto. Da questo coreografico tunnel retato di spazzatura si accede allo spazio espositivo, in cui l’oggetto trovato, il materiale di scarto, è soggetto di storie nelle sue opere. Il mondo in cui assembla e riconfigura oggetti trovati sembra richiamare i ready-made di Duchamp o i Combines di Rauschenberg, ma le sue mazze da baseball, o assemblaggi di passeggini e altri scarti sono rielaborati in maniera diversa, diventano altari e ‘scolpiscono’ emozioni. Le installazioni comprendono anche materiali organici come lo zucchero, olio e cotone e il suo processo concettuale è più vicino all’Arte Povera che a Duchamp, inoltre coinvolge altri artisti, danzatori, musicisti nel suo modus operandi collaborativo.
Ha dichiarato Ward: “Quando, per esempio, rivestivo di zucchero o di bitume gli oggetti che trovavo per strada, pensavo al rito della libagione e a come il potere misterioso di una cerimonia inconoscibile possa essere sfruttato per scatenare l’immaginazione dello spettatore, per far si che questa cosa diventi più di quello che normalmente percepisce e per creare una sorta di ipermaterialità”.
Osservando i suoi lavori che trasudano di spiritualità, c’è un non so che di rituale, come per esempio in Carpet Angel (1992), che evoca concetti di santificazione e di rigenerazione, composta da tappeti, buste e bottiglie di plastica e corde utilizzate per creare una figura angelica sospesa sopra un accumulo di oggetti accatastati non casualmente. Un’opera simbolica è anche Wishing Arena (2013), in cui l’artista si misura con l’architettura del sacro, riprendendo la forma di un altare votivo che si sviluppa come un maestoso altare votivo, risolto in un dispositivo evocativo senza sfiorare la sfera religiosa.
In oltre trenta opere di Ward, all’Pirelli Hangar Bicocca, anche l’odore diventa dispositivo narrativo, reperti olfattivi di memoria. È un esempio il fetore pregnante di merluzzo, insieme al sale nella piccola abitazione Super Stud (1994-2024), opera che racconta lo scontro/incontro tra culture: quella occidentale, dall’eredità cristiana e il passato coloniale, e quella caraibica. Si respira un ‘aria pesante anche nel Cubo, dove Happy Smilers: Duty Free Shopping, composta da decine di rifiuti abbandonati trovati in strada o nelle discariche del quartiere di Harlem, “impacchettati” da macchinette antincendio usate come materiale di imballo. Altri materiali ricorrenti sono pallet, vecchie cabine telefoniche, reti di letti arrugginiti, bottiglie rotte e tutto ciò che la strada offre, gli scarti di chi ha troppo e viene rigenerato da chi non ha nulla. Questa retrospettiva site-specific, è unica perché è in dialogo con lo spazio nelle maestose Navate e si trasforma in palcoscenico, in cui terra, acqua, suono, elementi ricorrenti nei suoi lavori, come le gocce che tamburellano su una lamiera , sono espedienti sensoriali e simbolici che rimandano alla sua infanzia. Home Smiles (2024), realizzato in collaborazione con il dipartimento di Pirelli Hangar Bicocca, fa parte del progetto più ampio dei sorrisi Smile Project avviato da Ward nel 2014. Il lavoro si ispira ai chiostri ambulanti dei venditori di strada presenti ad Harlem e in Giamaica: l’artista vende sorrisi, offerti dai passanti che si specchiano all’interno delle scatolette di latta che vengono poi sigillate. L’azione evoca Merda d’artista (1961) di Piero Manzoni (1933-1963) ma con obiettivi completamente diversi. I proventi della vendita della scatoletta Home Smiles sono devoluti a Save the Children, inoltre i fondi raccolti contribuiranno a sostenere punti Luce di Milano (Giambellino e Quarto Oggiaro), centri diurni che offrono opportunità educative e formative gratuite a bambini e ragazzi tra i 6 e i 17 anni. E quando l’arte unisce finzione e funzione, allora è utile e necessaria e trasforma il nostro modo di percepire il mondo.