Teatro di lungometraggi, crocevia di storie stratificate, illustre vestigia d’architettura ottomana oggi meravigliosamente ripristinata: siamo stati a Istanbul per scoprire la nuova vita del Çinili Hamam
Definire Istanbul non è cosa facile e, come per tutte le città di grande peso storico, simbolico e geografico, le parole rischiano di diventare banale prosopopea. Istanbul però, nonostante i tempi piuttosto dimessi in tanti luoghi del mondo, non smette di stupire e di mutare e, allo stesso tempo, di essere quella città d’altri tempi e ben popolare che si incontra tra le strade di molti quartieri ancora liberi dalla gentrificazione.
É il caso, per esempio, di Zeyrek, antica area bizantina che dal 1530-1540 ospita il Çinili Hamam. Anticamente rivestito di ceramiche Izmik, le tipiche azzurre fabbricate nell’omonima città turca che avviò una vera e propria tradizione e stile nell’arte del mosaici, andando ben oltre il territorio del Mediterraneo, il misterioso hammam la cui storia e origine si perdono confuse nell’epoca della vita del condottiero Barbarossa e nella sua voglia di dimostrare la propria potenza (la ricchezza del mosaico esterno in edifici pubblici era emblematico di questa attitudine), fu abbandonato all’inizio del nuovo millennio, dopo essere stato anche set di varie produzioni cinematografiche, una tra tutti Il Bagno Turco di Ferzan Özpetek, che nel 1997 realizzò proprio tra queste mura il suo film di debutto, con un giovanissimo Alessandro Gassman.
Destinato ad una non improbabile distruzione, specialmente considerando la frenesia immobiliare e infrastrutturale di Istanbul, l’hammam è stato salvato dal The Marmara Hotels Group, (catena alberghiera di lusso in Turchia e nel mondo) che ha permesso un restauro generale lunghissimo durato 13 anni e che, da marzo 2024, lo restituirà alla città e alla sua antica funzione.
I lavori di ripristino, iniziati nel 2010 e conclusi da poco, hanno riportato alla luce tutte le prodezze dell’architettura ottomana e con loro la possibilità di scoprire i vari livelli di stratificazione di una storia composta da una moltitudine di passaggi di proprietà (gli strati di diversi affreschi, in parte riportati alla luce, confermano le varie metamorfosi delle decorazioni dell’edificio), partita da quella vecchia Costantinopoli che da sempre è stata “porta” d’unione occidente e levante e arrivata nel nostro passato più recente. Tra le bellissime immagini pubblicate nel catalogo che accompagna questo intervento si può scorgere, inoltre, la situazione del Bagno soltanto poche decine di anni fa, inserito in un territorio periferico dal sapore neorealista, mentre oggi Zeyrek è un quartiere a due passi dal centro zeppo di macellerie e venditori di spezie, dolciaria e legumi.
Il Çinili Hamam (Çinili, in turco, significa proprio “piastrella”) è insomma parte non solo del paesaggio metropolitano della capitale turca, della sua memoria e della sua storia, ma è anche un ambiente della cultura e “spazio pubblico” «Dove uomini e donne, rigorosamente separati, passavano tempo nel rituale della pulizia del corpo e della mente; ben più che uno spazio “per il fisico”, specialmente per il sesso femminile si trattava di uno spazio sociale, visto che per loro era anche l’unico a disposizione fuori dalle mura di casa», ricorda Anlam De Coster, manager culturale che ha seguito la realizzazione di “Healing Ruins”, la mostra che anticipa il cammino del ritorno dell’hammam ai vari stati dell’acqua come elemento curativo, rigenerativo e sociale.
Il recuperato Çinili Hamam, infatti, sarà ufficialmente ripresentato al pubblico a partire dal prossimo 30 settembre attraverso l’arte contemporanea, ma è altresì vero che dopo il ritorno del centro alla sua antica funzione (prevista a marzo 2024), le future mostre si terranno solamente nella piccola area museo contingente ai bagni maschili e femminili, dove oggi sono esposte in bella vista le ceramiche azzurre ritrovate copiose in frammenti durante i lavori di scavo per i restauri, e nelle aree esterne tra cui giardino e terrazza.
“Healing Ruins”, ovvero “Rovine Curative”, prende il nome dal mitico processo di lavoro di restauro del Çinili Hamam che in forma reale e prolungata ha indagato in profondità il concetto di rovina, in un senso forse decisamente più lontano di quello descritto da Marc Augé: se per l’etnologo francese la vista delle rovine ci farebbe intuire l’esistenza di un tempo che non è quello che i restauri cercano di resuscitare, il Çinili Hamam ci restituisce più che un vero e proprio “tempo” uno vero spazio quasi trascendentale, fatto di luce e angoli dove ritrovare una certa spiritualità proprio a partire dall’elemento acqua e dall’idea di cura.
Rivedere (e rivivere) nel suo splendore questa costruzione, inoltre, è anche una maniera sottile per riflettere sulla storia della Turchia e di “colonizzazioni” a noi decisamente vicine, alle quali inconsapevolmente (o colpevolmente?) non prestiamo attenzione. Perché se è vero che le scorribande dell’ottomano Barbarossa aprirono la storia tra Oriente, Nord Africa e Europa, collocando Istanbul come capitale indiscussa di questa relazione centenaria, è anche vero che un confronto tra eredità non dovrebbe venire a mancare, specialmente di questi tempi e specialmente ritornando col pensiero a queste “rovine curative”: il riferimento è ovviamente ai mosaici, ai Çinili delle facciate che a partire dall’inizio del secolo scorso sono finiti nelle collezioni di musei come il British, il Victoria&Albert, il Louvre o nelle case d’asta più prestigiose, o contrabbandati altrove quando non andati perduti.
L’arte per presentare il ritrovato Çinili Hamam
L’arte contemporanea è la protagonista di questo nuovo inizio del Çinili Hamam.
Sotto la curatela della manager culturale Anlam De Coster, nelle sale dell’Hammam si sono dislocate una serie di opere – una cinquantina in tutto – che in parte hanno contribuito a restituire mistero e fascino all’ambiente e dall’altro forse hanno un po’ esagerato nelle intenzioni, debordando come acqua dalla vasca. Così, se la parte del bagno maschile appare come raffinata e ben conclusa, l’area destinata al pubblico femminile risulta forse meno attenta alla potenza dell’ambiente.
Tra i lavori spiccano le opere dell’artista turco Candeger Fortun (1936), parti anatomiche in ceramica a riprodurre gambe e mani, connotando spazi e gesti nella memoria del Bagno. Distant hollow(s) like you è invece la perfetta installazione sonora di Basak Günak (1987) che fuoriesce dai bacini dei lavandini in marmo, opera di cui fa parte anche la placca dorata sulla quale una costellazione “buca” il metallo e rimanda alle preziose stelle delle cupole dell’Hamam, dalle quali filtra la naturale luce del giorno che contribuisce con la sua mutevolezza e rendere incantato questo angolo di mondo.
D’effetto anche le tende-mosaico antropomorfe di Zoë Paul, (Atene, 1987), realizzate a mano piccoli “semi” di ceramica raku. Infine, nella cisterna la pittura di Adrian Geller, (1997, vive e lavora a Parigi) che riprende i misteriosi motivi navali ritrovati sulle volte del soffitto e alle pareti e realizzati, probabilmente, da prigionieri messi ai lavori forzati nelle viscere del bagno in un’epoca non definita.
Una vera e propria immersione in tempo liquido, ma per fortuna non disperso, che gli intrecci tra arte e tutela hanno il potere di ritrovare.