Per la Tate Britain Commission di quest’anno, l’artista venezuelano Alvaro Barrington (Caracas, 1983) svela la sua più grande installazione multimediale mai realizzata fino ad oggi nelle Duveen Galleries, esplorando i temi del luogo e dell’appartenenza.
Aperta mercoledì 29 maggio e visitabile fino al 26 giugno, «GRACE» è un viaggio intimo che affronta il profondo impatto che le donne e l’affetto del quale ha beneficiato all’interno della cultura nera hanno avuto sull’educazione e sulla pratica artistica di Barrington. L’installazione site-specific, con dipinti, sculture, mobili e paesaggi sonori, è incentrata su tre figure chiave: la nonna Frederica, la cara amica e sorella Samantha e la madre Emelda. Organizzata in tre atti, l’installazione riunisce la storia personale dell’artista, attingendo alle sue esperienze nella cultura del carnevale caraibico e ai ricordi della sua educazione a Grenada e New York.
Barrington parla delle donne della sua vita con estrema gratitudine, riconoscendo l’ampio valore che la rete familiare e affettiva ha contraddistinto per lui.
«Mi hanno cresciuto molte donne e i loro figli sono diventati miei cugini, e ho adorato il fatto di poter viaggiare in quartieri diversi dove sono stato accolto … gli amici di mia madre dicevano: ‘Sei mio figlio adesso’. In quegli anni New York era un po’ come il film The Warriors (1979, ndr), andare da un quartiere all’altro significava spesso essere picchiati. Ma avere tutti questi membri della famiglia che mi hanno adottato mi ha dato un passaporto per spostarmi in città in un modo che le altre persone non hanno fatto».
L’opera di Barrington è emblematica di un contesto spazio-temporale del quale la storia personale diviene paradigma. La familiarità di tali esperienze evocative e riconoscibili fa sì che lo spettatore empatizzi con lui.
Nato in Venezuela, a Caracas, nel 1983 da genitori haitiani e grenadiani, è cresciuto tra i Caraibi e Brooklyn e attualmente vive e lavora a Londra.
La sua pratica artistica è multidisciplinare e riflette sulle storie delle produzioni culturali e sul loro interscambio. Pur considerandosi innanzitutto un pittore, il suo processo di creazione delle immagini include l’applicazione di diversi materiali non tradizionali come cemento, legno, tessuti, filati, tela, cartone, vestiti e cartoline. È altrettanto affascinato da stampe, disegni e fotografie. Per lui ogni media rappresenta una possibilità di comunicare e ciascuno è uno strumento per rappresentare narrazioni culturali sia individuali che collettive. Tra i soggetti prediletti e dunque ricorrenti si annoverano primi piani, parti del corpo e piante equatoriali.
Nell’uso delle immagini riconosciamo le suggestioni di Harlem, dello scrittore giamaicano Marcus Garvey, della cultura hip-hop degli anni ’90 come Tupac e di altri artisti come Willem de Kooning, Joseph Beuys e Robert Rauschenberg. Le sue opere esplorano tematiche diverse, tanto attuali quanto controverse, come la migrazione, la nazionalità, la sessualità, il regno digitale, ma anche esistenziali quali l’individualità e la caducità del tempo.
Barrington vuole lasciare un segno concreto nella società e oltre a veicolarne i valori ideali, si attiva in varie pratiche comunitarie come beneficenza, concerti e spettacoli. Fervido credente nella democraticità dell’arte, dal 2019 si impegna nell’organizzazione del Carnevale di Notting Hill, al fine di renderla accessibile alle comunità nei luoghi pubblici. L’arte deve uscire dai musei per infrangere le barriere culturali che intimano lo stesso timore reverenziale che coglie al cospetto della Chiesa, in virtù dei suoi dettami. L’arte, con il suo carattere esistenziale, il suo linguaggio universale e la sua valenza atemporale, non dev’essere appannaggio di pochi, ma beneficio di ognuno.