Nifemi Marcus-Bello è un designer emergente che ha catturato l’attenzione internazionale con il suo approccio innovativo e interdisciplinare al design. Abbiamo parlato delle influenze culturali e geografiche che hanno plasmato la sua pratica, il suo impegno per la fusione tra arte e design, e il suo impatto nel panorama creativo contemporaneo.
Classe 1988, Nifemi Marcus-Bello è rapidamente emerso come una stella in crescita nel mondo del design. La sua storia ha inizio tra le vivaci strade di Lagos, ex capitale nazionale della Nigeria fino al dicembre 1991, quando il governo ha spostato la capitale ad Abuja, nel centro del Paese. Nonostante ciò, Lagos rimane l’area urbana più popolosa dell’Africa, con la sua area metropolitana in costante crescita. Il termine “Lagos”, che nell’inglese britannico e nigeriano significa “laghi”, richiama i confini naturali di una terra definita da una parte dal Golfo di Guinea e, dall’altra, dall’omonima laguna.
È qui che nasce la sua pratica creativa, radicata nella ricchezza etnografica e nelle caratteristiche materiali peculiari del territorio. L’ho incontrato sul finire della Design Week, e in un raro momento di tranquillità abbiamo discusso della sua pratica e del suo particolare punto di vista sullo stato delle arti contemporanee.
G.A.: Fin dai primi passi, hai abbracciato una filosofia incentrata sull’uso innovativo dei materiali locali e sulla ricerca di nuove forme che attraversassero liberamente le categorie di design, artigianato, architettura e arti visive. Le tue opere riflettono il profondo interesse per le pratiche di produzione locali, le sfide della disponibilità delle risorse e la ricchezza culturale dell’Africa.
N.M.B.: Crescere tra Lagos, in Nigeria, e Lusaka, in Zambia, ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale nella mia educazione estetica, nel mio senso della materialità e nella mia tendenza a confondere i confini tra arte e design. Prima ho studiato design nel Regno Unito, ma poi sono tornato a Lagos per praticare e sono certo che anche questa commissione di esperienze abbia avuto un ruolo fondamentale nella direzione che attualmente sta prendendo la mia pratica. Nonostante l’istruzione formale rimane il fulcro e il fondamento su cui baso ogni progetto, una volta tornato in Nigeria ho dovuto in qualche modo ri-apprendere e contestualizzare il mio approccio al design, iniziando a pensare al mio ruolo e a quello di ciò che stavo creando all’interno del panorama in cui attualmente pratico.
G.A.: Il tuo modo di pensare al ruolo del design mi ricorda le posizioni di Gian Piero Frassinelli, membro del celebre gruppo fiorentino Superstudio, che ha introdotto l’antropologia come disciplina di stimolo per l’architettura e per il design radicale in Italia. Trovare un punto di partenza per il progetto nella comunità ha portato anche in quel caso a un assottigliamento delle categorie di design e arti visive, arrivando alla critica al funzionalismo.
N.M.B.: In Lagos e Lusaka, la maggior parte dei mobili è prodotta localmente. Gli oggetti con cui sono cresciuto hanno sempre sfidato i confini tra arte e design: un tavolo, ad esempio, può essere estremamente funzionale ma allo stesso tempo esprimere qualità artistiche e visive. Confondere i confini tra le pratiche è per me naturale, a seconda del contesto e del messaggio che voglio trasmettere.
G.A.: Un vecchio detto dice che uno scultore può fare una ruota quadrata, mentre un architetto deve per forza farla rotonda, eppure l’interdipendenza e la fusione tra discipline sono qualcosa di sempre più presente, in tutti i settori creativi. Penso alla recente Design Week e alle Biennali di Architettura e d’Arte, che hanno evidenziato l’importanza del genius loci e dell’identità culturale locale per affrontare questioni globali…
N.M.B.: Penso che l’architettura abbia sempre avuto un lato artistico, ma credo che come pratica si sia allontanata da questo approccio per un po’, a causa in alcuni casi del capitalismo e della potenza socioeconomica in certe posizioni geografiche. Ci si è dimenticati che questi spazi sono occupati ed esperiti dagli esseri umani, sono diventati un po’ freddi e in alcuni casi inabitabili. L’architettura che apprezzo ha certamente un certo temperamento artistico, e penso che la Biennale abbia fatto proprio questo. Le opere mostrate sembravano poetiche ma allo stesso tempo affrontavano questioni attuali pressanti come la razza e la migrazione, ponendo domande sul ruolo futuro dell’architettura come pratica nel Sud globale.
G.A.: “Omi Iyo”, la tua installazione esposta a Palazzo Litta, sembra un pò incarnare tutte queste nostre considerazioni. È un’opera che affronta i pericolosi viaggi dei migranti dall’Africa all’Europa comunicando attraverso un linguaggio visivo e politico, con un forte impatto emotivo: un contenitore simile a uno scafo in acciaio inossidabile è sospeso, fissato a una parete indaco, e specchia l’immagine del visitatore. I cristalli di sale posizionati al suo interno sfilano attraverso un piccolo foro arrivando a creare un cumulo sempre più grande a terra. Il mezzo di trasporto si trasforma in una clessidra tutt’altro che funzionale, impossibile da girare, per cui il tempo andato è perso per sempre.
N.M.B.: Sì, quest’anno è stato il mio primo Salone e Omi Iyo è a tutti gli effetti sia un oggetto di design sia un oggetto d’arte. È progettato per svolgere un’azione specifica – ovvero contenere il sale – e comunica la sua funzione attraverso un linguaggio visivo, ma ha anche un lato artistico, grazie al messaggio politico, poetico ed emotivo.
G.A.: Nel 2023 l’Art Institute di Chicago ha aggiunto la sua panchina “Friction Ridge” alla sua prestigiosa collezione. E in qualche modo ha riconosciuto la tua capacità di trasformare materiali grezzi in opera d’arte. Friction Ridge è la tua prima opera a cui mi sono interessata e ammetto di essere stata incredibilmente colpita dall’incredibile finezza culturale e dallo spessore emotivo del progetto: le panchine sono realizzate con le stesse tecniche utilizzate un tempo per creare ritratti reali nel Regno del Benin, gran parte delle quali furono saccheggiate nel corso del XIX secolo e solo recentemente – in parte – rimpatriate da istituzioni europee. La texture richiama la particolare pratica del popolo Surma dell’Etiopia, che si dipinge (usando le dita) sia come forma di espressione artistica sia in segno di legame affettivo.
N.M.B.: Credo che il design sia pensato per servire uno scopo e serva a migliorare la vita quotidiana, che sia attraverso la funzionalità, l’estetica o la cultura. Calibrare entrambi saggiamente, insieme o separatamente, è lasciato alla discrezione del designer.
Nel 2021, il Magazine Wallpaper* ha nominato Nifemi Marcus-Bello “Life Enhancer of the Year” per il suo contributo al mondo del design. Nel 2022, ha ricevuto l’Hublot Design Prize, sottolineando ulteriormente il suo impatto innovativo. Nel 2023, il Design Miami/ gli ha conferito il premio Design for Good Award, riconoscendo il suo impegno per il design sociale e sostenibile. La sua opera è stata acclamata dalle istituzioni artistiche più prestigiose: nel 2022, il Design Museum di Londra ha acquisito il suo iconico sgabello “LM”, celebrando la sua fusione di forma e funzione; nel 2023, l’Art Institute di Chicago ha aggiunto la sua panchina “Friction Ridge” alla sua collezione, riconoscendo la sua capacità di trasformare materiali grezzi in opere d’arte. Attualmente, Marcus-Bello vive e lavora a Lagos, in Nigeria, dove è coinvolto in un progetto di archiviazione e documentazione di oggetti contemporanei anonimamente progettati in tutta l’Africa occidentale, contribuendo a preservare e celebrare la ricchezza creativa del continente africano per le generazioni future.