La “Regina Viarum” entra nella lista del Patrimonio Mondiale, diventando così il 60% sito italiano riconosciuto dall’Unesco. A deliberarne l’iscrizione, il Comitato del Patrimonio Mondiale, riunito a Nuova Delhi nella 46/a sessione.
Il racconto di Pierluigi Panza sulle pagine del Corriere di oggi: Il Comitato del patrimonio mondiale, riunito a New Delhi nella 46ª sessione, ha deliberato l’iscrizione della «Via Appia. Regina Viarum» nella Lista del patrimonio mondiale, che diventa così il 60° sito Unesco italiano. È la prima candidatura promossa direttamente dal ministero della Cultura, che ha coordinato tutte le fasi del processo e ha predisposto la documentazione per la richiesta d’iscrizione nella World Heritage List. Il processo ha visto il coinvolgimento di molte istituzioni: quattro Regioni (Lazio, Campania, Basilicata e Puglia), 13 Città metropolitane e Province, 74 Comuni, 14 Parchi, 25 università, numerose rappresentanze delle comunità territoriali nonché il ministero degli Affari esteri e la Pontificia commissione di archeologia. Mercoledì 31 luglio, alle 19 a Roma, avrà luogo un evento celebrativo per l’iscrizione Unesco del sito «Via Appia. Regina Viarum» alla presenza del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, del sottosegretario Gianmarco Mazzi e di varie istituzioni. «L’Unesco — fa sapere il ministro — ha colto l’eccezionale valore universale di una straordinaria opera ingegneristica che nei secoli è stata essenziale per gli scambi commerciali, sociali e culturali con il Mediterraneo e l’Oriente». La lista delle felicitazioni — è il caso di dire urbi et orbi — è più lunga di quella dei matrimoni. Stupisce che la via Appia — agognata meta dei viaggiatori del Grand Tour, che vi aprirono scavi (specie gli inglesi) portando via di tutto — non fosse ancora tra i Beni Unesco, ma non lo è nemmeno il Duomo di Milano (si tenterà prossimamente l’iscrizione alla Tentative List e, forse, pure per il Ponte di Bassano del Grappa), mentre lo sono vari beni «immateriali» (tipo la pizza) e amenità che ora vanno per la maggiore (tipo la Dieta mediterranea, bene transnazionale iscritto nel 2013). Tuttavia, qualcosa va precisato. Inizialmente (l’Unesco fu fondata nel 1945), questa iscrizione corrispondeva all’ingresso nei Mirabilia mundi, in quello che un tempo erano le «Sette meraviglie del mondo»: poiché queste sette variavano a seconda dei testi che le suggerivano tra XVI e XVII secolo, se ne contano una cinquantina. Oggi l’iscrizione nella World heritage list dell’Unesco obbliga gli Stati a «impegnarsi nella protezione del bene», anche secondo parametri inclusivi. Di contro, non eroga, direttamente, finanziamenti.
Per la gestione della via Appia come sito Unesco, ad esempio, si dovrà porre attenzione alla buffer zone , ovvero alla protezione qualitativa dell’area circostante il sito: oggi, a fianco delle 132 miglia (circa 195 chilometri) della Appia Antica si vede e si è costruito di tutto. I sindaci sono avvisati: insegne, cassonetti, discariche, abusi vari intorno alla via potrebbero — in teoria — mettere in forse la permanenza del bene nella World Heritage List. La Convenzione per il Patrimonio Mondiale prevede infatti che gli Stati membri presentino periodicamente un rapporto sulla normativa, sulle misure adottate, sulle attività svolte per mettere in atto gli impegni assunti al momento dell’iscrizione dei siti nella Lista del patrimonio mondiale.