Nuove sculture iridescenti in ceramica in una sala ovale, un video quasi psichedelico che porta dentro un surreale parco svizzero, una sala con una luce che crea un’apparente monocromia e una musica onnipresente che diffonde un’atmosfera misteriosa. Sono gli elementi che, a un primo impatto, tracciano il percorso espositivo della personale di Salvatore Arancio al MACTE – Museo di Arte Contemporanea di Termoli (fino al 28 settembre 2024), che l’artista ci ha raccontato nell’intervista qui sotto.
«È un gruppo di opere realizzate nel 2023 sulla base di suggestioni e ricordi di una visita al Bruno Weber Park – parco di sculture costruito a Dietikon, nel Canton Zurigo, dall’architetto e artista svizzero Bruno Weber – al centro di Bruno’s House, la personale di Salvatore Arancio che dal 14 giugno al 28 settembre 2024 si articola nelle sale del MACTE – Museo di Arte Contemporanea di Termoli.
La mostra, a cura di Caterina Riva con Marta Federici, raccoglie diversi lavori, alcuni dei quali entrati nella collezione del museo grazie al PAC Piano per l’Arte Contemporanea: «un video, un paesaggio sonoro e alcune sculture che ricompongono un viaggio immaginifico tra le architetture e le presenze del parco svizzero, luogo che celebra la fantasia, il piacere e la sperimentazione dell’Arte nelle più svariate forme», ha ricordato il museo.
«”Bruno’s House” – ha proseguito – si snoda in una serie di ambienti avvolgenti, dalla rotonda centrale e le sale laterali fino al giardino del MACTE, dove è installata la scultura permanente Voyager messa in opera dall’artista a settembre 2023. La pratica di Arancio elabora un universo fantasmagorico e meraviglioso che lascia l’immaginazione del pubblico libera di associare forme e colori. Senza voler imporre interpretazioni o significati univoci, le sue opere aprono campi di possibilità, sollecitano le facoltà percettive, invitano a diventare spettatori attivi, proponendosi come alternativa ai canoni cui abitualmente siamo abituati».
«In mostra, una serie di sculture di proporzioni e dimensioni straripanti dalle forme sinuose e organiche che rimandano a frammenti di corpi metamorfici tra vegetale, minerale e umano, e le cui smaltature rilucenti, realizzate durante una residenza in Ungheria, generano una vertigine di riflessi e colori cangianti in contrasto con la materia grezza dei mattoni che le sostengono».
«Il video Bruno’s House, con soundtrack originale commissionata al musicista britannico Robin Rimbaud-Scanner, propone uno stridente montaggio di immagini lisergiche girate da Arancio tra le architetture caleidoscopiche del Bruno Weber Park, accompagnate da un suono che introduce un cupo senso di inquietudine, spostando la narrazione visiva fuori da un tempo lineare. Ne risulta una sequenza di scene che compone un viaggio allucinato, fatto di visioni oniriche e atmosfere acide».
«Nello spazio aperto la scultura permanente nel giardino si presenta come una seduta composta da tre blocchi in cemento di diverse dimensioni e colorazioni pastello, che mimano pezzi di argilla grezza: sulle sue superfici sono incastonate formelle in bronzo che sembrano emergere dalla materia: un volto nero triangolare con un sorriso al contrario, un dito-coda blu e forme organiche che decorano i lati inferiori».
«Il progetto Bruno’s House di Salvatore Arancio ha vinto l’avviso pubblico PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Le sculture sono state realizzate da Salvatore Arancio in tempi diversi e hanno incluso periodi di lavoro a Band in Ungheria e in Italia, nelle città di Faenza (RA), Origgio (VA) e Termoli (CB)».
«Come di consuetudine, la mostra personale di Arancio è accompagnata da una selezione di opere della collezione permanente. In particolare si potranno ammirare il trittico di Malangatana Valente Ngwenya e la scultura di Nedda Guidi, artisti presenti quest’anno anche alla Biennale di Venezia, ma anche le opere di Bruna Esposito e Chiara Enzo, vincitrici delle edizioni del Premio Termoli del 2021 e del 2023».
Il public program della mostra prevede due inviti speciali agli artisti Marco Lampis e Francesca Anfossi: sul sito del museo, è disponibile Before the Eyes, un’audioguida alla mostra di Arancio pensata e sviluppata da Marco Lampis per il pubblico non vedente; nella seconda metà di settembre, invece, Francesca Anfossi condurrà un laboratorio con il pane aperto a adulti e bambini, realizzato con la collaborazione dell’Istituto Alberghiero di Termoli».
Al MACTE di Termoli è in corso la tua personale “Bruno’s House”, la tua ultima mostra in un’istituzione museale italiana. Come è nata?
Salvatore Arancio: «Innanzi tutto, grazie a un invito della Direttrice Caterina Riva, che ho conosciuto anni fa a Londra, poi da una mia visita al Bruno Weber Park, non lontano da Zurigo fonte di ispirazione del progetto Bruno’s House – un gruppo di nuovi lavori realizzati per il MACTE – che ha vinto il PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
Il Bruno Weber Park, è un parco di sculture, realizzato dall’architetto e artista svizzero Bruno Weber tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio dei Duemila, come contro mondo surreale alla desolazione della vita reale, ispirato dalla mitologia orientale e i racconti popolari europei: un luogo fuori dall’ordinario, con sculture che si possono toccare, attraversare e utilizzare, che stimolano un esperienza immersiva esilarante ma che allo stesso tempo disorienta il visitatore e lo trasporta in mondi lontani. Nel progetto ho cercato di ricrearlo unendolo al mio immaginario artistico giocoso e voluttuoso».
Che cosa rappresentano nel tuo percorso di ricerca le opere presentate nel percorso espositivo al MACTE?
«La mostra, curata da Caterina Riva con Marta Federici, raccoglie diversi lavori, alcuni entrati nella collezione del museo grazie al PAC: un video, un paesaggio sonoro, alcune sculture in ceramica e una scultura esterna in bronzo e cemento. Come sempre nella mia pratica, non ho voluto imporre alle mie opere interpretazioni o significati univoci, ma ho voluto invitare gli spettatori ad essere fruitori attivi del lavoro, stimolando la loro curiosità e delle nuove possibili interpretazioni della realtà che i lavori propongono. Forme sinuose e organiche rimandano a corpi metamorfici tra vegetale, minerale e umano, smaltature rilucenti generano vertigini di riflessi cangianti in contrasto ai mattoni grezzi che le sostengono.
Questi lavori sono però anche legati al funzionamento della memoria, perché ho visitato il parco ormai parecchi anni fa e giocando con la memoria ho creato queste forme filtrate dal mio subconscio.
Inoltre, ispirato ad alcuni murales magici e onirici presenti nel parco, ho voluto legare questa produzione a un certo immaginario allucinogeno, richiamo a un certo tipo di cultura legata all’uso di sostanze, pratiche di perdita di coscienza e connessione con altri livelli di realtà. Una personale interpretazione di quella che potrebbe essere stata la vita di Bruno Weber».
Per queste opere hai lavorato con un esperto ceramista ungherese. Quali aspetti della lavorazione della ceramica hai potuto esplorare in questa collaborazione?
«Ho collaborato con l’artigiano Ferenc Halmos specializzato in personali tecniche di smaltatura che si rifanno a certi aspetti della tradizione della produzione ceramica ungherese. Mi interessa sempre confrontarmi con artigiani specializzati in tecniche uniche, che magari hanno sviluppato attraverso tanta ricerca e sperimentazione nel corso della loro vita. Per me è prezioso confrontarmi e creare dei lavori che nascono unicamente attraverso questo scambio, come in questo caso».
Parte fondamentale della mostra è il sonoro: nell’intero percorso espositivo si sente una composizione appositamente creata del noto compositore britannico Robin Rimbaud-Scanner. Come è nata la volontà di dare alla mostra anche questo livello percettivo? Quali caratteristiche della ricerca di Rimbaud sono per te particolarmente interessanti in relazione alle tue opere e a questo percorso espositivo?
«Ho conosciuto Robin Rimbaud-Scanner anni fa a Londra. In quel momento lavorava in una biblioteca dove andavo a noleggiare audio cassette di gruppi underground e sperimentali. In seguito, ha iniziato la sua carriera da musicista e parallelamente io quella da artista. Ci siamo persi di vista per poi ritrovarci dopo anni. Avevamo entrambi continuato a seguire quello che faceva l’altro da lontano. Robin aveva appena visto la mia mostra alla Hayward Gallery di Londra, quando l’ho invitato a collaborare a Bruno’s House. Probabilmente questo background musicale comune gli ha permesso di captare immediatamente le atmosfere sonore che volevo creare e combinare con il video. È stato tutto molto spontaneo.
Gli ho mandato il video, lui mi ha chiesto dei parametri per elaborare la musica e da lì ha lavorato autonomamente».
In mostra c’è una tua opera video che hai realizzato a Zurigo, nel parco delle sculture Bruno Weber Park. Che legame hai con questo posto? Quali aspetti ti hanno maggiormente affascinato?
«Il video propone un viaggio psichedelico di visioni oniriche e atmosfere acide tra le architetture e le sculture del parco, con un montaggio di immagini lisergiche accompagnate da un suono che enfatizza questi aspetti, che sposta la narrazione visiva fuori da un tempo lineare.
Mi capita spesso di scoprire casualmente i luoghi dove finisco a lavorare. Mentre faccio ricerche su internet o leggo le notizie, o quando presento una mostra, occasione in cui mi piace chiedere alle persone con cui collaboro o che mi hanno invitato, se in quella zona c’è qualcosa che potrebbe connettersi al mio immaginario artistico.
Nel 2016 preparavo una mostra alla Kunsthalle Winterthur e il direttore artistico Oliver Kielmayer mi consigliò di andare a vedere il Bruno Weber Park. Ci andai con una piccola videocamera e ho registrato la mia esperienza, un modo per conservare la mia personale visione del luogo.
Il Bruno Weber Park appartiene a una categoria di luoghi che amo particolarmente, dove trovo ricchezza e stimoli, quelli in cui si va oltre ciò che abitualmente ci circonda. Sono spazi che esprimono un forte senso di libertà, innanzi tutto dell’artista che li ha creati – Bruno Weber mescola mitologie popolari ed elementi fantastici di un immaginario totalmente personale – ma anche dei visitatori che attraversano un luogo totalmente fuori dai generi.
Anche se non ne siamo consapevoli nelle città ci sono molti segnali e simbologie che indirizzano il comportamento degli abitanti, e guidano la nostra interpretazione della funzione dei luoghi dello spazio pubblico. Quando arrivi in un posto come il Bruno Weber Park quei riferimenti scompaiono, e puoi crearti una tua personale geografia; ognuno può essere quello che vuole, il corpo può entrare in metamorfosi con il mondo vegetale e altri elementi. E questo mi stimola moltissimo.
Luoghi visionari come questo si offrono ai visitatori come spazi vivi. Mentre davanti a un dipinto spesso mi capita di pensare che c’è stato un momento in cui l’artista ha deciso di concluderlo, questi ambienti sembrano in continua trasformazione, come se gli autori avessero lasciato degli elementi che altre persone possono re-immaginare e rielaborare.
Questo aspetto è molto importante, perché parla di come si può preservare quello che è stato fatto in passato senza cristallizzarlo. Luoghi vivi che continuano a evolversi e a ispirare gli artisti».
Quali saranno i tuoi prossimi progetti espositivi?
«Al momento ho in programma ho un paio di mostre collettive in Europa, insieme a una presentazione personale in una fiera in Italia. Infine, sperando di assicurare i fondi per sostenerlo, dovrei iniziare un progetto museale importante in Inghilterra di cui sono molto contento e che non vedo l’ora d’ iniziare».