Il 12 e il 13 ottobre l’iconico Museo Serralves di Porto si trasforma nella casa di quelle forme d’arte a volte considerate poco classificabili, a volte “indisciplinabili” – intersezioni tra musica, danza, performance e arti visive – mettendo in scena uno spaccato del panorama della scena artistica “dal vivo” internazionale
Giunto alla sua decima edizione, The museum as a performance, il programma di due giorni che ogni anno per un week end scuote il Museo Serralves di Porto, quest’anno conterà con dieci artisti, tra singoli e collettivi, tra i quali ci sono Davi Pontes & Wallace Ferreira, Darius Dolatyari-Dolatdoust, Karel Van Laere, Viola Yip e Tobias Koch.
Spiegano i curatori, Pedro Rocha, Cristina Grande, Ricardo Nicolau: “Durante il prossimo fine settimana, gli spazi del museo, in particolare quelli solitamente dedicati alla presentazione di mostre, ovvero di progetti più impegnativi e permanenti, saranno invasi proponendo attività di “occupazione” e “circolazione” nelle gallerie, tentando sollevare nello spettatore un’altra consapevolezza rispetto al significato di “visitare” quelli che sono considerati spazi culturali e artistici”.
Quali sono le differenze tra questa edizione di The Museum as a Performance, che segna anche il decimo anniversario dell’iniziativa, con gli anni passati?
Questi 10 anni hanno visto non solo la crescita del progetto, ma anche la crescita del Museo Serralves, sia in fatto di pubblico, di mostre e anche di spazi espositivi. Ora, il confronto tra i modelli fissi di una istituzione e la crescente domanda dei visitatori in fatto di offerta culturale è diventato sempre più complesso, e questa è forse una delle sfide più grandi per The Museum as a Performance: le grandi istituzioni tendono a diventare meno flessibili e a non interrogare i loro modelli di funzionamento; con questo festival, al Serralves, mettiamo alla prova la capacità del museo di ospitare una serie di “invasioni”, di accoglierle, di innescare una relazione simbiotica che, ad ogni modo, funziona solo se il museo è realmente, e quotidianamente, vivo. E si tratta, chiaramente, anche di affermare una relazione tra arte e politica: molti degli artisti che si dedicano alla performance che sono passati, e continuano a passare, al Serralves, sono spesso quelli che interrogano il funzionamento del museo, dalla sua politica di accessibilità al modo in cui si propone che i visitatori circolino.
Vi siete dati un tema per questa edizione?
Il programma non segue una tematica predefinita, mai come in questa edizione il corpo è stato così in evidenza. Il corpo naturalmente ha attraversato tutto il percorso di O Museu como Performance, a volte in modi sublimati, ma quest’anno ha una presenza più marcata e forse più assertiva. Questo forte coinvolgimento del corpo accompagna uno sguardo e una riflessione sull’attualità e su come il corpo sia diventato centrale in molte dispute, o addirittura guerre culturali e sociali, a cui oggi partecipiamo inevitabilmente. Il corpo, come rifugio di un’umanità e materialità inalienabili è, o continua a essere, un campo di battaglia.
Come immaginate Il Museo come Performance del futuro?
Il Museo come Performance è stato creato nel 2015 con l’obiettivo di riconoscere l’importanza crescente della performance nell’arte contemporanea e consolidare la posizione del Serralves come museo pionieristico in termini di collegamenti transdisciplinari. La sperimentazione di nuove pratiche è stata una costante nel corso di queste dieci edizioni, ma in questa edizione evidenziamo la proposta di Eve Stainton per la presentazione di una workshop-performance in cui il primo incontro tra artisti disposti a esplorare insieme una proposta di lavoro collettivo avviene pubblicamente, sperimentando una pratica artistica collaborativa, multipla e aperta, basata sulle esperienze di reciprocità e interazione imprevedibili. Inoltre, pensando al futuro e data la recente espansione del Museo, intendiamo ampliare i dialoghi con l’architettura di Serralves, un asse fondamentale nella programmazione.