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Il Sole allo Zenit #28: Sancta Sanctorum

Bartolomé Esteban Murillo, Martirio di sant'Andrea, 1650, olio su tavola, 123x162 cm
Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, 1445, tempera su tavola, 167×116 cm
Immagini della fede, e della storia dell’arte, ma come interpretarle? Prendiamo i santi, ad esempio: cosa vorranno dirci in tutti quei dipinti e come si può fare per riconoscerli? Ecco la rapidissima guida de “Il sole allo zenit”

Stando all’Esodo 26,34 dell’Antico Testamento, la Sancta Sanctorum a Gerusalemme era la parte più interna e sacra del tempio, dove era collocata l’arca dell’alleanza prima dell’esilio, alla quale aveva accesso soltanto il sacerdote sommo. Oggi invece è quella porzione di chiesa cristiana vicina al tabernacolo o all’altare maggiore ma, in senso più generale e figurativo, indica il luogo esclusivo riservato a pochi privilegiati e a coloro che comprendono i significati. Perché capire le cose è fondamentale anche se bisogna passare da quell’atto faticoso e impegnativo che è la percezione e, quando si tratta di biblia pauperum o arte religiosa, conviene prestare parecchia attenzione a tutti i dettagli della composizione. Prendiamo i santi, ad esempio: ma cosa vorranno dirci in tutti quei dipinti e come si può fare per riconoscerli? Cominciamo dai più facili e, visto che nessuno ha mai fatto una frittata senza rompere le uova, prepariamoci a una tragica avventura. San Giovanni Battista è sempre vestito con un abito fatto di pelle di cammello, tiene in mano un lungo bastone sormontato da una piccola croce e spesso lo si vede che battezza Cristo proprio mentre gli versa dell’acqua sul corpo. Tra le infinite versioni c’è un Battesimo famoso con un piccolo dettaglio che mi manda al manicomio: siamo sul fiume Giordano che risulta scorrere perpendicolare allo spettatore (altro elemento originale) dipinto da Piero della Francesca e l’acqua del corso del fiume s’interrompe proprio ai piedi del Signore. Perchè? Poiché essendo Lui unico e inimitabile non poteva essere sdoppiato nemmeno nel riflesso del fiume. Mioddio che attenzione. San Giorgio invece era un valido guerriero quindi ha spada e scudo, o il povero drago che deve mandare al patibolo, mentre San Lorenzo è raffigurato con la graticola sulla quale venne torturato e ucciso, o nell’atto di distribuire le ricchezze della chiesa, come ben ci illustra Bernardo Strozzi a San Nicola.

Bernardo Strozzi, La carità di san Lorenzo (particolare), 1639-40, olio su tela, 206×162 cm, Chiesa di San Nicola da Tolentino, Venezia

Con gli Evangelisti invece si va a nozze: tengono in mano il libro che hanno scritto o hanno un animale come simbolo: l’aquila per san Giovanni, teologo per antonomasia, che a volte però figura con il calderone d’olio bollente perché Domiziano provò invano a farlo bruciare, anche se poi morì comunque dopo esser stato accecato e rimandato a Efeso. San Matteo viene raffigurato con un angelo che lo ispira o lo guida nella sacra scrittura e con altri simboli come il portamonete e il libro dei conti perché prima della chiamata divina era un pubblicano, ovvero un esattore delle tasse dello Stato romano. San Luca ha il bue (oppure il toro e il vitello), il Vangelo e qualche arnese da pittore perché era medico e di buona cultura, tanto da risultare il primo iconografo e illustratore. Con San Marco il poker si chiude e con lui si vedono il leone o la palma del martirio e il solito libro scritto, che a volte è solo un rotolo con un testo breve che gli augura l’eterna pace. Andiamo avanti, come si fa con i grani dei rosari, dato che i Santi sono parecchi e non conviene star qui a collezionar farfalle come faceva Luigi Filippo Tibertelli*. San Girolamo ha tre varianti principali: lo si trova all’interno di uno studio immerso tra i libri, insieme al teschio della penitenza o eremita nel deserto. Tra un Pater, un’Ave e un Gloria, anche San Pietro compare nella lista: è il capo della Chiesa, è considerato il primo Papa e ha spesso le chiavi del Regno dei Cieli tra le dita, ricevute da Gesù in persona. Essendo poi stato un pescatore, a volte compare con la barca o la rete, mentre Masaccio lo rappresenta nelle vesti di colui che battezza i neofiti, includendo due dettagli memorabili: il primo uomo che ha freddo nella storia dell’arte e un magnifico gesto che compie Pietro facendo ruotare la ciotola dell’acqua nel verso più congeniale alla percezione dello spettatore, con un movimento che sembra così dannatamente reale che tutte le volte che lo guardo mi sento come Quasimodo quando sente risuonare Maria, la sua campana preferita. Ricordate quel pezzo del Notre-Dame de Paris, libro IV, capitolo terzo? On ne saurait se faire une idée de sa joie les jours de grande volée… . Ma continuiamo nel mortorio e scorgiamo qualcun altro, ovvero gli arcangeli, che sono i capi degli angeli. E qui la chiesa cattolica ne riconosce tre: Gabriele, Michele e Raffaele. Il primo disse a Maria che sarebbe divenuta la madre di Cristo e si raffigura dunque in sua compagnia con in mano il giglio, che della castità è il simbolo. Il secondo fu il condottiero della guerra contro i demoni e viene raffigurato intento a lottare, alato, con l’armatura e la spada, o con una bilancia per pesare l’ anima. Il terzo fu l’angelo custode di Tobia nel viaggio nel deserto e per questo ha bastone e borraccia, da bravo pellegrino esperto.

Masaccio, Battesimo dei neofiti, 1425-1426, affresco, 255×162 cm

San Tommaso il ficcanaso è facile da riconoscere e ciò è dovuto a una frase che aveva pronunciato non credendo alla resurrezione a meno di non vedere nelle mani di Gesù il segno dei chiodi e di non far passare il dito nella piega del suo costato, proprio così come il Caravaggio lo tramanda, incredulo e sfrontato. Santa Veronica asciugò il sudore dal volto di Cristo mentre portava la croce ed è quindi generalmente resa con il panno in mano su cui è impresso il viso del Signore. San Sebastiano fu legato a un palo e trafitto di frecce quando si convertì al cristianesimo e nonostante non morì per le ferite ricevute, non volle stare in disparte con le tre B amate – branda, balsamo, brodo – ma tornò dall’imperatore a ribadire la sua nuova fede, che stavolta lo fece bastonare fino a farlo morire. E c’è una cosa che forse vi dovevo dire e che mi sento di garantire: nessun Santo se l’è passata bene. San Domenico ha la divisa dei domenicani con la tonaca bianca, il mantello e il cappuccio nero. Spesso ha il giglio e altre volte il rosario, che si pensa abbia ideato. San Cristoforo avrebbe voluto essere un uomo potente ma quando capì che Dio era superiore si mise ad aiutare i poveri e i deboli che volevano attraversare il fiume, finché un giorno si caricò proprio Gesù sul groppone, che gli fece allora germogliare il bastone. Per questo lo vediamo spesso con il Gesù in braccio e il bacchio in fiore. San Clemente, nonostante divenne Papa, si rappresenta come la sorte che gli fu imposta: gettato in mare, legato a un’ancora. San Dionigi fu sbattuto in gatta buia per colpa della sua predicazione, legato con una pesante catena e arrostito sulla rovente graticola. Sant’Andrea fu il primo a seguire il Messia e a convertire i miscredenti che incontrava ma, colto con le mani nel sacco, dopo aver guarito la moglie del governatore romano a Patrasso e altre persone, fu crocefisso a X fino a crepare. Essendo stato legato alla croce, proprio la fune e la lettera X sono le sue caratteristiche di rappresentazione, oppure la rete con i pesci, perché anche lui era pescatore. Sant’Antonio si presenta con la tonaca da frate, il bastone a T e il campanello scacciaspiriti pronto all’uso perché fu più volte tentato dal diavolo e lo si vede spesso resistere alla trappola di una donna semivestita con le corna, come fosse il ragno con la mosca.

Antoine Wiertz, Quasimodo, 1839, olio su tavola, 112×95 cm

Elena fu la madre di Costantino, il primo imperatore cristiano, e si può definire un caso raro: non subì pene e viene raffigurata dormiente, mentre in sogno le compare la croce. Marta, sorella del resuscitato Lazzaro, servì un pranzo a Cristo e sconfisse il drago che aveva terrorizzato gli abitanti di Tarascona, armata solo di aspersorio e acquasantiera. La sua rappresentazione è perciò duplice: massaia devota o impavida guerriera. San Paolo perseguì i cristiani in un primo momento e poi ebbe l’illuminazione della conversione sulla via di Damasco, cadendo da cavallo, così come viene reso, ma poi – tranquilli lettori – anni dopo fu decapitato. San Nicola, di gran lunga il mio preferito, viene a volte tramandato con le sfere d’oro donate a tre fanciulle per evitare loro la prostituzione o mentre estrae tre giovani da una tinozza prima che si accenda la fiamma. A volte invece figura con un’ancora e una nave vicino per ricordarci che aveva salvato alcuni marinai da un sicuro naufragio.

Marco d’Oggiono, Pala dei tre Arcangeli, 1516 circa, olio su tavola, 255×190 cm

Ma analizziamo altre tragedie della sezione femminile, e anche qui non andiamo per niente bene. Caterina d’Alessandria fu condotta in una cella ma non morì di stenti perché fu nutrita dalla divina colomba. Senza troppi complimenti subì allora la tortura della ruota dentata ma un fulmine riuscì a salvarla, fino a che poi fu decapitata: anello mistico, spada e ruota sono i suoi attributi, direi più che meritati. Santa Barbara fu rinchiusa in una torre come Rapunzel, fu torturata con una frusta che si trasformò presto in innocue penne di pavone, tentarono di decapitarla ma riuscì ancora a scamparla. Torre e penne di pavone sono i suoi sacrosanti connotati. Santa Cecilia compare con gli strumenti musicali perché durante le nozze terrene con Valeriano sentì risuonare lieti canti e organi nel suo cuore, mentre Apollonia subì il prelievo dei denti con la tenaglia, simbolo del suo martirio – che proprio ci vuol tutta – ma, non contenta, fu costretta a gettarsi tra le fiamme per trovar la pace eterna. E di certo un Dayak arborigeno con l’osso di canguro nel naso sarebbe stato più educato. O santi numi, quanti siete. E che strage. Servirebbero cento pagine…

*E’ il vero nome di Filippo De Pisis, che era un collezionista di conchiglie e farfalle

Bartolomé Esteban Murillo, Martirio di sant’Andrea, 1650, olio su tavola, 123×162 cm

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano), curatore (Settantaventidue, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni

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