Nel 1942 lo scrittore visionario Aldous Huxley pubblicava un breve (e a dire il vero poco noto) saggio che portava il titolo L’arte di vedere. L’autore di Brave new world individuava, in questo luogo, la copresenza di fattori fisici e psicologici nel meccanismo della visione. In sostanza, vedere non è solo un fatto fisico, ma anche, e forse soprattutto, mentale. L’opera di Cyprien Gaillard in mostra alle OGR Torino fino al prossimo 2 febbraio si pone da un analogo – è il caso di dirlo – punto di vista.
Cyprien Gaillard (Parigi, 1980, ma oggi vive e lavora a Berlino) è oggi riconosciuto tra i più significativi artisti a livello internazionale. L’opera video presentata a Torino s’intitola Retinal Rivalry e si fonda sull’indagine, già iniziata con Nightlife (2015) circa le potenzialità artistiche ed espressive delle tecniche del cinema stereoscopico.
Presentato in anteprima alla Fondazione Beyler di Basilea, commissionato da OGR Torino e coprodotto da Fondation Beyeler, Haus der Kunst München, Ministero della Cultura francese, Medienboard Berlin-Brandenburg, Sprüth Magers e Gladstone Gallery, il video in mostra si presenta come un cortometraggio della durata di una trentina di minuti, che invade l’intero Binario 1 delle OGR e in cui l’artista esplora i confini tra cinema, percezione e scultura, risucchiando lo spettatore in una sorta di esperienza psichedelica in cui tutti i punti di riferimento spaziali e visivi sono stravolti.
Esplorando i meccanismi della visione, Gaillard ci mette di fronte ad una realtà che sappiamo, ma che spesso sfugge ai nostri occhi: l’esperienza visiva avviene nel cervello, è la nostra mente a creare una sintesi degli stimoli esterni e a restituirceli in modo ordinato e ricco (speriamo) di senso.
Nell’esperienza consueta, le immagini percepite dai due occhi sono convogliate e armonizzate in una sola sintesi binoculare o stereoscopica. Il cinema volgarmente detto in 3d sfrutta questo meccanismo per dare forma, tramite l’uso dei tipici occhialini, a immagini a tutto tondo che danno l’impressione della profondità. Che cosa accade, però, se ai due occhi sono presentate immagini tra loro discordanti? È questa, appunto, la rivalità retinica. Trovandosi nell’impossibilità di fondere le due immagini in una sola, il cervello alterna le due visioni, in una spaesante danza psichedelica, oppure crea una sorta di cut-up à la Burroughs, alla ricerca di un’irrealizzabile mediazione.
Ma c’è di più. Anche nella normale visione binoculare, se gli occhi sono due, così come i punti di vista che sono restituiti al cervello, allora c’è anche sempre un punto cieco, posto tra l’una e l’altra immagine percepita, che sfugge alla percezione. È proprio a partire da questo punto cieco che il meccanismo della rivalità retinica ha luogo, ed è sempre a partire da qui che il film di Gaillard si fa scultura, o meglio movimento nello spazio che prende, letteralmente, lo spettatore per condurlo su strade inattese.
Le immagini che compongono il film sono quasi tutte ambientate nella Germania contemporanea. Dall’Oktoberfest annebbiato di birra, alle rovine romane scoperte in un vecchio parcheggio sotto la Cattedrale di Colonia; da un Burger King costruito su un ex luogo di raduni nazisti, alla statua di Orlande de Lassus, compositore fiammingo del XVI secolo, trasformata chissà come in un memoriale per Michael Jackson; per arrivare ai paesaggi di Bastei resi immortali (e metafisici) da Caspar David Friedrich e a un netsuke giapponese che rappresenta un commerciante danese del seicento. La contraddizione è forse il solo filo conduttore che lega tra loro tutte queste figure: una contraddizione che si gioca al doppio livello della percezione delle immagini binoculari e dei contenuti disorientanti.
Capiamo allora ancor più come la lettura scientifica del meccanismo della visione stereoscopica alluda qui a una dimensione simbolica, o meglio ancora esistenziale. Due realtà si contrappongono, si sovrappongono, la fusione e la sintesi sono impossibili. Se in ciò che vediamo, nell’esperienza della visione, c’è sempre un punto cieco, qualcosa di non percepito, tanto più questo avviene nell’esperienza della realtà sociale, tanto dal punto di vista psicologico e persino storico.
Perché sempre abbiamo davanti agli occhi qualcosa di misterioso, che non cogliamo. E questo è tanto più vero guardando all’interiorità dell’animo umano, alle sue esperienze, immagini e percezioni dal punto di vista psichico. Che cosa succede se ne siamo consapevoli? Forse non cambia nulla o forse cambia tutto. Certo l’opera di Gaillard mette in gioco tutto questo. E, come sarebbe piaciuto ad Eisenstein, sfonda lo schermo, trascinando gli spettatori in un luogo della (loro) mente, in un assemblage visivo e dinamico fatto di contraddizioni, una glass house dove tutto è possibile.