Ad Artissima 2024, tra gli espositori che sfidano le consuetudini, spicca MATTA. Una galleria emergente che invita a una riflessione sul ruolo stesso dello spazio fieristico. Il suo booth, nascosto dietro una tenda bianca, introduce i visitatori a un’esperienza sospesa, multisensoriale e straniante. Qui, l’artista Clara Hastrup presenta Fishphonics: Accelerando, un’installazione ambientale dall’atmosfera buia e surreale. Acquari illuminati ospitano pesci che nuotano liberamente; i loro movimenti si trasformano in un’armonia sonora, grazie a fotoricettori che attivano xilofoni e metallofoni, creando un dialogo inaspettato tra natura e tecnologia. Il progetto si allinea perfettamente con l’identità della giovane galleria che si distingue, sin dalla sua fondazione, per il suo approccio nomadico, ibrido e multidisciplinare. Ne abbiamo parlato con uno dei suoi fondatori: Pietro Rossi.
Com’è nata la galleria?
MATTA nasce nel 2022 dall’idea di tre soci: Giulio Rampoldi, Pierfrancesco Petracchi e Pietro Rossi. Dopo dieci anni trascorsi nel mondo delle grandi gallerie, dove abbiamo appreso tantissimo, abbiamo capito che era giunto il momento di proporre la nostra idea di galleria contemporanea. Offrendo il nostro take su cosa significhi, oggi, essere una galleria d’arte.
Sebbene la vostra sede centrale si trovi a Milano, avete scelto di definirvi una “galleria nomadica”. Qual è il significato di questo approccio e come si riflette nel vostro lavoro?
Il dialogo tra artisti e spazi è un elemento cruciale nella nostra pratica. MATTA si definisce una galleria nomadica, priva di una sede fissa, il ché ci consente di esplorare e reinventare continuamente il contesto espositivo. Visitiamo gli studi degli artisti e collaboriamo con loro per comprendere quale spazio possa rappresentare al meglio la loro visione, quale ambiente possa interagire in modo significativo con le loro opere. Questo approccio ci porta a creare progetti dinamici e specifici, in cui il luogo diventa parte integrante dell’esposizione. Ad esempio, abbiamo avuto l’opportunità di lavorare nell’ex studio di Bernini a Roma con l’artista Maximilian Arnold e di sperimentare iniziative più audaci come nel caso della mostra “In the Air Tonight” dell’artista Andrew Norman Wilson presentata in un club anni Ottanta, aperto dalle 21:00 alle 3:00. Queste scelte spaziali vanno oltre la pura funzionalità e diventano parte integrante del messaggio che vogliamo comunicare.
Debuttate ad Artissima con un progetto che sfida le tradizionali convenzioni. Quali fattori vi hanno guidato nella scelta di questa direzione?
La partecipazione a fiere come Artissima è sempre stata una questione delicata per noi. Non volevamo sentirci costretti a conformarci a un formato standardizzato, ma piuttosto volevamo affrontare questo contesto con un approccio curatoriale. Quest’anno, ad Artissima 2024, presentiamo un’opera di Clara Hastrup, “Fishphonichs: Accelerando”, che si distacca dalle consuete pratiche fieristiche, avvicinandosi invece a un linguaggio più affine alle istituzioni artistiche. Artissima rappresenta un evento di altissimo profilo nel panorama artistico italiano e, per noi, è un onore essere qui.
Come interpretate il ruolo del gallerista oggi e quali sono, per voi, gli elementi chiave che ne guidano l’evoluzione?
La domanda è complessa e onestamente non siamo sicuri di aver trovato una risposta definitiva. Per noi, essere galleristi significa uscire dai percorsi tradizionali e creare una realtà in cui l’arte non si limiti a quadri, sculture e installazioni, ma si apra anche ad altre forme espressive. Siamo appassionati di architettura, musica, moda e desideriamo che MATTA sia uno spazio in cui queste passioni si fondano e dialoghino tra loro. Ogni volta che organizziamo un opening, ci piace arricchirlo con una festa, un evento in cui coinvolgiamo musicisti e deejay, che consideriamo parte della famiglia della galleria e trattiamo quasi come fossero gli artisti di MATTA. In questo modo, la galleria diventa un punto di incontro e una piattaforma dinamica, in cui ogni evento rappresenta un’esperienza collettiva e un’opportunità di esplorare le intersezioni tra discipline.
Il vostro modus operandi sembra suggerire un’interazione più simile a quella di un collettivo curatoriale piuttosto che a quella di una galleria tradizionale. Qual è la vostra visione al riguardo?
Abbiamo dedicato molto tempo a riflettere sulla nostra identità e a valutare se definirci una galleria fosse davvero la scelta più adatta. Tuttavia, riteniamo che questa definizione ci rappresenti, poiché incarna il mondo nel quale desideriamo giocare e sperimentare. Lo facciamo a modo nostro: curando i progetti, allestendo i booth alle fiere con un’impronta personale e cercando continuamente nuovi stimoli per crescere nei processi creativi. Ci impegniamo a instaurare connessioni significative con artisti, scrittori, musicisti, ampliando il dialogo che nasce e si sviluppa attorno alla nostra galleria.
Da giovane gallerista, quale consiglio daresti a un artista emergente che si affaccia oggi al mondo dell’arte?
Non è semplice rispondere.Consiglierei di osservare ciò che è stato fatto in passato, studiare a fondo la storia dell’arte e visitare quante più mostre possibili, per ampliare le proprie prospettive. Inoltre aggiungerei, per esperienza personale, che è importante affidarsi al proprio gallerista e avere fiducia nel processo.