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Milano. Il Corpo di Ballo della Scala splende nel Trittico Balanchine/Robbins

Ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala
Ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

Balanchine creò Theme and variations in sole trentanove ore di lavoro. Il balletto andò in scena per la prima volta nel novembre del 1947 al City Center di New York. Il critico del New York Herald Tribune, Walter Terry, lo definì “il maggior balletto classico del nostro tempo” e certamente aveva visto giusto. Il nuovo lavoro di Balanchine, infatti, si differenziava da quelli ideati per i Ballets Russes di Diaghilev in quanto acquisiva una dimensione rigorosamente classica. Con Theme and variations, Balanchine sembrò aver preso in mano l’eredità  di Petipa e Ivanov, donandogli però la verve e freschezza che lo hanno sempre contraddistinto. Un balletto che andava a differenziarsi dalla danza moderna del tempo, che cercava sempre di comunicare un messaggio. E’ chiaro che nell’opera balanchiniana sembra ancora vivo il ricordo che il coreografo conservava quando, da bambino, aveva assistito a La bella addormentata al Teatro di San Pietroburgo. Anche per questo, non a caso, avviene la scelta musicale della Suite n° 3 per orchestra di Chaikovsky per costruirci sopra gli eleganti e ritmati passi che abbiamo visto in Scala il 17 novembre, in occasione dello spettacolo Trittico Balanchine/Robbins, in programma ancora fino a mercoledì 20 novembre.

Theme and variations, che si appoggia appunto sulle dodici variazioni dell’ultimo movimento della Suite 3 di Chaikovsky, si avvale del corpo di ballo secondo le regole coreutiche dei balletti tardoromantici di Petitpa: una coppia principale di primi ballerini, quattro soliste e un corpo di ballo composto da otto ballerine e altrettanti danzatori. Domenica scorsa la coppia principale era formata da Maria Celeste Losa e Navrin Turnbull, danzatori bravi in sé, ma che hanno lasciato qualche perplessità come coppia. Troppo alta lei e troppo esile lui. Ottime invece la quattro soliste Gaia Andreano, Caterina Bianchi, Camilla Cerulli e Linda Giubelli e i quattro solisti maschi Domenico Di Cristo, Edward Cooper, Rinaldo Venuti e Alessandro Paoloni. Tutti in grado di restituire quel brio e freschezza richiesti dai passi creati dal grande maestro, che non era solito giudicare né criticare apertamente i danzatori, ma che li osservava continuamente diventando un implacabile dittatore per chi perdeva concentrazione. Balanchine ha tradotto in eleganti movenze le geometrie accademiche ideate dal musicista che spesso aveva nel comporre già in mente movimenti per balletto. Theme and variations è un campionario di varietà espressive che prende le mosse da un motivo semplice, popolaresco, quasi di mezzo carattere. Il gran finale in forma di polacca, con il tema che giganteggia a tutta orchestra, è un trionfo dello spirito della danza.

Andrijashenko Mariani, Arduino Matteazzi e Gramada Fagetti

Di tutt’altro stampo e spirito il secondo atto del Trittico, che prevede la lunga coreografia di Jerome Robbins. Quando il coreografo americano cominciò Dancer at Gathering aveva appena terminato un’analisi sugli effetti prodotti sullo spazio da un corpo in movimento o immobile. Nel balletto, Robbins concepisce lo spazio in maniera più fluida che in precedenti lavori, dando l’impressione di superare i limiti del palcoscenico. Aveva il desiderio di ritrovare la sua vena coreografica pura e di lavorare nella sobrietà di una sala di ripetizioni con la presenza dei soli ballerini e del pianista. “Sto facendo un balletto molto classico su musica romantica – disse Robbins in un’intervista al New York Times- si tratta di una specie di rivoluzione contro le mode attuali. Ho il desiderio di interessarmi alle relazioni umane, ai sentimenti e di celebrare la danza”. E in effetti i diciotto assoli per pianoforte di Chopin – che comprendono una scelta di mazurke, valzer, études, uno scherzo e un notturno – sono la giusta” tavolozza di colori” sonora per celebrare l’idea di Robbins. Il coreografo del resto aveva sempre avuto una passione per Chopin quando, da giovane, osservava sua sorella Sonia, allieva della Dunca, danzare liberamente sulla musica del compositore polacco. L’atmosfera del balletto è serena, armoniosa e la si percepisce grazie alla spontaneità con cui i danzatori ballano alternandosi sul palcoscenico. La gestualità è pervasa anche da un’atmosfera intimista in cui i gesti rivelano un lirismo che non ha mai orpelli superflui. I passi di danza classica sono leggeri, aerei, come se i ballerini fossero spinti da un vento leggero, una brezza. Sembrano intrecciarsi relazioni amorose tradotte in passi a due che non sono concepiti per delle coppie fisse. I ballerini si alternano scambiandosi il partner, instaurando tra di loro una specie di gioco tra amici. Bravissimi tutti gli esecutori scaligeri in cui spiccano senza dubbio la leggiadra coppia Nicoletta Manni – Timofej Andrijashenko e un sempre più fluido ed espressivo Claudio Coviello.

Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko

A chiudere lo spettacolo The Concert, balletto ironico che Robbins creò nel 1956 quando era associato alla direzione artistica del New York City ballet, diretta da Balanchine. Qui Robbins rivela ancora un altro aspetto del suo talento attraverso una messa in scena buffa, un piccolo gioiello di una ventina di minuti che occupa uno spazio a sé nel repertorio del coreografo. Un balletto che decostruisce le convenzioni del balletto classico.  Possiamo dire una satira dei clichè della danza classica impregnata di elegante umorismo che tratteggia i vari personaggi in pochi gesti: dalla bella sognatrice, alla moglie burbera, al marito farfallone, timido e imbranato. Anche in questo caso Robbins attinge dalla musica di Chopin che, come afferma lui stesso, sembra averlo ossessionato tutta la vita.  Anche The Concert è caratterizzato da una leggerezza che fa sembrare andare ogni cosa per proprio conto come fosse tutto naturale. Certamente una leggerezza diversa da quella di Dancer at Gathering (che arriverà ben 13 anni dopo), ma una leggerezza che contraddistingue ogni lavoro del coreografo.

Spigliati e perfettamente inseriti nei loro ruoli tutti i protagonisti del balletto, da Gabriele Corrado, il marito farfallone a Maria Celeste Losa, la moglie bisbetica,  e poi Domenico Di Cristo (Sky Boy), Lady Greta Giacon (The Angry), Edoardo Caporaletti (First Man), Massimo Dalla Mora (Second Man), Denis Gazzo, Christelle Cennerelli,  Daniele Lucchetti. Tra loro spicca la bellissima e seduttiva Letizia Masini, la Ballerina- sognatrice, di cui sentiremo sicuramente parlare ancora. Ma forse il protagonista vero di questa creazione è il pianista, posizionato a lato del palco, ma non per questo meno visibile dei danzatori, anzi! Leonardo Pierdomenico, diplomato all’Accademia Nazionale Santa Cecilia di Roma e adesso docente di pianoforte presso il conservatorio “U. Giordano” di Foggia, è un pianista d’eccezione che si è apprezzato anche (e soprattutto) nella splendida e ineccepibile esecuzione dei 18 brani chopeniani di Dancer at Gathering.

Leonardo Pierdomenico e Christelle Cennerelli. Ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala

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