Nell’opera di Cajkovskij c’è un grande legame fra aspetti biografici, tratti da una personalità fatta di traumi, e vissuti familiari, infantili esperienze e crisi dei tempi. Tanto da dare per certa l’appartenenza del musicista non a un Romanticismo ultimo, ma al Decadentismo, al grande Decadentismo europeo con le sue ansie e le sue delusioni, con il venir meno degli ideali, con il non senso della lotta quale strumento per affermare la vita. Ragione per cui alla lotta si sostituisce l’estetismo di costume e arte e la preziosità sottile; e il fare la voce grossa è solo un disperato tentativo di esorcizzare la morte. Tali aspetti sono emblematici del primo dei tre capolavori-balletto di Cajkovskij: il Lago dei cigni, commissionato dai Teatri Imperiali di Mosca nel giugno 1875, ultimato il 22 aprile 1876 e messo in scena al Bolshoi il 4 marzo 1877.
Anche nel Lago il fato avverso e il rimpiangere il passato e sperare nel futuro senza mai essere soddisfatto del presente sono una metafora artistica della vita. Il passato è l’adolescenza del giovane principe Sigfrido, ma nel festeggiare la maggiore età è venuto il momento di prendere moglie. Sigfrido spera così nel futuro, in Odette, il cigno che dal lago incantato si trasforma, sotto i suoi occhi, in donna meravigliosa. Ed è lei che crede di riconoscere tra le principesse venute da Ungheria e Polonia, Italia, Russia e Spagna per candidarsi sue spose. Ma il presente è fallace, malato, vano. Colei che gli presenta il barone Rotbart, artefice del maleficio gettato su Odette, è Odile, sua figlia, vestita da rassomigliare a Odette. Nel momento in cui Sigfrido giura fedeltà eterna alla donna sbagliata, non resta che la morte o la salvezza della donna cigno.
Dal lontano 1877 non si conta il numero di quanti laghi e quanti cigni si è andato popolando il grande palcoscenico della danza! Il balletto, che prende origine addirittura dalle Metamorfosi di Ovidio, ha visto molte coreografie: da quella storica di Petipa-Ivanov fino a quella di Gorskij del 1901, poi quella di Radunskij del 1937, quella di Grigorovic del 1970, quella di Nureyev per il Teatro alla Scala del 1990. Ma ci sono state anche versioni meno tradizionali come quella di Mats Ek e in seguito quella di Mattew Bourne.
Mercoledì 27 novembre al teatro Politeama di Genova è stata proposta la versione di Luciano Cannito con l’esecuzione della Roma City Ballet Company, compagnia senza pretese che si avvale però di grandi star della danza come Iana Salenko e Dinu Tamazlacaru, principal dello StaatsBallett Berlin. Purtroppo, come in altre produzioni del genere si è dovuti rinunciare alla musica dal vivo, il che è già una grande penalizzazione per un balletto come il Lago dei cigni, ma a supplire la mancanza c’è stata la novità dell’inserimento dell’intelligenza artificiale per quanto riguarda le scenografie. In questo caso si può parlare del balletto di Cannito come di una prima mondiale. «È la prima volta che l’intelligenza artificiale viene utilizzata in un balletto classico» aveva spiegato il coreografo, nonché direttore artistico dei teatri Alfieri e Gioiello di Torino. E in effetti lo scenario digitale proposto ha creato una certa suggestione, immergendo il pubblico prima nel bosco del lago incantato, poi nella suntuosa reggia del principe Sigfrido, e nuovamente tra le acque del lago, dimora infelice della principessa Odette. Le immagini in movimento erano proiettate su pannelli a lato del palco e sul fondale. Questo purtroppo ha tolto molto spazio alla danza. I ballerini, benché numericamente inferiori a quelli utilizzati in una tradizionale versione del balletto, facevano indubbiamente fatica a misurare i passi all’interno di uno spazio sacrificato.
Ciò non toglie che l’effetto finale sia stato comunque gradito al pubblico che alla fine ha applaudito calorosamente gli interpreti, soprattutto una splendida Salenko dalla tecnica ineccepibile che, malgrado i suoi 41 anni, rimane una tenera e affascinante Odette, nonché una seducente Odile. Bravo e completamente dentro il ruolo Manuel Paruccini, già apprezzato ne Lo Schiaccianoci sempre di Cannito nella parte di Drosselmeier.
Il tutto si chiude sul trionfo dell’amore dei due protagonisti e la sconfitta del mago che scivola all’interno delle acque virtuali per dar spazio a una grossa luna voluta fortemente dall’IA, che, come ha spiegato Cannito, ha un suo gusto personale a cui è difficile se non impossibile opporsi.