Come spesso accade, gli artisti non solo sono in grado di anticipare il futuro, ma anche di interpretarne la complessità. Così, per sottolineare il tema della fluidità sessuale, cardine della sua pittura, uno dei maggiori artisti contemporanei sulla scena internazionale, Francesco Clemente, dipinge l’acquarello She and She nel lontano 1982. I due volti presenti nell’opera mostrano tratti sessuali assai ambigui, quasi a suggerire un’identità incerta e ambigua. La stessa iconografia ritorna nel 2005, con il ciclo Androgyne Selfportrait: tre acquarelli con versioni differenti del volto dell’artista, diviso in due parti corrispondenti ai generi sessuali, esposti alla galleria Lorcan O’Neill l’anno successivo.
Oggi Clemente torna a Roma con la mostra “Anima Nomade” al Palazzo delle Esposizioni, curata da Bartolomeo Pietromarchi, che si concentra sulle sei tende realizzate dall’artista in India dal 2012 al 2014, esposte tutte insieme al Mass MoCA (2015) e al Carriageworks di Sidney (2016). Ricamate all’esterno e dipinte all’interno, queste tende sono spazi intimi, quasi di raccoglimento e meditazione, che rappresentano una sorta di viaggio nel mondo privato dell’artista. Una di queste, La Tenda degli Angeli, è una sorta di cappella popolata da corpi di angeli, dove gli attributi sessuali sembrano interscambiabili nella loro ambiguità. Angeli caduti o figli dell’Angelus Novus di Benjamin, queste creature fluttuano in fondali dalle tinte pastello, o giacciono sdraiati su triclini, in atteggiamenti languidi e sensuali che li avvicinano ai protagonisti delle fiammeggianti visioni di William Blake.
Nelle sale del Palazzo delle Esposizioni, l’arte di Clemente si fa racconto mitico, saga orientale, rarefatta e sofisticata mise en scène che ricorda le architetture fantastiche disegnate da Francesco Borromini. Le linee spezzate e i giochi di luci e ombre tra superfici concave e convesse evocano l’Oriente, fino all’incredibile camino che campeggia nella sala di ricreazione dell’Oratorio dei Filippini, a forma di tenda orientale.
Sulle tracce dell’identità di genere, raccontata da uno dei pittori italiani più visionari, ci spostiamo da Roma all’Accademia dello Scompiglio a Vorno, in provincia di Lucca, dove si è appena inaugurata “Nexaris Suite”, la personale di Agnes Questionmark, a cura di Angel Moya Garcia, che esplora tematiche legate alla transizione sessuale, auspicando nuove forme di umanità ibridata, in cui il corpo viene reinventato in un’identità trans e fluida, secondo teorie di filosofi come Michel Foucault, Donna Haraway, Rosi Braidotti e Paul B. Preciado.
La mostra è composta da due installazioni. La prima, Opera Medica (2024), è un video a tre canali in cui l’artista assume i panni di un medico intento ad operare una creatura informe, insieme a un’assistente. Girato da tre punti di vista differenti, l’operazione assume il carattere di un rituale, alimentando una riflessione sul controllo esercitato dal medico sul paziente attraverso il suo sguardo, sia fisico che digitale. Con un’estetica che presenta molti punti di contatto con il film The Substance (2024) di Coralie Fargeat, l’opera si configura come uno scenario in cui collocare la ricerca dell’artista. Come sottolinea il curatore: “Se la visibilità è lo strumento attraverso cui lo sguardo medico esercita il suo dominio, gli occhi potrebbero divenire gli unici strumenti di liberazione del corpo del paziente dalla morsa sorvegliatrice dell’apparecchio.”
La seconda opera, Nexaris (2024), presenta una creatura aliena e mostruosa, dal corpo informe, nero e molle, dal quale fuoriescono lunghi tentacoli rosa. Il mostro è collocato al centro di una macchina operatoria, pronta a trafiggere i suoi occhi, l’unica componente umana dell’essere, che rivolge al visitatore uno sguardo atterrito. Il titolo dell’opera fa riferimento a una stanza chirurgica ibrida e automatizzata, dove il corpo del paziente viene esaminato da una serie di macchinari in grado di fornire uno screening digitale in pochi minuti, emblema del controllo totale che trasforma il nostro fisico in milioni di microdati, analizzati da un computer e visualizzati su uno schermo.
All’alba del XXI secolo, l’ambiguità rappresentata da Clemente attraverso la pittura diventa un territorio in cui il corpo diventa di fatto l’involucro di identità mutanti, risultato di rischiosi e inquietanti intrecci inestricabili tra tecnologia e natura, temi sui quali la mostra di Agnes Questionmark fa riflettere.