Lo sguardo riflesso attraverso gli scatti di Josto Miglior, fotografo di Jerzu: con più di 140 immagini un volume riscopre mezzo secolo di vita nella regione storica sarda dell’Ogliastra ed ecco la vivacità, fuori dalla narrazione dominante, di una Sardinia felix nella prima metà del ‘900.
L’Ogliastra è una area montuosa che rapidamente digrada al mare nella parte centro-orientale dell’isola di Sardegna. È una terra di calcare, aspra, colonizzata dal ginepro e dalla vite endemica negli scoscesi versanti, da superbi boschi di lecci nelle più inaccessibili zone collinari e nelle profonde valli da ulivi e ancora dalla vite, sempre insieme a pascoli bradi. L’uomo, che vi abita con continuità dal neolitico, ha plasmato ed è stato plasmato da questo territorio impervio, geograficamente percorribile con difficoltà, facendo prosperare allevamento e vigne del nero Cannonau, autoctono vitigno dalle bacche scure, caratterizzato da grappoli conici e da acini sferici ricchi di zuccheri.
Raccontano questa terra e la sua gente le fotografie di Josto Miglior, medico, studioso di linguistica e toponomastica, imprenditore agricolo e fotografo amatoriale scomparso centenario nel 1995. Egli è autore di un corpus di immagini di cui sono superstiti circa 400 negativi, salvaguardati da Mauro Rombi e da questi studiati e in parte pubblicati nel sesto volume della serie da lui curata “I fotografi della Sardegna”. Un nucleo che parla di una passione che comincia intorno al 1915 quando Miglior, ventenne impegnato nel corso di laurea in medicina, è chiamato per il servizio militare durante il primo conflitto mondiale e lì, sul fronte, realizza i suoi primi scatti, le linee nemiche e i commilitoni. Con la fine del conflitto, la laurea a Bologna e l’assunzione dell’incarico di medico condotto nella sua Jerzu il giovane inizia a guardare il vivere della terra d’Ogliastra e ad usare la macchina fotografica, seguendo la sua attenta fascinazione per la modernità e il progresso tecnico. Da questi scatti, riconducibili in gran parte agli anni venti, trenta e quaranta, emerge un mondo dal marcato contrasto tonale – volti sorridenti e giornate di festa, lavoro agricolo e fatica, famiglie borghesi, contadini e braccianti, villaggi e il vasto paesaggio, tra natura, campi, coltivazioni – che dalla attenta composizione fa risaltare, nell’asprezza del vivere, l’armonica convivenza della società sarda e, come scrive Rombi, “nelle immagini scorre una narrazione che, partendo dalle vicende di una famiglia particolare, si estende al paese, alla gente, povera o benestante, ai rituali di tutta una comunità. Una narrazione che si allarga, come i cerchi nell’acqua, e finisce per scrivere una Storia più grande che coinvolge tutti”.
Sono scene riprese attraverso l’occhio di un dilettante, un amatore della fotografia che porta lo sguardo di un autoctono – una lettura della realtà diversa dai professionisti della fotografia presenti in Sardegna durante gli stessi decenni – attento alla valenza estetica e alla composizione ma distante, nei modi e negli obiettivi, da modo di guardare dei viaggiatori. È un approccio – mediato dall’appartenenza a quello stesso gruppo umano immortalato e da un atteggiamento umile, amichevole e positivo – che non pone distanza tra soggetto ripreso e autore. Sono riprese così le genti d’Ogliastra con le loro case inerpicate sulla montagna, coltivatori, sterratori, vignaioli, vendemmiatori, le donne con la testa coperta dai fazzoletti e i bambini ma anche la piccola borghesia locale e la modernità incipiente. Pur nelle differenze quello che si vede è sempre un insieme sociale unito dove “nella dignità dei portamenti, nei vestiti eleganti ma anche in quelli umili, nei gesti misurati, nelle enfasi amichevoli, nei sorrisi ora dirompenti ora timidi si nota un afflato comune, che oltrepassa le rigide barriere sociali per dare un volto omogeneo ad una comunità coesa e partecipe, divertita e solidale” come nota Rombi. Quello immortalato da Miglior è un gruppo che al tempo del lavoro sa accostare i piccoli piaceri scoperti con la Belle Époque, le gite, tra campagna e mare, sino alle giornate liete, come quelle di balli e di musica della festa di Sant’Antonio sopra Jerzu. Da queste fotografie emerge una significativa interpretazione della realtà: un contesto sardo vivace e di armonica convivenza dove un popolo dalla concreta e visibile ricchezza culturale non è statico, arretrato o bloccato a un glorioso passato, ma è brioso, animato ed attento al progresso.
Testimonianza del valore delle raccolte private e dell’importanza della loro salvaguardia e del loro studio, il corpus fotografico creato da Josto Miglior e la ricerca del volume Lo sguardo riflesso – inserita nel progetto “I fotografi della Sardegna” curato da Mauro Rombi – riescono a restituire la complessa storia della società dell’isola, vivace e mai fermo nel tempo con un frammento di vita locale resa attraverso le immagini, un punto di vista sul contesto sardo nato dal suo interno, una visione autoctona, moderna e proiettata verso il futuro.
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