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Il “Donnismo”: una fenomenologia del post-femminismo globale?

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Guerrilla Girls
L’Occidente ha sempre prodotto ismi, e dopo il museismo – fenomeno diffuso all’inizio del nuovo millennio, che ha pervaso non soltanto l’Europa e che include il mostrismo in corso, prevalgono ovunque progetti scenografici e allestimenti mix media spettacolari, prodotti per soddisfare l’industria cultuale e il marketing mondano; tutto o quasi è concepito per l’intrattenimento, in una teatralizzazione degli spazi. Altrettanto rapidamente si è diffuso il virus della “mostra-mania”, purché sia Donnista, Womanism per dirla con Alice Walker, e si continua a puntare sull’esperienza piuttosto che sui contenuti, in cui anche i curatori sono artisti, e il principale obiettivo è produrre connessione globale e sbandierare l’internazionalismo, il superamento del colonialismo culturale occidentale, e aumentare, appunto, la percentuale di donne in mostra.

Il pensiero progettuale contemporaneo ruota intorno al concepire mostre superficiali, d’immediata riconoscibilità dei valori estetici propri alla cultura di massa, invece che sull’interiorità dell’arte, come prassi di conoscenza ed espressione del processo concettuale, sociologico, antropologico e filosofico; l’appiattimento della critica (defunta e sostituita da I Like) fa il resto. Dal 2022, in seguito alla 59ª Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, intitolata “Il latte dei sogni”, in omaggio a Leonora Carrington (1917-2011), a cura di Cecilia Alemani, siamo passati al Donnismo, per rispondere alla scarsa percentuale di presenze di artiste donne nelle biennali, o nelle grandi mostre prodotte per musei internazionali. In sintesi, a Venezia abbiamo visto il 90% di presenze femminili in Biennale, che nell’ultimo ventennio era stazionario tra il 10% e il 20%.

Jennifer Baumgardner, nata nel North Dakota, Stati Uniti, nel 1970, diventata attivista femminista dall’epoca del college nel Wisconsin, una voce importante del femminismo grazie alla pubblicazione Manifesta (2000) che celebra l’avvento di una terza ondata, scrive sulla bisessualità, di giustizia riproduttiva, aborto e stupro. Nel 2002, insieme a Amy Richards fonda Soapbox Inc. per offrire una piattaforma all’attivismo femminista. I suoi film I had an Abortion (2005) e It Was Rape (2013) esortano le donne a condividere le loro esperienze; insomma siamo all’alba di #MeToo – movimento femminista contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne diffuso in modo virale, che a partire dall’ottobre del 2017 come hashtag usato dai social media, è stato criticato da molte intellettuali e giudicato semplicista da donne anche femministe, come l’attivista Margaret Atwood e altre che non sopportano il vittimismo, ma sono a favore del merito a prescindere dal sesso biologico, come la sottoscritta. La creatività è trasversale.

Per chiarire gli orizzonti, la prima ondata del femminismo lotta per l’uguaglianza di genere (movimento suffragista dal 1848 al 1920), la seconda indaga le radici dell’oppressione (autocoscienza femminista, dalla metà degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta), la terza ondata (dagli anni Novanta al 2012) vede le donne di colore e le minoranze impegnate nella lotta di parità di genere e di opportunità di lavoro, e da qui dobbiamo partire per capire cosa sta succedendo nell’anno in cui Kamala Harris (1965), prima donna nera candidata alla presidenza degli Stati Uniti della storia, non è stata eletta né dalle donne americane né dai giovani, seppure appoggiata da Michelle e Barack Obama con altri ex presidenti democratici e diversi attori, intellettuali e attiviste.

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Echi di divisionismo

È di buon auspicio il caso del Baltimore Museum of Art che nel 2020 ha acquistato per la sua collezione permanente soltanto opere create da donne, ma la domanda è: questo divisionismo sessuale ostracizzante non ci porta a fomentare una sterile guerra tra i sessi già in auge negli anni Settanta? Ha senso tornare al passato? Non rischiamo di perdere di vista un fatto ormai culturalmente riconosciuto, che sesso a parte vale la qualità dell’opera e l’autenticità di un operato in qualsiasi ambito di lavoro di chi produce qualcosa di nuovo per la collettività? Ma l’arte contemporanea cosa serve se non ha prodotto nuove conoscenze? Superati i ginecei culturali, dovremmo avere una visione più inclusiva, come va di moda dire oggi!

Si pensi, ad esempio, all’operato del collettivo femminista Guerrilla Girls, artiste femministe che a partire dal 1984 analizzano e criticano la condotta dei musei e delle gallerie d’arte, complici dell’esclusione di artiste nere dai loro spazi espositivi. Ebbene, fortunatamente non è più così. Il panafricanismo è dominante nella scena artistica del presente, in cui le donne sono protagoniste. Anche se c’è ancora molta strada da fare, si sa, nel sistema dell’arte osserviamo un fenomeno contrario, cioè che le artiste più emarginate o LGBTQ+, meglio se di colore, più trovano opportunità espositive anche se francamente producono opere mediocri o discutibili. Hanno successo le autrici di opere che puntano sul riscatto delle minoranze, delle diversità culturali, anche se penso che dovremmo valutare soprattutto l’originalità delle diverse narrazioni e trasfigurazioni del presente che tutte le artiste ci mostrano attraverso il loro lavoro e ricerca innovativa nei contenuti, e perché no anche bella! Ma la bellezza non va di moda, prevale la dietrologia e la narrazione, il processo dell’opera, non la tensione estetica formale.

Nel frattempo, la diffusione dei social media ha portato a un boom dell’attivismo intorno ai diritti LGBTQ+, aprendo una quarta ondata, come si vede nell’arte contemporanea, in cui l’artista queer o persone non binarie prevalgono sulle eterosessuali, come si è visto nella 60ª edizione della Biennale d’Arte (2024), a cura di Adriano Pedrosa, primo curatore autodichiaratosi queer nella storia delle Biennali dal 1895.

Di recente è stata nominata come curatrice della prossima 61ma edizione Koyo Kouoh, che condurrà la Biennale nell’ottica femminista panafricana e internazionale: l’autorevole curatrice camerunense, piaccia o no, non rappresenta la maggioranza delle donne né delle artiste di colore, anche se riconosciamo i suoi meriti. Sappiamo che ha studiato economia aziendale in Svizzera e rappresenta una élite intellettuale occidentale, così come Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico dal 2023, non rappresenta né il vecchio e rinnovato proletariato di ritorno, né tanto meno le artiste donne. Quando mai l’abbiamo sentita parlare di arte e del ruolo culturale delle donne nell’arte di ieri e di oggi?

Paetongtam Shinawatra

Premesso che nell’epoca della sinistra dall’identità fluttuante e confusa, è bene ricordarci che – seppure donne come la Regina Vittoria, Margaret Thatcher (detta la Lady di ferro), Marisa Bellissario, Marine Le Pen, Giorgia Meloni e molte altre donne di potere siano per lo più fedeli alle regole del padrone e non aiutino le altre donne nella loro ascesa professionale, è ben chiaro che la cultura patriarcale si radichi e sopravviva nella psicologia delle donne, madri ed educatrici, delle nuove generazioni. Questo è il problema: confidiamo in uomini sempre più lesbici e femministi.

Intanto, il Donnismo procede a colpi di nomine avvalorate dal potere maschile per necessità storica più che per convinzione culturale, per seguire il trend del momento. Guendalina Salimei sarà la direttrice del Padiglione Italia nella prossima Biennale di Architettura a Venezia (2025), e speriamo di vedere progetti che attivano dinamiche sociali di partecipazione tra l’arte del costruire (attività antropica per eccellenza) nel rispetto dell’ambiente a favore di una cultura ecosolidale con e per le donne. Poi vedremo quante architettrici saranno incluse in questa importante occasione, chi vivrà vedrà!

Nella Nuova Zelanda, la sovrana dei Maori, Nga Wai Hono i te Po Paki, che ha soli 27 anni, è diventata la regina più giovane del mondo, veste Gucci e ha il Moko Kaue (il tradizionale tatuaggio sul mento). Lei succede al padre, re Tuheita, morto di recente dopo 18 anni di regno. È stata scelta come ottava sovrana da un consiglio di 12 anziani (maschi). Sua nonna è stata la prima regina Maori fino alla sua morte nel 2006, mentre Paetongtam Shinawatra, 38 anni, è la più giovane primo ministro nella storia della Thailandia.

In Italia, abbiamo il più basso tasso d’Europa di occupazione femminile, con 52 donne su 100 a fronte di 70 maschi su 100. Altro dato sconcertante: su 100 dirigenti, 21 sono donne e, in Italia, il 70% delle lavoratrici si fanno carico del lavoro domestico. Le artiste donne sono tante, ma pochissime italiane spiccano il volo e conquistano scenari internazionali: colpa delle galleriste che non le promuovono?

Rosa Luxemburg

Le idee di Marx e Engels ebbero una grande influenza sulle femministe socialiste grazie a Carla Zetkin (1857-1934) in Germania, Rosa Luxemburg urlava alle folle “solo attraverso la lotta di classe diventeremo esseri umani”. Parole sante, ma per farlo abbiamo bisogno dell’altra metà dell’universo. Dobbiamo procedere con e non contro l’uomo che ci aiuta a trovare il nostro posto nel mondo, perché dietro una grande donna, impariamo a riconoscerlo con onestà, c’è sempre un “grande uomo” che crede nelle nostre potenzialità e ci crea spazio per agire al meglio, lo insegna la storia. E viceversa.

Come già sappiamo dalla storia, apprendiamo che non abbiamo imparato nulla. Il Donnismo effimero, blablaista, di facciata e contemporaneo è al servizio del padrone, radicato nella cultura patriarcale in cui siamo ancora immersi. Per questo è aumentata la rabbia vendicativa di chi non si riconosce in questa ondata anomala, che passerà come tutti i fenomeni organizzati dalle ingerenze dell’economia e della borghesia. Ma questa è un’altra lunga storia.

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