
Artisti giovanissimi, nomi nuovi per la scena italiana. Questo l’humus per la nuova “project room” della galleria Tube Culture Hall
“Questo quadro mi fa sentire come un bambino stretto nell’abbraccio, che sente il sapore dolce ma stanco del corpo della mamma”. Così l’artista Lin Hongjing – 20 anni – commenta una delle sue opere esposte a Milano nella mostra Peony Pavilion, nello spazio di Tube Booth. Una realtà relativamente nuova, alla seconda mostra, una sorta di project room della galleria Tube Culture Hall, gestita sempre da Federica Ferrari. Un progetto pop up, nomade, che intende esporre le proprie iniziative in diverse sedi italiane ed estere. E che conserva lo sguardo puntato su realtà emergenti, specie orientali, della “casa madre”, ma qui concentrandosi sulle nuove generazioni.

A via Porro Lambertenghi arriva dunque dal 6 marzo questa giovanissima cinese (2005, Shanghai), che vive e lavora a Venezia, dove frequenta l’Accademia delle Belle Arti. E presenta un ciclo di opere recentissime, che approfondiscono da differenti prospettive una serie di complesse tematiche. “Rielabora con sorprendente finezza le atmosfere incantate suggerite dall’opera drammatica, risalente alla dinastia Ming, che dà il titolo alla mostra”, precisa Carlo Di Raco nel testo che accompagna la mostra. “Ne risultano 13 dipinti tutti di dimensioni diverse, in gran parte oli o tecniche miste su tela o tavola di piccolo e medio formato. Che interpretano storie differenti con multiformi soggetti, a ciascuno dei quali è destinato uno spazio particolare”.

L’identità del nuovo progetto era già dichiarata dal primo progetto espositivo, con la mostra personale Divining the Darkness di Zayn Qahtani (1997 Bahrain), che vive e lavora a Londra. Sette le opere esposte, con un personalissimo uso del disegno, della pittura e della scultura. E con un’accuratissima scelta dei materiali, dalla carta realizzata da alberi di dattero del Bahrain alle bioplastiche derivate da canna da zucchero, ai pigmenti provenienti da cristalli. “Uno sforzo diligente di archiviazione sinestetica. Le opere appaiono come scoperte archeologiche e non creazioni, alludendo ad una vita oltre l’autore”.















