
Pittore siciliano di origine belga, de Nola propone un paesaggismo che metabolizza fattispecie orientali, dallo sguardo Kaimamiru alla figura della Maiko
Fabrice de Nola si può tranquillamente inserire nella logica della neofigurazione italiana. Nata da una reazione sistolica al dilatamento dell’arte sul piano globale, la pittura italiana, nel corso degli anni Novanta, si allontanava timidamente dalla muscolarità della transavanguardia per praticare sincretismi e inquadramenti neo – narrativi. De Nola da lì è giunto oggi a una figurazione emblematica dal portato evocativo che, per modalità e temi, indaga fonti e repertori elaborati da un classicismo modernista.

Questo pittore siciliano di origine belga, evitando sempre la citazione esplicita e diretta, sembra scegliere, piuttosto, la modulazione di stilemi e grafismi senza abbandonare i richiami a una condizione di intima e originaria suggestione. Lo vediamo in questo ciclo delle stagioni esposto allo spazio espositivo Elenk’Art di Palermo. Lo strumento di lettura ce lo fornisce direttamente l’artista che ci spinge ad adottare il particolare sguardo Kaimamiru, in giapponese “intravedere”, in pratica scorgiamo, dietro il personaggio principale, il passaggio da una stagione all’altra. In un ipotetico giardino si muove la figura pilota della Maiko vestita con il tradizionale kimono. Una figura costante che serve ad intravedere, ossia vedere “attraverso”, la mutazione dei contesti.

Dimensione traslucida
Questi contesti sono ben spiegati nel breve saggio critico della curatrice Desirée Maida che si apre con una citazione tratta da Il paese delle nevi di Kawabata Yasunari: “Nella profondità dello specchio si susseguiva il paesaggio notturno, lo specchio e le figure riflesse simili a pellicole cinematografiche sovrapposte. Le figure e lo sfondo non avevano alcuna affinità tra loro, eppure, le figure, trasparenti e inconsistenti, e lo sfondo, vago nell’oscurità, si mescolavano in una specie di mondo simbolico, ultraterreno”. Questa citazione ci dà adito alla dimensione traslucida della realtà dei dipinti di de Nola, una sorta di filtro dimensionale capace di flettere e riflettere il mondo in noi.

Il paesaggio cangiante viene, così, a coincidere con un’ecologia dello spazio pittorico. Percettivamente questa coincidenza si avverte scivolando dalla nuca del soggetto principale allo sfondo, isolando, poi, il dettaglio dell’arco della capigliatura raccolta in alto sul collo della fanciulla da tutto il resto, si può assaporare la sottile differenza tra due superfici. La Maiko, cioè la figura costante di questo ciclo, è perciò altro da un personaggio semplicemente ritratto, è il pretesto per le digressioni superficiali della pittura, digressioni che vanno dal virtuosismo decorativo alla variazione di toni e gradienti alternati, sino a stesure piatte e ai fondi oro.

Dimensione flessibile
La Maiko, già utilizzata alte volte da Fabrice de Nola, qui acquista, in un certo senso, la funzione inversa da un’altra famosa donna in kimono, la Madame Monet danzante con il ventaglio di Claude Monet (Camille Monet in costume giapponese,1876, olio su tela, 231,8X142,3 cm, Boston Museum of Fine Arts) poiché qui non vi è alcuna chiusura o apertura di una soglia dinamica, non c’è nessuna ambiguità semantica a mettere in crisi la rappresentazione, bensì si imposta come una chiara affermazione. La netta contiguità tra zone piatte, in cui stendere la preziosità monocroma o contrarre la catastrofe decorativa, è funzionale chiaramente a un tema unitario.

Nella sequenza del ciclo delle stagioni, ovvero nella messa in scena della Maiko, a volte sembra però avere una funzione di astrazione delle modalità pittoriche. De Nola, bloccando un elemento formale, riassume la pittura in una dimensione flessibile ma coerente. Desirèe Maida, nel testo che accompagna la mostra, paragona questo lessema pittorico alla “Ninfa” di Aby Warburg, cioè le attribuisce la funzione di una “Pathosformlen” che personifica il tempo. Eppure, specifica la curatrice, la maiko di Fabrice de Nola, presiedendo il tempo ci pilota fuori da esso in una sospensione capace di fermare la caducità della bellezza.

Mondo transitorio
La posa è perciò necessaria ad indicare le stagioni, come in un calendario figurato in cui la fissità del soggetto serve a mostrare varianti periferiche. Dice al riguardo Desirèe Maida: “È il mondo transitorio – dei Fantasmati – o, per citare un concetto caro alla filosofia estetica giapponese, del Wabi – Sabi: cogliere la malinconia della bellezza che deriva dallo scorrere de tempo. Le maiko divengono – anzi, sono – tempo, e così si assimilano alla natura”. In ciò ritroviamo l’immobilità dello gnomone di una meridiana che, in modi diversi ma uguali, s’attiva alla luce del sole, cui assimiliamo il nostro sguardo capace di leggere il tempo nella sua proiezione sul piano.













