
La mostra “Genes Mundi” espone sei arazzi di Daniela Papadia al National Crafts Museum di New Delhi
Da tempo un’idea della ricerca di un’anima mundi da trovare nella coesistenza biologica tra specie è argomento di molti artisti contemporanei. Sia che si confrontino con le scienze sociali, sia che interloquiscano con gli scienziati genetisti, gli artisti si interrogano sulla vita dei gruppi e dell’individuo cercando un bilanciamento tra Ethos e Kratos. I principi morali che presiedono le norme comportamentali di singoli o gruppi sociali finiscono per confrontarsi con la gestione del potere, inteso quale espressione sensibile del dominio, come esercizio del controllo e della manipolazione, ma anche come capacità di indirizzare le scelte, di modificare dunque i comportamenti.
Gli artisti operano su questo bilanciamento denunciando o fornendo modelli alternativi, cioè, documentando aberrazioni ed eccessi o progettando scenari in cui la correzione dei rapporti di forza prospetterebbe un miglioramento della relazione tra i popoli, una prospettiva positiva, non necessariamente utopica. In questa ricerca di bilanciamento, il progresso della manipolazione genetica allarma, ma estende, al tempo stesso, la riflessione sul denominatore comune dell’uomo. Gli artisti guardano al Dna in termini di sorveglianza, ma anche come ceppo comune.

Mappa genetica umana
La sequenza di nucleotidi diventa patrimonio condiviso dall’Homo sapiens, un corredo diacronicamente risalente a 400.000 anni fa e sincronicamente predisposto a ridefinire una mappatura globale che supera le differenze. Quest’ultimo aspetto è il tema della mostra visibile sino al 10 maggio, in India. I sei arazzi di Daniela Papadia esposti a New Delhi presso il National Crafts Museum costituiscono Genes Mundi, una mostra in collaborazione con Chanakya e il centro culturale italiano. Questa connessione, che il lavoro di Daniela Papadia ha ridefinito in termini genetici, è stata possibile grazie al supporto di Karishma Swali.
Daniela Papadia ha realizzato questi sei preziosissimi planisferi ricamando insieme alle donne di Mumbai la mappa genetica umana, il D.N.A. L’artista ha immaginato il mondo come un gigantesco tessuto i cui fili che, dopo essersi intrecciati, si sono spezzati e dispersi. Questo trauma o questo logoramento sarebbe causato dal cedimento di un filo che ha perso la sua consistenza. Il collasso di trama e ordito, secondo l’artista, può risanarsi solamente con una cucitura. La cucitura, però, non restituisce lo stesso allineamento, ma una stoffa che, dopo essere stata trascurata, mostra i segni dei traumi che sono anche i singoli drammi nascosti nel percorso della vita dei singoli.

Il tessuto del mondo
Le mani esperte delle donne di Mumbai coordinate da Karishma Swali hanno ricamato per risanare ogni ferita, ogni perdita, intrecciando nuovamente, come a dire che con il ricamo, lentamente, il tessuto del mondo può essere ricucito. I segni lasciati dalla lacerazione sono cicatrici che raccontano una storia di mancanza, di perdita e, talvolta, di indifferenza che la pazienza e la perizia, rammenda per rendere tutto più resistente e per guarire integrando e restituendo nuova pienezza. La mano del ricamatore e della ricamatrice sono, perciò, mani di guaritrici, mani che si muovono con grazia e forza, ricucendo non solo il tessuto, ma anche ferite invisibili. Ogni punto, ogni filo, è, dunque, un gesto che non ha fretta, che non persegue risultati immediati, ma che lavora per un lungo termine con costanza e determinazione, soprattutto, il ricamo non ripara, reinventa.
Le ferite non sono così del tutto cancellate, ma sono trasformate in segni rimettono insieme, collegano, nonostante tutto. Il ricamo lento non teme il tempo, perché sa che, anche nei momenti di maggiore fragilità, la forza può nascere proprio dal punto più debole, dal filo più sottile. Ciò che è stato immaginato da Daniela Papadia è, perciò, un grade arazzo tessuto con fili di DNA, che si consuma e si rinnova, portando in sè il racconto di un destino che si intreccia nei secoli, nei millenni. L’artista pensa a queste mappe del mondo disegnate con il DNA umano, come percorse da un segno che lega due universi: quello geografico, e quello genetico. Unendo il contorno dei continenti e le eliche invisibili delle nostre cellule, queste mappe diventano il riflesso di un patto d’alleanza segreto e profondo.

Una rete di affinità
Le mappe siffatte non tracciano confini netti tra Stati o nazioni, ma disegnano flussi che si mischiano. Queste carte geografiche, più che la diversità umana, illustrano una rete di affinità, una trama di differenze e somiglianze che attraversano il pianeta. Invitano a esplorare la geografia più intima del nostro essere, un territorio vasto e intrecciato con fragile grazia. Dice Daniela Papadia: “Ogni ricamo, delicato come un respiro, svela l’armonia nascosta tra ciò che siamo e ciò che siamo chiamati a diventare, mentre il tessuto, logorato dal tempo, porta in sé la memoria di una grazia che sfiora l’usura e il confine della sua stessa esistenza”. Questi sei arazzi, misurano ciascuno di 1,2 x 2,3 metri, raffigurano il mondo attraverso la lente dell’ascendenza materna. Sono stati disegnati da Daniela Papadia e ricamati da diplomati della Chanakya School of Craft e da maestri artigiani dell’atelier Chanakya, sotto la direzione creativa di Karishma Swali.
Daniela Papadia da anni si muove sul tema della piattaforma genetica dell’umanità, lanciando un messaggio di speranza tramite l’opera delle donne. Il pensiero sulla via salvifica della maternità ha attraversato parte dell’opera di Daniela Papadia, un pensiero associato contemporaneamente al concetto di moltitudine e nel 2010 ha cominciato ad inserire nei suoi dipinti tratti di Dna. Nel 2014, insieme alle detenute del carcere di Rebibbia a Roma, tesse la Tavola dell’Alleanza, un ricamo di più di dieci metri usato come tovaglia per un banchetto di condivisione culturale. Del 2018 è il Filo dell’Alleanza (mediterraneo) che mette insieme nello stesso progetto ricamatrici israeliane e cisgiordane, il cui risultato è una grande mappa del mare mediterraneo attraversata dalle stringhe genetiche.

Archivio vivente
I planisferi di New Dheli sono costellati da lettere ricamate che segnano le mutazioni mitocondriali sopra i continenti, ad indicare una discendenza matrilineare ininterrotta e comune. La tessitura combina fili di cotone, juta, lino e lurex su tessuto di cotone, con una tecnica di ricamo classica. Genes Mundi, oggi si presenta come una cartografia della continuità storica nella sua reinvenzione contemporanea. Questo lavoro è il frutto della residenza dell’artista italiana su un progetto di contatto tra ottiche contemporanee e il ricamo a mano, un’iniziativa sostenuta da Maria Grazia Chiuri, direttore Creativo delle collezioni donna di Dior. La residenza è finalizzata promuovere il dialogo con artisti contemporanei nell’esplorazione dell’artigianato inteso alla stregua di un archivio vivente della storia umana.
Il progetto che si pone in un certo qual modo sulla scia di una intesa generale tra due paesi inaugurata dalla missione del ministro Antonio Tajani a New Delhi, all’Italy-India Business, Science and Technology Forum, co-organizzato da Maeci, Ice e Confindustria. Questa missione ha riunito le istituzioni intorno a tematiche dedicate allo sviluppo industriale, nell’età della transizione verde e delle tecnologie avanzate. l’Italia si presenta così non solo per coordinare delle priorità economiche, tecnologiche e strategiche in una strada che unisce India-Medio Oriente-Europa, ma, in un momento in cui questo corridoio va a restituire una visione più lungimirante sulla connessione tra India e area Mediterranea, vede nell’arte il fondamentale attore di un dialogo culturale.













