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Alexey Morozov, investigando il “monumento” da Roma alla Biennale

Monte Ajtmatov dell’artista Alexey Morosov, Parco di Villa Grazioli, Roma, 2025. Foto di Massimo Giorgi – © Massimo Giorgi, Courtesy dell’artista
Monte Ajtmatov dell’artista Alexey Morosov, Parco di Villa Grazioli, Roma, 2025. Foto di Massimo Giorgi – © Massimo Giorgi, Courtesy dell’artista.
In mostra, presso il Parco di Villa Grazioli, Monte Ajtmatov, il monumento dell’artista kirghiso Alex Morozov. L’opera, commissionata dal governo del Kirghizistan, è realizzata in collaborazione con il comune di Roma che ha messo a disposizione l’area verde dei giardini. Morozov, nato a Biškek nel 1974, vive e lavora in Italia da oltre dieci anni; le sue opere sono presenti in collezione presso prestigiose istituzioni come il Museo di Stato Russo, la Fondazione Lucca Banca del Monte, la Fondazione Sefirot e il Museo della Nuova Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo, oltre che in varie collezioni private internazionali. Il progetto, a cura di Geraldine Leardi – storica dell’arte e funzionaria di Galleria Borghese – anticipa la partecipazione di Morozov alla prossima Biennale Arte di Venezia, dove l’artista rappresenterà il Kirghizistan, proprio sotto la curatela di Leardi.

Monte Ajtmatov è dedicata allo scrittore e diplomatico kirghiso Čyngyz Ajtmatov, autore di scritti tradotti in più di 170 lingue; tra personale e pubblico, questa scultura coniuga i materiali storico-archivistici con i ricordi che Morozov conserva dei suoi incontri con una delle figure più eminenti della cultura kirghisa. Monte Ajtmatov è un intervento che, nello spazio pubblico, si muove tra due coordinate, e quindi possiede una duplice tensione: da un lato, il richiamo al passato con la tradizione monumentale romana; dall’altro, il rispecchiamento attraverso la pratica decostruttivista e la combinazione audace di diversi registri, formali e stilistici.

Monte Ajtmatov dell’artista Alexey Morosov, Parco di Villa Grazioli, Roma, 2025. Foto di Roberto Apa – © Roberto Apa – Courtesy l’artista e Untitled Association

Nel testo incluso nel catalogo della mostra Deconstructivist architecture (1988) – tenuta al MOMA di New York – l’architetto neozelandese Mark Wigley definisce il decostruttivismo come lo shock del consueto: l’incursione del non familiare nel familiare. Dagli arzigogolati progetti di Kazimir Malević, Vladimir Tatlin e Aleksandr Rodchenko – per citarne alcuni – il decostruttivismo interroga la forma pura sollecitando la struttura architettonica. Allo stesso modo, Morozov in Monte Ajtmatov confonde le aspettative legate alla canonica visione del monumento nello spazio pubblico. Il marmo statuario delle cave di Carrara e il Travertino romano delle cave di Tivoli sono trattati con tagli crudi e screpolature, lasciando traccia del loro residuo materico naturale. La tradizione iconografica del monumento commemorativo, vicina ai busti del Gianicolo e del Pincio, subisce una variazione netta e radicale: Morozov rinuncia alla continuità del sistema piedistallo-busto/effigie, scegliendo invece di tracciare, sinteticamente, il volto dello scrittore e di incastonarlo e integrarlo all’interno di un blocco lapideo che serve a celebrare e ricordare le montagne innevate kirghise tanto care ad Ajtmatov. Morozov annulla così la distanza reverenziale tipica del busto romano e del monumento commemorativo, rendendo lo spettatore complice e partecipe dello sguardo, attraverso un intervento scultoreo che si fa portavoce dei concetti di uguaglianza, testimoniando l’ampiezza e la potenza delle tante storie di cui si compone il mondo. La posa del torso classico, sottoposta all’astuzia decostruttivista, si riscopre, rinnovandosi a contatto con il genius loci del parco di Villa Grazioli.

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