
“Davvero verranno i giorni” è l’opera itinerante di Irene Dionisio realizzata in collaborazione con Gariwo e l’Associazione Genesi, nell’ambito dei Giardini dei Giusti, nell’intenzione di far riflettere su temi importanti quali la pace e la forza del bene. Abbiamo intervistato l’artista per approfondire vari aspetti del progetto, dalla nascita e dall’ideazione dell’opera, fino a quella che sarà la sua eredità.
Come è nata l’idea di questo progetto?
“L’idea per ‘Davvero Verranno i Giorni’ è nata dalla mia profonda volontà di esplorare e preservare la memoria dei Giusti, quelle persone coraggiose che si sono opposte ai totalitarismi e hanno difeso la dignità umana in momenti storici cruciali. La collaborazione con Gariwo – la foresta dei Giusti è stata fondamentale per dare forma a questa visione. Il progetto si inserisce perfettamente nel mio percorso artistico, che ha sempre integrato un forte impegno sociale e civile. Ho voluto creare un’installazione che non solo commemorasse queste figure eroiche, ma che stimolasse anche una riflessione sulla responsabilità civile e sul ruolo che ognuno di noi può avere nel contrastare l’ingiustizia oggi. Il titolo stesso, ispirato dalla poesia di Lea Goldberg, esprime una speranza per un futuro in cui i valori di solidarietà, coraggio morale e rispetto per la dignità umana diventino centrali nelle nostre società. Attraverso questo progetto, ho cercato di creare un ponte tra le azioni coraggiose del passato e le sfide etiche del nostro tempo, invitando lo spettatore a riflettere sul proprio ruolo nella società contemporanea. La scelta dei Giardini dei Giusti come location per l’opera è stata naturale, dato che questi luoghi incarnano perfettamente l’intersezione tra memoria storica, impegno civile e riflessione contemporanea che il mio lavoro cerca di esplorare.”
“Davvero verranno i giorni” è il titolo dell’opera. Come lo ha scelto?
Ho scelto il titolo “Davvero verranno i giorni” traendo ispirazione dalla poesia omonima della poetessa Lea Goldberg. Il titolo racchiude in sé un senso di speranza e di attesa per un futuro migliore, che è esattamente ciò che quest’opera partecipativa cerca di trasmettere. Vogliamo invitare le persone a riflettere sulla possibilità di un domani più pacifico e giusto, nonostante le difficoltà e i conflitti del presente. Inoltre, la frase “Davvero verranno i giorni” si lega perfettamente al concetto dei Giardini dei Giusti, che sono al centro di questo progetto. Questi luoghi celebrano figure che hanno lottato per i diritti umani e la giustizia, incarnando la speranza che “verranno giorni” migliori grazie alle azioni coraggiose di individui straordinari. Infine, ho scelto questo titolo perché risuona con l’aspetto partecipativo dell’opera. Attraverso il coinvolgimento di diverse comunità nella creazione della bandiera bianca, stiamo letteralmente lavorando insieme per far “venire” quei giorni di pace e riconciliazione a cui il titolo allude. In sintesi, il titolo “Davvero verranno i giorni” racchiude l’essenza del progetto: speranza, riflessione e azione collettiva.

Quanto è stata stimolante per lei la collaborazione tra la Fondazione Gariwo e l’Associazione Genesi?
Come artista coinvolta in questo progetto, trovo che la collaborazione tra la Fondazione Gariwo e l’Associazione Genesi sia stata incredibilmente stimolante e arricchente per diverse ragioni: innanzitutto, l’unione di queste due realtà ha creato una sinergia unica tra l’impegno per i diritti umani e l’espressione artistica contemporanea. La Fondazione Gariwo, con la sua rete di Giardini dei Giusti, porta una profonda conoscenza e sensibilità sui temi della memoria e della giustizia. L’Associazione Genesi, d’altra parte, offre una prospettiva innovativa sull’uso dell’arte come mezzo per promuovere i diritti umani. Questa collaborazione mi ha permesso di esplorare nuove dimensioni del mio lavoro artistico. Ho potuto confrontarmi con tematiche complesse e universali, come la pace e la solidarietà, in un contesto che va oltre la semplice creazione artistica, toccando aspetti sociali e culturali di grande rilevanza. La natura partecipativa del progetto, resa possibile dalla rete dei Giardini dei Giusti di Gariwo, è stata particolarmente stimolante. Poter coinvolgere direttamente le comunità nella creazione dell’opera ha aggiunto un livello di profondità e significato che difficilmente avrei potuto raggiungere lavorando da sola. Inoltre, il supporto curatoriale dell’Associazione Genesi, attraverso Ilaria Bernardi, ha fornito una guida preziosa nell’elaborazione artistica del progetto, permettendomi di affinare la mia visione e di presentarla in modo efficace. Infine, questa collaborazione ha ampliato notevolmente la portata e l’impatto potenziale del mio lavoro. L’idea che l’opera possa viaggiare attraverso diversi Giardini dei Giusti, coinvolgendo persone di diverse realtà e background, è estremamente stimolante e mi spinge a considerare il mio ruolo di artista in una prospettiva più ampia e socialmente impegnata. In conclusione, questa collaborazione non solo ha arricchito il progetto artistico, ma ha anche sfidato e ampliato la mia visione come artista, permettendomi di esplorare nuove forme di espressione e di impegno sociale attraverso l’arte.
Il tema della fragilità della pace scelto per l’opera è in linea con la mission della Fondazione Gariwo e dell’Associazione Genesi. Quanto è stato sfidante per lei interpretare questo tema?
La vera sfida è stata quella di tradurre la complessità del tema della fragilità della pace in una forma artistica visiva e partecipativa. È stato estremamente impegnativo riuscire a trovare il giusto equilibrio tra rappresentare questo senso di incertezza che sentiamo serpeggiare in un mondo sempre più animato dai conflitti da una parte e questa spinta collettiva verso qualcosa di differente che preserviamo umanamente dall’altra. Mi interessava mostrare la nostra interdipendenza, l’importanza di ogni gesto quotidiano, mi interessava colmare con questo “pensiero-azione” un vuoto di legami.
Come il simbolo della bandiera è in stretta coerenza con il tema alla base del progetto?
Il simbolo della bandiera bianca è in stretta coerenza con il tema della fragilità della pace che sta alla base di questo progetto. La bandiera bianca è universalmente riconosciuta come simbolo di pace, tregua e resa. Tuttavia, proprio questa qualità di simbolo universale e consolidato ne evidenzia la fragilità intrinseca. La bianca tela di una bandiera può essere facilmente danneggiata, sporcata, strappata, perdendo così la sua purezza e il suo significato. Questa fragilità del simbolo rispecchia perfettamente la delicatezza della pace nel nostro mondo contemporaneo. Per quanto la pace sia un valore universalmente riconosciuto, essa rimane costantemente minacciata dai conflitti, dalle divisioni e dalle violenze che lacerano le nostre società. Utilizzare la bandiera bianca come elemento centrale dell’opera è quindi una scelta carica di significato simbolico. Essa ci ricorda che la pace non è uno stato permanente, ma qualcosa di estremamente delicato che richiede costante cura e impegno per essere preservato. Inoltre, il fatto che la bandiera venga creata collettivamente, attraverso il coinvolgimento di diverse comunità, aggiunge un ulteriore livello di significato. La pace non è qualcosa che possa essere imposta dall’alto, ma è il risultato di un processo partecipativo, in cui ognuno di noi è chiamato a contribuire.
In questo senso, la bandiera bianca diventa un simbolo tangibile di questa fragilità della pace, ma anche della nostra responsabilità condivisa nel proteggerla e renderla più forte. È un invito a riflettere sul nostro ruolo e sul nostro impegno per costruire un futuro più pacifico e giusto per tutti.
La scelta di un’opera itinerante tra le differenti sedi dei Giardini dei Giusti richiama la sua attività anche nel campo cinematografico?
Come regista e artista del cinema, ho sempre lavorato con l’idea di creare opere che possano attraversare frontiere, linguaggi e culture diverse. Il cinema, per sua natura, è un mezzo che permette di connettere persone e comunità in tutto il mondo, favorendo il dialogo e lo scambio di prospettive. Allo stesso modo, la decisione di rendere quest’opera itinerante e di farla circolare tra i vari Giardini dei Giusti rispecchia questa mia inclinazione a creare opere che non si limitino a uno spazio o a un pubblico definito, ma che possano raggiungere e coinvolgere comunità diverse. Credo che questa mobilità e questa capacità di attraversare contesti differenti sia fondamentale per un progetto che vuole riflettere sulla fragilità della pace. La pace, infatti, non conosce confini e richiede uno sforzo condiviso a livello globale. Rendere quest’opera itinerante significa amplificare la sua portata, permettendole di dialogare con realtà locali e di stimolare riflessioni e connessioni tra comunità distanti.

L’idea di far partecipare attivamente diverse comunità alla realizzazione dell’opera come è nata?
L’idea di far partecipare attivamente diverse comunità nella realizzazione di quest’opera è nata dalla mia convinzione che l’arte possa essere uno strumento potente per promuovere il dialogo e la coesione sociale, soprattutto su temi complessi. Coinvolgere direttamente le diverse comunità dei Giardini dei Giusti nella realizzazione dell’opera mi è sembrata la strada giusta per dare forma concreta a questo principio. Ognuno dei partecipanti avrebbe portato la propria storia, la propria sensibilità e il proprio punto di vista sul tema, contribuendo a creare qualcosa di unico e di profondamente radicato nelle realtà locali. Inoltre, la dimensione itinerante del progetto avrebbe permesso a queste diverse narrazioni di incontrarsi e di intrecciarsi, dando vita a un dialogo transculturale sulla fragilità della pace. L’opera sarebbe così diventata una piattaforma di scambio e di condivisione, capace di superare i confini geografici e di costruire connessioni tra persone di background diversi. In questo senso, l’idea del coinvolgimento attivo delle comunità è stata essenziale per dare vita a un’opera che fosse non solo esteticamente coerente, ma soprattutto profondamente radicata nella realtà e nell’esperienza delle persone. Solo attraverso questo approccio partecipativo, infatti, l’opera avrebbe potuto diventare davvero uno strumento estetico e di riflessione al contempo.
Come ha percepito l’interesse e la partecipazione da parte delle singole comunità presso i diversi Giardini dei Giusti?
La partecipazione e l’interesse dimostrato dalle diverse comunità presso i Giardini dei Giusti è stata davvero sorprendente e incoraggiante. Fin dall’inizio, ho percepito un forte entusiasmo e una grande volontà di contribuire attivamente alla realizzazione di quest’opera. Ciò che mi ha davvero commosso è stato il senso di comunione e di solidarietà che si è creato tra i partecipanti durante il processo di realizzazione. Nonostante le differenze di background e di provenienza, tutti hanno lavorato insieme con un unico obiettivo. Questa risposta entusiasta e partecipata da parte delle comunità mi ha confermato ancora una volta il grande potenziale dell’arte come strumento di dialogo e di coesione sociale. Sono davvero grata di aver potuto guidare un progetto che ha saputo coinvolgere così profondamente le persone, contribuendo a rafforzare il loro impegno per la pace.
Vi sono state delle storie che ha appreso nei differenti Giardini dei Giusti, che l’hanno particolarmente colpita?
Sono profondamente commossa dalla storia di Rita Atria che ho avuto la possibilità di riascoltare dalla storia rielaborata dal gruppo dei giardini dei giusti di Rondine, ad Arezzo. La sua vicenda rappresenta una delle più tragiche e coraggiose testimonianze di lotta contro la mafia e di impegno per la giustizia. Nonostante fosse figlia di un boss mafioso, Rita ha avuto il coraggio di rompere il muro dell’omertà e di collaborare con la magistratura, seguendo l’esempio della cognata Piera Aiello. Il suo gesto di ribellione l’ha portata a essere isolata e rifiutata dalla sua stessa famiglia, che non poteva accettare che una “figlia di” avesse tradito i codici della mafia. La storia di Rita dimostra quanto sia difficile e doloroso affrancarsi da un contesto criminale, soprattutto quando questo è radicato nelle dinamiche familiari. Eppure, guidata dalla sua determinazione a costruire “un mondo onesto”, Rita ha trovato la forza di collaborare con il magistrato Paolo Borsellino, diventando per lui una figura quasi filiale. Le rivelazioni di Rita e di Piera hanno permesso importanti arresti di mafiosi, ma al prezzo di una vita in completo isolamento, costretta a vivere sotto falsa identità. Questo enorme sacrificio personale testimonia la profondità del suo impegno civile e del suo rifiuto della cultura mafiosa. La morte tragica di Borsellino, suo riferimento e suo sostegno morale, ha segnato definitivamente il destino di Rita. Schiacciata dal dolore e dalla paura che lo Stato mafioso potesse vincere, la giovane donna si è tolta la vita, lasciando un’ultima, straziante riflessione sul suo diario. La storia di Rita Atria è davvero una delle pagine più dolorose e commoventi della lotta contro la criminalità organizzata in Italia. La sua voce, così lucida e appassionata, ci ricorda quanto coraggio e determinazione siano necessari per combattere la mafia “dentro di noi” e nei nostri contesti sociali.

Cosa si aspetta al termine della realizzazione dell’opera?
Sono ottimista e mi aspetto che il suo impatto possa essere profondo e duraturo. In primo luogo, spero che l’opera riesca a trasmettere in maniera potente ed emozionante la forza di volontà, il coraggio e la determinazione di questi individui che hanno scelto di opporsi all’ingiustizia, anche a costo del loro stesso benessere e della loro stessa vita. Vorrei che il pubblico potesse immedesimarsi nelle loro lotte e nei loro sacrifici, comprendendo pienamente il valore del loro impegno civile. Inoltre, auspico che questa opera possa fungere da potente stimolo per la riflessione e la presa di coscienza. Attraverso l’esperienza artistica, vorrei che gli spettatori fossero spinti a interrogarsi sulle proprie responsabilità e sul proprio ruolo all’interno della società. Vorrei che comprendessero come anche il singolo individuo possa fare la differenza, seguendo l’esempio di chi ha avuto il coraggio di andare controcorrente. In un periodo storico in cui sembra prevalere l’indifferenza e la rassegnazione di fronte ai problemi sociali, penso che un’opera di questo tipo possa rappresentare un momento di risveglio delle coscienze. Vorrei che infondesse negli animi la speranza e la volontà di agire per costruire un mondo più giusto e solidale, riconoscendo che “un mondo onesto”, per usare le parole di Rita Atria, è un obiettivo raggiungibile se ciascuno di noi fa la propria parte.
Quale sarà l’eredità dell’opera?
L’eredità dell’opera “Davvero Verranno i Giorni” sarà duplice. Da un lato, lascerà un segno tangibile di memoria e riconoscimento per i Giusti, figure che hanno avuto il coraggio di opporsi all’ingiustizia e difendere la dignità umana. Questo servirà come fonte d’ispirazione per le generazioni future, mantenendo vivo il ricordo delle loro azioni e sacrifici.
Dall’altro lato, l’opera avrà un impatto immateriale, stimolando un dialogo continuo sulle responsabilità civili di ciascun individuo. Attraverso il coinvolgimento delle comunità nella sua realizzazione, si instaurerà un senso di partecipazione e consapevolezza collettiva, perpetuando l’idea che ciascuno può contribuire a costruire un futuro più giusto e pacifico. L’opera diventerà una piattaforma per riflessioni e discussioni, incoraggiando un impegno attivo nella società e rafforzando i legami tra le diverse culture e comunità che attraversa. E sono sicura che sia possibile che continui ulteriormente il proprio viaggio.













