
Per il secondo episodio di Underground Ma Non Troppo siamo a Milano: in una città in cui l’arte contemporanea fatica a uscire dalla sua comfort zone, ci sono curatori — anzi, curatrici — che non hanno paura di sporcarsi le mani e di lasciarsi alle spalle ambienti radical chic. Oggi vi presento Sara van Bussel e Manuela Nobile, il duo curatoriale fondatore di Ardere che ha portato anche gli addetti più snob del settore nei luoghi della perdizione notturna, popolati da vampiri narcisi, nottambule esaurite e sex worker.

Lo si capisce dal primo istante: Sara e Manuela sono due ragazze diverse — una vamp, l’altra punk — e subito dopo si percepisce quanto siano complementari. La coppia fonde l’esperienza curatoriale internazionale di Sara con la direzione artistica consolidata di Manuela, dando vita a format espositivi che non si limitano all’osservazione passiva, ma immergono il pubblico in un contesto sensoriale e partecipativo.

Tra i progetti più rappresentativi del duo spicca la trilogia Look at Me, una serie di mostre che esplora corpo, libertà sessuale e atmosfera notturna, fondendo arte contemporanea e sperimentazione in spazi non convenzionali e dando vita a veri happening a luci rosse: al Luxy Club, uno strip club dal carattere sensoriale, Giulia Crispiani, Michele Rizzo e Flaminia Veronesi hanno trasformato lo spazio in un’esperienza di piacere estetico e riflessione corporea, dialogando con gli spettacoli hard delle spogliarelliste; al Club Plastic, storico locale milanese della scena underground, i collettivi Cult of Magic e Barok the Great hanno indagato il movimento come atto di libertà attraverso performance di danza contemporanea; infine, al Royal Hammam Sauna, punto di riferimento per il cruising omosessuale a Milano, Beatrice Favaretto, Daan Couzijn, Salomé Chatriot e Tommaso Ottomano hanno intrecciato suggestioni estetiche, erotiche e digitali in un contesto in cui era difficile tenersi addosso troppi vestiti, completando un percorso che dal sensoriale approda alla complessità dell’identità corporea propria e altrui.

Con la conclusione di Look at Me, Manuela e Sara spostano la riflessione sul corpo ancora più vicino a sé stesse: nell’intervista esclusiva per Made in Mind, immortalate dalle suggestive fotografie di Tarin, le curatrici riflettono sul proprio corpo e si espongono senza filtri. Un atto che richiama le sperimentazioni curatoriali di Achille Bonito Oliva ma con l’estetica di Paola e Chiara nel videoclip censurato Kamasutra, ribadendo così il loro impegno nell’unire arte, corpo e trasgressione in un unico atto performativo.

Cosa cercate voi nella notte e come influenza il vostro lavoro?
La notte ha da sempre un fascino particolare: è uno spazio sospeso e inclusivo che accoglie tutte le soggettività, senza distinzione. Qui possiamo concederci di essere chi vogliamo, lontano dalle logiche produttive che scandiscono le ore del giorno. Con Ardere – Arte nella Notte, io e Sara abbiamo scelto di porre al centro del nostro progetto la fruizione culturale notturna non soltanto come un’alternativa logistica, ma come presa di posizione: un invito a vivere l’arte come possibilità altra, più intima, più istintiva, più libera. Con le nostre mostre non diamo delle risposte ma mettiamo l’accento su dialoghi aperti riappropriandoci di questo istante come sfogo. E dove c’è sfogo, ci deve essere anche cultura. Perché se è legittimo alleggerire la mente, è altrettanto necessario alimentarla — soprattutto nei momenti in cui è più ricettiva, più aperta. La notte, in questo senso, non è evasione, ma occasione: per apprendere, per trasformarsi, per abitare l’arte in modi meno codificati e più vitali.
Perché portare l’arte contemporanea in contesti più aperti e trasgressivi?
È la contaminazione di più arti o pubblici a condurci, quasi inevitabilmente, verso luoghi non convenzionali — ma non come gesto provocatorio fine a sé stesso: piuttosto, come desiderio di riportare l’arte dentro la vita.
Con Ardere costruiamo un linguaggio ibrido, dove arti visive, musica e performance convivono. Non a caso uno dei nostri format si chiama Contaminazioni. Questo approccio ci porta a scegliere luoghi “altri”, ma non siamo certo le prime: da Vivienne Westwood a Björk, dal Fluxus a David Lynch, esistono infiniti esempi di chi ha mescolato arte, suono, moda e attitudine. Per noi, ogni esposizione è un’esperienza partecipativa, e il luogo deve contribuire a questa vibrazione collettiva. Ardere significa proprio questo: accendersi, insieme.

Come hanno reagito gli artisti affermati incontrando un pubblico così inaspettato?
Ragionare in termini di accessibilità economica ci permette di arrivare ad un pubblico molto vasto, che sia quello dell’arte o quello dei locali in cui entriamo. Grazie a questo la risposta è sempre positiva: gli artisti si mettono in gioco, il pubblico si lascia coinvolgere e, in molti casi, anche i gestori dei locali, inizialmente scettici, si ricredono. Portare l’arte in questi contesti è complesso, ma ci rende orgogliose. Credo e spero che si evinca tutta la serietà e la professionalità con cui lavoriamo anche nell’allestimento: gli interventi artistici sono spesso separati dalla parte festiva della serata — che sia un DJ set o un live — così da mantenere uno spazio di attenzione e ascolto. Questo è sicuramente il principale motivo per cui l’esposizione ha un peso maggiore rispetto all’evento che gli fa da contenitore e accompagnatore. I luoghi che scegliamo, volutamente non neutri, pongono sfide tecniche — mancanza di pareti, prese elettriche, ecc. — ma ci spingono a ripensare l’allestimento in modo radicale, cercando sempre di mantenere le caratteristiche dello spazio di partenza.

Sara e Manuela il 6 giugno tornano con un nuovo progetto firmato Ardere: L’ATTESA una mostra in un ascensore privato, dove una sola opera di Matteo Capriotti sarà visibile solo per la durata della corsa. La visione intima si concluderà con una festa sul terrazzo, tra musica e condivisione. Un’esperienza site-specific che invita a vivere l’arte nel tempo presente. Qui tutte le info













