
Dal 2 al 4 luglio 2025, Liverpool diventa l’epicentro della scena artistica internazionale, ospitando la 12ª Assemblea Generale dell’International Biennial Association (IBA). Ma il fermento culturale non finisce qui: la città britannica è anche teatro della 13ª edizione della Biennale di Liverpool, il più grande festival di arte contemporanea del Regno Unito, in corso dal 7 giugno al 14 settembre.
Due eventi, un unico battito: l’arte come strumento di memoria, resistenza e visione. A fare da filo conduttore, un tema potente: “Bedrock”. Le fondamenta, quelle fisiche della città costruita sull’arenaria, ma soprattutto quelle invisibili che ne sostengono l’identità civica, le comunità, la memoria collettiva e le contraddizioni storiche. Un’indagine artistica che si snoda tra gallerie, biblioteche, cattedrali, ma anche farmacie, negozi, piazze e giardini, trasformando Liverpool in un vero e proprio laboratorio urbano a cielo aperto.
Non è un caso che l’IBA abbia scelto proprio Liverpool, inizialmente alternativa a Santa Fe, come sede del suo incontro annuale. Le difficoltà globali legate alle restrizioni di viaggio e all’accessibilità delle frontiere hanno reso necessario un ripensamento logistico, ma anche un’opportunità concettuale: Liverpool, con il suo passato coloniale e il suo presente multiculturale, diventa luogo ideale per riflettere su come le biennali possano essere spazi vivi di memoria, contro-narrazione e trasformazione sociale. Sotto il titolo “No Home But in Memory”, l’assemblea IBA invita curatori, artisti e intellettuali da tutto il mondo a interrogarsi su cosa significhi custodire la memoria in tempi di crisi ecologica, migrazioni forzate e polarizzazioni ideologiche. Quali storie portano avanti le biennali, e quali lasciano indietro? Come possiamo costruire archivi dinamici capaci di accogliere la perdita e immaginare futuri diversi?

A guidare la Biennale di Liverpool 2025 è Marie-Anne McQuay, che ha voluto partire proprio dalla città per costruire un racconto stratificato e intimo. “Liverpool non ha vere origini al di fuori dell’impero”, afferma, “ma possiede una forza civica straordinaria”. Le opere selezionate – tra cui 22 nuove commissioni – esplorano temi che spaziano dalla colonialità alla cura, dalla diaspora alla resilienza comunitaria. Tra i lavori più potenti, il film Dear Othermother di Amber Akaunu, che racconta le reti affettive delle madri nere a Toxteth; l’installazione visiva di Elizabeth Price che indaga l’estetica delle chiese moderniste nel Regno Unito; e l’opera di Linda Lamignan, che affronta il legame tra Liverpool e l’industria estrattiva nigeriana.
Tutti esempi di come la biennale non si limiti a “parlare di Liverpool”, ma si immerga attivamente nella sua vita quotidiana, collaborando con realtà come Pagoda Arts e reti locali di comunità asiatica.
La scelta di ospitare l’assemblea IBA presso la Liverpool John Moores University, nell’anno del bicentenario della sua School of Art and Design – la prima al di fuori di Londra – rafforza proprio il ruolo della città come fucina di idee, esperienze e nuovi modelli formativi. L’incontro prevede momenti pubblici e sessioni riservate ai membri IBA, offrendo spazi di confronto sulla curatela sostenibile, la valorizzazione delle voci marginalizzate e la costruzione di archivi comunitari.
In un mondo segnato dalla discontinuità e dall’incertezza, Liverpool lancia una sfida ambiziosa: ripensare il concetto di “fondamento”, non come qualcosa di fisso e immutabile, ma come terreno vivo, da scavare, mettere in discussione e ricostruire insieme. Perché è proprio nelle crepe del passato che può germogliare un’arte capace di immaginare il futuro.













