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Giambattista Pittoni e l’epoca di Casanova. Viaggio nel ‘700 tra Venezia a Napoli

Gianbattista Pittoni, Apollo con due amorini
Gianbattista Pittoni, Apollo con due amorini

Fino al 15 agosto, nell’Alcova della Regina, Palazzo Reale di Napoli partecipa alle celebrazioni per i 300 anni dalla nascita di Giacomo Casanova ospitando nelle sale dell’Appartamento di Etichetta tre opere del pittore veneziano Giambattista Pittoni (1687-1767) e alcuni materiali provenienti dal fondo del casanovista Aldo Ravà.

Giacomo Casanova (Venezia, 2 aprile 1725 – Duchcov, 4 giugno 1798) fu uno scrittore, diplomatico, scienziato ed esoterista, ma anche un protagonista assoluto di una moltitudine di stagioni erotiche da Venezia a Napoli, dove soggiornò nella città partenopea per ben cinque volte e, in seguito, fiorirono gli studi casanovisti di intellettuali del calibro di Benedetto Croce (1866-1952) e Salvatore Di Giacomo (1860-1934). La sua storia si lega al Palazzo Reale napoletano, come racconta Croce nel suo testo “Aneddoti e profili Settecenteschi”. A distanza di 300 anni, nelle sale dell’Appartamento di Etichetta, si celebra la sua nascita con una mostra dal titolo “Giambattista Pittoni e l’epoca di Casanova”, curata dallo storico dell’arte Andrea Gianluca Donati, fino al 15 agosto 2025.

Gli anni in cui il pittore veneziano Giambattista Pittoni (1687-1767) diede vita al ciclo a carattere mitologico costituito da “Venere con due amorini”, “Diana addormentata con amorino e cane” e “Apollo con due amorini”, sono gli stessi in cui il suo concittadino Casanova si recò per la prima volta a Napoli: siamo nella prima metà del Settecento e il languore dei protagonisti dei dipinti di Pittoni è pienamente consonante con il gusto rococò dell’epoca, con le atmosfere che avvolgono nel mito la figura del celebre avventuriero, diventato antonomasia del seduttore.

Un secolo e mezzo più tardi, un filo congiunge di nuovo Venezia e Napoli. Sulle tracce di Casanova si incontrarono due studiosi: Aldo Ravà (1879-1923) e Salvatore Di Giacomo, entrambi votati, quasi fino all’ossessione, a risalire alla storia vera che portarono il veneziano a viaggiare in mezza Europa e a restituire alla sua opera letteraria la dignità che ritenevano fosse stata ingiustamente sottratta dal moralismo delle epoche successive.

Ricostruendo minuziosamente la verità dei viaggi napoletani di Casanova, nel 1744, nel 1760 e nel 1770, caratterizzati da una spregiudicatezza difficile da “normalizzare”, traducendone l’opera e rimettendola in una prospettiva critica, Di Giacomo e Ravà rimediarono ad una doppia ingiustizia: quella ai danni dell’intellettuale colto, curioso, generoso, ingiustamente censurato per le sue avventure erotiche e, quella ai danni di un’epoca, declassata a stagione frivola di “minuetti” ed “ariette”.

Proprio per restare in tema, è l’Alcova della Regina il luogo appropriato per esporre le opere di Pittoni e le ricerche di Di Giacomo e Ravà. Questo piccolo ambiente settecentesco che ricalca l’impianto architettonico del periodo vicereale, faceva parte insieme ai due vani confinanti, la Cappella e il Gabinetto, dell’appartamento privato della regina. Sulla volta, l’”Augurio di felicissima prole”, opera di Nicola Maria Rossi (1690-1758), risale al 1738, anno del matrimonio tra Carlo di Borbone (1716-1788) e Maria Amalia di Sassonia (1724-1760), e richiama alla destinazione d’uso di questi spazi privati, nei quali la giovanissima sposa avrebbe dovuto concepire una prole regale, come il dovere coniugale e la Ragion di Stato imponevano, non senza alludere ad una piacevolezza dei sensi.

Ritratto di Casanova
PITTONI. BIOGRAFIA E OPERE

Giambattista Pittoni (1687-1767) nacque a Venezia, dove trascorse quasi tutta la sua vita. Secondo una cronaca coeva del 1762, fu allievo dello zio paterno Francesco Zanetti. Sposatosi a ventuno anni nel 1709, ebbe una bottega fiorente e due allievi: suo fratello minore Pietro, nato nel 1702 e il boemo Anton Kern (1709-1747). Membro d’onore dell’Accademia Clementina di Bologna nel 1707 e priore del Collegio dei Pittori a Venezia nel 1729, dal 1735 al 1737 lavorò per il re Filippo V di Spagna (1683-1746), su incarico dell’architetto Filippo Juvarra (1678-1736). Fu tra i fondatori dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e dal 1756 si alternò con Giambattista Tiepolo (1696-1770) nel ruolo di consigliere e presidente. Per conto di collezionisti fu consulente, mercante e restauratore. Le sue opere si diffusero nel territorio della Repubblica veneta e, all’estero, nei paesi in lingua tedesca e in inglese.

I tre dipinti raffiguranti Apollo, Venere e Diana provengono dal palazzo padovano Miari de Cumani. Resi noti dallo storico dell’arte Alberto Martini (1931-1965), i quadri di Venere e Diana sono stati ascritti alla piena maturità di Pittoni, ipotesi confermata nel 1979 da Franca Zava Boccazzi (1920-2009), che li datò al quarto decennio del Settecento. La pulitura, avvenuta a Venezia negli anni Novanta del Novecento, ha tuttavia anticipato la datazione delle opere alla fine del terzo decennio del Settecento, quando l’artista raggiunse la piena maturità espressiva.

Per ragioni di affinità stilistica con due studi preparatori per la “mano femminile” che regge una freccia della Fondazione Giorgio Cini, gessetto nero su carta bianca poi oleata, e “tre teste di giovinetti” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, sanguigna su carta bianca, lo studioso Andrea Donati ha attribuito al Pittoni anche il dipinto raffigurante “Apollo con cupido e putto”, di collezione privata e che è presente in mostra per la prima volta al pubblico.

DI GIACOMO E CASANOVA

Non sono del tutto noti i motivi che spinsero Salvatore Di Giacomo a interessarsi della figura di Casanova”, scrisse lo storico Antonio Trampus (1967). In realtà, la fascinazione per il veneziano da parte dell’intellettuale napoletano è speculare a quella di Ravà: entrambi individuano nell’uomo, inteso come fusione della vita e dell’opera, legato sia a Venezia, sia a Napoli, entrambe accomunate da un’epoca ricchissima di pensiero e di arte, di un modo di concepire l’esistenza che l’Ottocento bollerà come “ancien”, al pari di quei regimi assoluti che la rivoluzione borghese ha spazzato via senza avvedersi di quanto fosse in realtà molto più libera e spregiudicata della stessa modernità.

Il carteggio fra i due studiosi conservato nel Fondo Di Giacomo della Biblioteca Nazionale di Napoli, è una preziosa testimonianza del comune interesse per la figura simbolica di Casanova, avventuriero, scrittore, arcade, come scopriamo dalla cartolina esposta in mostra. La lettera che Ravà scrisse a Di Giacomo ruota intorno alla volontà di quest’ultimo di inserirsi nel progetto editoriale dello studioso veneto, nelle “Lettere di donne a Giacomo Casanova”, dettato dalla difficoltà materiale da parte dell’intellettuale napoletano di reperire il manoscritto autografo casanoviano di cui invece Ravà possedeva le trascrizioni. I due non trovarono un accordo e ciascuno pubblicò il proprio lavoro, di cui è esposto l’esemplare di pregio numerato dell’”Historia della mia fuga”, a cura di Di Giacomo.

RAVA’ E CASANOVA

Tra coloro che si adoperarono per riabilitare Casanova spicca proprio la figura del collezionista Ravà, studioso di arte e di letteratura, profondo conoscitore del Settecento veneziano, di cui è in mostra un ritratto fotografico in compagnia della moglie Violet Fenton. Egli scoprì alcuni materiali inediti conservati a Dux, in Boemia, dove l’avventuriero si ritirò nei suoi ultimi anni di vita, come le numerose edizioni di opere e gli opuscoli conservati nella preziosa “Miscellanea Casanoviana”, del Museo Correr, di Venezia, da cui provengono le due cartoline commemorative con ritratti di Casanova esposti in mostra. La sua intenzione era di redigere per la prima volta una biografia e una bibliografia completa, come lo incoraggiava a fare l’amico F.A. Brockhaus, proprietario del manoscritto dei “Memoires”, che intendeva pubblicare con l’aiuto di Ravà. Le memorie di Casanova, conservate presso gli eredi, erano state acquistate da Brockhaus all’inizio dell’Ottocento e pubblicate nel 1826. Ravà entrò in contatto con Albert, erede dell’editore, dal quale ottenne le trascrizioni del manoscritto. Spiccano per interesse le “Lettere di donne a Giacomo Casanova”, edito nel 1912, da Treves, a Milano.

PITTONI E LA PITTURA DA “BOUDOIR” NEL SETTECENTO EUROPEO

Osservando i dipinti in mostra, lo stile originale di Pittoni incarna il mondo rococò veneziano, sofisticato e ameno. Tra cieli azzurri e verdi radure, tutto è armonia attorno alle figure di Apollo, Venere e Diana, morbidamente delineate, attorniate da fedeli amorini alati e da un cane assopito che amplifica il senso di abbandono dei sensi provocato dall’amore. Ciascun personaggio è rappresentato seminudo, drappeggiato all’antica, in un’ambientazione vagamente arcadica, ma con un preciso carattere individuale e una animata mimica del corpo e del volto. Probabilmente le opere appartenevano ad un unico ambiente, un “boudoir”, che sembra rievocare le celebri “stanze di Venere” attestate a Roma fin dal Seicento nelle collezioni dei principi Aldobrandini e Borghese.

Apollo, Venere e Diana dialogano separatamente inquadrati, ciascuno in uno spazio volutamente ritagliato a misura della propria individualità. Così frazionato, il tema erotico si riverbera da più punti di vista sullo spettatore. Apollo e Venere puntano i loro occhi al centro dello spazio visivo, mentre Diana addormentata si offre voluttuosamente alla vista. L’incrocio degli sguardi tra le figure coinvolge gli astanti in prima persona, come parte di un unico gioco d’amore. In questo intreccio sensuale, si può riconoscere lo spirito del libertino Giacomo Casanova, protagonista assoluto di una moltitudine di stagioni erotiche da Venezia a Napoli, perfettamente a suo agio in ambienti raffinati e voluttuosi come quelli concepiti nei tre dipinti di Pittoni. Il suo sguardo acuto e malizioso si può ritrovare idealmente negli occhi di Apollo che fissa le nudità di Diana e Venere, l’una languidamente assopita, l’altra coscientemente vigile.

Gianbattista Pittoni, Diana addormentata con amorino e cane

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