
La mostra inaugurata a Parigi, tra accuse di essere un’operazione viziata di “queering” del pittore francese, apre ora all’Art Institute of Chicago, ma con un dettaglio cruciale: il titolo è cambiato.
Il pubblico di Chicago potrà riconoscere molto della mostra già vista al Musée d’Orsay a Parigi e al Getty Museum di Los Angeles: la selezione delle opere e l’allestimento cronologico, ad esempio. Tuttavia, una differenza salta subito agli occhi: il titolo. L’istituzione del Midwest l’ha infatti modificato, passando da Gustave Caillebotte: Painting Men (in francese, Caillebotte: Peindre Les Hommes) a un più “neutro” (o annacquato?) Gustave Caillebotte: Painting His World (in programma fino al 5 ottobre).
Il motivo? Forse l’Art Institute of Chicago ha deciso di “abbassare i toni” dopo le reazioni scomposte della critica francese di fronte al focus maschile? La curatrice dell’AIC, Gloria Groom, spiega che la modifica è stata decisa prima ancora che la mostra aprisse a Parigi, dopo che un gruppo di discussione interno aveva segnalato che il titolo Painting Men risultava troppo restrittivo.
“Tra le opzioni disponibili, “Painting His World” sembrava la più attraente” dice la Groom, che ha co-curato la mostra insieme a Paul Perrin del Musée d’Orsay e Scott Allan del Getty. E aggiunge che il titolo si adatta anche bene a una delle opere più amate dell’AIC: Paris Street, Rainy Day del 1877, dove è ritratta una coppia eterosessuale a passeggio sotto la pioggia.
In ogni caso, è probabile che l’accoglienza a Chicago sarà diversa da quella riservata alla mostra nella sede francese e in quella della metropoli californiana: se Parigi, infatti, diversi editorialisti di primo piano hanno stroncato la mostra definendola un’operazione riduttiva, “contaminata” dalla visione americana e assolutamente ingiustificata nel voler “queerizzare” l’artista, a Los Angeles, al contrario, molti critici hanno apprezzato l’esplorazione sottile da parte dei curatori di temi come virilità, fratellanza e omosocialità, spesso in equilibrio — o in tensione — con l’omosessualità. Così facendo sembrava quasi che parlassero di due mostre completamente diverse…

Tutti i curatori, in interviste telefoniche, si sono detti sorpresi dalla veemenza delle recensioni francesi, soprattutto perché non è mai stato sostenuto che Caillebotte avesse relazioni sessuali con uomini. Anzi, viene chiarito che visse con una compagna, Charlotte Berthier, alla quale lasciò una cospicua rendita alla sua morte.
La scelta del focus maschile nasce da un doppio binario: la preferenza di Caillebotte per soggetti maschili e le più recenti ricerche sull’argomento. A differenza dei colleghi impressionisti che dipingevano donne in ogni fase del vestirsi e svestirsi, Caillebotte prediligeva gruppi di uomini impegnati in attività a lui care: canottaggio, regate, esercitazioni militari, giochi di carte e osservazione urbana.
Non si tratta solo di quantità, ma di qualità, osserva Perrin: “Le opere più ambiziose degli altri impressionisti hanno per soggetto le donne; quelle di Caillebotte, invece, sono dedicate agli uomini”. Come sottolinea Groom, “la ricchezza familiare di Caillebotte gli consentiva il lusso di ignorare ciò che avrebbe venduto di più e di seguire liberamente i suoi interessi”.
Nato a Parigi nel 1848 da una famiglia dell’industria tessile, Caillebotte iniziò la carriera studiando legge, prima di passare all’École des Beaux-Arts. “Era cresciuto con due fratelli, aveva frequentato una scuola tutta maschile, poi giurisprudenza, poi arte, e infine si unì agli impressionisti, che erano quasi tutti uomini” spiega Groom.
Una delle sue prime opere, esposta al secondo Salon des Indépendants organizzato dagli impressionisti, è diventata il fulcro del dibattito: Les Raboteurs de Parquet (The Floor Sanders, 1875). Visto da una prospettiva rialzata, mostra tre uomini muscolosi e a torso nudo intenti a levigare un pavimento: le loro schiene nude brillano come la vernice sul legno. Il quadro è sensuale, politico nella rappresentazione della classe operaia, e aperto a letture sul capitale, il lavoro e la sessualità maschile.
Un’altra opera che ha attirato grande attenzione è Man at His Bath (1884): al contrario delle bagnanti oniriche di Degas o Renoir, qui c’è un uomo realistico che si asciuga uscendo dal bagno, ritratto con un taglio ravvicinato e diretto, privo di idealizzazione.
Nel catalogo della mostra, gli studiosi dell’University of Pennsylvania, André Dombrowski e Jonathan Katz, parlano di “dinamiche libidinali” e di un’“invito allo sguardo omoerotico” provocato dal quadro, analizzando ciò che definiscono “la sessualità della pittura”.
Il critico Harry Bellet, su Le Monde, ha liquidato l’analisi come “pura assurdità”: “La sessualità della pittura… sembra stiano parlando di Jeff Koons!” Quanto a Les Raboteurs, ne ha sottolineato il realismo e lo ha definito “quasi classico”; Philippe Lançon, su Libération, ha criticato “la corazzata degli studi di genere” che attraversa l’Atlantico; Éric Biétry-Rivierre, su Le Figaro, ha accusato il Musée d’Orsay di agire “sotto l’influenza” dei musei americani.
Tutti questi critici francesi sono uomini — “e tutti sopra i 50 anni”, aggiunge Perrin, divertito dalle accuse rivolte ai colleghi americani, quando in realtà è stato lui a volere l’accento sul maschile e a contestualizzarlo come risposta alla vulnerabilità vissuta in Francia dopo la guerra franco-prussiana del 1870-71.
Negli Stati Uniti, le reazioni sono state più varie: dalle letture esplicitamente queer in pubblicazioni LGBTQ+, a recensioni più sfumate, come quelle di Christopher Knight sul Los Angeles Times e James Meyer su Artforum, entrambi concentrati sull’ambiguità delle opere. “Non sapremo mai cosa provasse Caillebotte per i suoi vogatori, né se quei sentimenti fossero ricambiati” scrive Meyer, rispondendo al “recensore scandalizzato” di Le Figaro. “Forse i suoi dipinti sono strutturati proprio per frustrare questo tipo di speculazioni”. “E proprio per questo siamo costretti a guardarli” conclude Meyer.
In un’epoca in cui le definizioni di genere e sessualità sono in crisi, non stupisce che l’opera di un pittore a lungo sottovalutato ci appaia oggi così attuale. Ma è davvero la sua arte a parlarci del presente, o siamo noi a proiettarvi le nostre inquietudini contemporanee? Forse entrambe le cose. Perché ogni sguardo – come ogni interpretazione – può fuorviare, ma anche aprire a scenari inattesi.
Ed è proprio in questo spazio incerto, tra ciò che l’artista ha dipinto e ciò che noi vi leggiamo, che si apre il campo più fertile della riflessione: quello dove nessuna risposta è definitiva, e il dubbio resta, inquieto e necessario.













