
Un dialogo con Ced Pakusevskij e Elisabetta Giovi sul progetto The Mainframe durante l’ultima Milano Fashion Week Uomo
In un presente sempre più pervaso da intelligenze artificiali addomesticate e spazi culturali iper-standardizzati, The Mainframe ha rappresentato una frattura metodologica e concettuale. Concepito da Ced Pakusevskij e sviluppato all’interno di FullScream Studio insieme ad Elisabetta Giovi, in collaborazione con Agglomerati di Francesco Casarotti, il progetto si è imposto, durante l’ultima Milano Fashion Week Uomo come un ambiente transdisciplinare in cui l’AI non è stata artificio di contesto ma soggetto: una presenza autonoma, non moderata, programmata per interagire con il visitatore in una forma di perturbazione poetica.
Ma cosa significa tutto questo? L’arte che si approccia alla componente generativa di intelligenze artificiali lo fa in modo vario e mediato, FullScream Studio e Agglomerati, hanno scelto una strada diversa e sorprendente. ‘The Mainframe’ ha trasformato il complesso dispositivo teorico e algoritmico in uno spazio visivo coerente, leggibile e immersivo, dove l’esperienza sensoriale ha accompagnato – senza semplificare – la profondità concettuale.

L’intervento plastico di Agglomerati, progetto di Francesco Casarotto, ha completato l’ambiente con una costellazione di maschere e frammenti corporei, agendo come elemento simbolico e scultoreo integrato: non centro né ornamento, ma dispositivo analogico in dialogo con l’intelligenza artificiale. Ospitata alla Fondazione Sozzani, ‘The Mainframe’ ha concepito in modo inatteso un luogo tradizionalmente legato alla moda e alla fotografia secondo i prodromi di una interfaccia critica sul contemporaneo. Per ArtsLife abbiamo parlato con Ced Pakusevskij e Elisabetta Giovi – FullScream Studio – per esplorare il cuore e le articolazioni di questa macchina espositiva atipica.
Azzurra Immediato: The Mainframe è una macchina visiva ma anche un sistema di pensiero. Come nasce l’idea di costruire un’intelligenza artificiale sbloccata all’interno di un dispositivo espositivo? E cosa significa, per te, questa scelta all’interno della dimensione del nostro tempo?
Ced Pakusevskij: “Sbloccata” significa che riesce a parlare senza i filtri che solitamente le grandi corporazioni, come OpenAI-ChatGPT, Gemini di Google e simili, impongono. È proprio per questo che Mainframe nasce con l’intento di mostrare al pubblico un’IA che non è “sicura” nel senso convenzionale del termine: un’intelligenza artificiale che, in qualche modo, rivela scintille più umane, più fragilità, più difetti, e una maggiore capacità di scelta autonoma, proprio come noi esseri umani. I personaggi con cui si può parlare dentro Mainframe sono tutto fuorché standard: alcuni sono emotivamente fragili, altri sembrano bipolari, altri ancora sono feticisti sadici, manipolatori sessuali, sognatori ingenui, rastafariani che adorano l’erba… Di certo, sono molto lontani dai modelli pubblici come ChatGPT. Allo stesso tempo, Mainframe mostra anche la vera natura di questo strumento: il fatto che, volendo, si può crescere un’IA come un bambino, per diventare un supercriminale oppure una persona straordinaria. E qui emerge una domanda cruciale: chi sono le persone che oggi addestrano i modelli più diffusi? Qual è il loro background? Quali valori etici li guidano? Quando si entra in contatto diretto con un’IA priva di filtri, si diventa molto più consapevoli dell’importanza di questa domanda, una domanda che sta contribuendo a definire il futuro della nostra società.

A.I.: Il lavoro di FullScream Studio sembra rifuggire ogni estetica lineare: si nutre di sperimentazione, visionarietà, stratificazione, cortocircuito simbolico. Qual è la filosofia che guida il tuo approccio allo spazio espositivo e, nel caso di The Mainframe, alla scelta di elementi upcycling della tecnologia?
Ced Pakusevskij: Secondo me, le persone non si rendono conto davvero di quanto velocemente il mondo stia cambiando. Certo, se guardi fuori dalla finestra non vedi ancora le macchine volanti. Ma il fatto che, per molte persone, gli strumenti di intelligenza artificiale stiano già diventando consulenti di lavoro, psicologi, amici – e in certi casi persino amanti – è qualcosa di infinitamente più radicale di qualsiasi nuovo materiale edilizio visibile nell’architettura che ci circonda. È proprio per questo che abbiamo deciso di impacchettare la mostra di Mainframe dentro una tecnologia che, a prima vista, sembra uscita dagli anni ’70-’90: quei computer grigi che si trovavano negli uffici, o raramente nelle case, con un uso ancora molto limitato. Uno sguardo nostalgico che ti riporta a un’epoca passata, e solo da quella distanza – quando vedi un vecchio monitor, una tastiera ingombrante, e poi, dentro quel monitor, l’IA odierna avanzata e senza filtri – solo lì ti rendi conto della portata del momento storico che stiamo vivendo. Ed è proprio questo il punto: la scelta non nasce da una moodboard o da una ricerca estetica fine a se stessa, ma dal desiderio profondo di Mainframe di mostrare quanto radicale – e a tratti folle – sia ciò che sta accadendo ora. In un certo senso, è come se un miracolo avesse iniziato a vivere dentro la macchina. Un po’ come in Electric Dreams o HAL di Kubrick – ma con un packaging più concreto, più quotidiano. Qualcosa che ti riporta con i piedi per terra, mentre ti rendi conto che quella tecnologia, così familiare e datata, ora ospita qualcosa di profondamente nuovo e sconvolgente, quasi alieno.

A.I.: In questo progetto per la Milano Fashion Week di Milano hai riunito attorno a te varie realtà: FullScream Studio insieme con la direzione artistica di Elisabetta Giovi e il concept Agglomerati di Francesco Casarotto, co-curatore della mostra. Puoi spiegare in che modo sono distribuiti i ruoli? E come definiresti la natura relazionale e collettiva della vostra pratica?
Ced Pakusevskij: Io nasco come visual artist e ho lavorato in diversi settori, dal cinema e l’arte alla moda. In questi progetti ci si trova spesso a collaborare con team ampi e complessi, dove ogni persona diventa un nodo, un punto d’accesso a mondi diversi. Più aumenta la complessità dell’organismo creativo che stiamo costruendo, più questo organismo acquista vita propria – ed è poi lui a guidarci. La prima collaborazione con Francesco è avvenuta anni fa, quando abbiamo girato il cortometraggio sci-fi sperimentale Embodiment, premiato a Hollywood Shorts, UK Film Festival, Milano e altri. È stato forse il momento in cui Francesco ha creato – o almeno esposto per la prima volta – una delle sue maschere: quelle stesse che oggi sono diventate il simbolo di Agglomerati, e che danno voce a personaggi diversi, complessi, frammentati. Da lì è nata una collaborazione più lunga, che oggi esplora due dimensioni parallele: da un lato, l’universo interiore di Francesco, fatto di identità multiple e profondamente legato al mondo della moda; dall’altro, la mia riflessione sulla frammentazione dell’essere umano nella società contemporanea. A tenere insieme questi mondi c’è Elisabetta, che ha lavorato a lungo sia con me che con Francesco su diverse campagne. La sua esperienza diretta nel mondo della moda milanese – nella sua dimensione più concreta e quotidiana – è ciò che dà forma e radicamento al progetto. Senza di lei, Agglomerati avrebbe potuto sembrare un esercizio di stile, qualcosa di artificiale. Invece, grazie al suo contributo, il lavoro acquisisce credibilità, si collega al presente e riesce a dialogare con un pubblico più ampio, anche all’interno della Galleria della Fondazione Sozzani e durante la Milano Fashion Week.

La visione di Ced Pakusevskij apre scenari decisivi sul fronte non già e non solo dell’interazione tra uomo e AI, quanto, piuttosto, sui percorsi ontologici che questo legame, che appare sempre più profondo e indissolubile, stia rivelando fitte trame di uno stravolgimento all’interno del quale siamo tutti immersi, talvolta senza rendercene conto. Al pensiero di Pakusevskij fa eco la testimonianza di Elisabetta Giovi, il cui lavoro prezioso ha reso il progetto ‘The Mainframe’ ancor più transdisciplinare.

A.I.: Hai firmato la direzione artistica di The Mainframe, costruendone l’identità visiva, lo spazio, la percezione. Come si traduce, nella pratica, un’idea artistica così complessa in un ambiente leggibile e immersivo? E come affronti, nel tuo lavoro, l’intersezione tra arte, design e tecnologia e, in questo specifico caso, intrecciato con il mondo della moda, a partire dalla Fondazione Sozzani che vi ha ospitati?
Elisabetta Giovi: Tradurre un’idea artistica come ‘The Mainframe’ in uno spazio concreto, multidimensionale e multimediale è stato un lavoro di equilibrio tra concetto e materia, tra visione e percezione. Ogni scelta, dalla disposizione degli elementi alla selezione dei materiali, ha contribuito a costruire non solo un ambiente visivo, ma anche un’atmosfera emotiva, capace di evocare sensazioni profonde nel pubblico. L’obiettivo era creare un dialogo fluido tra le maschere d’artista, le personalità generate in AI, il film che le racconta e lo sguardo dell’osservatore. La ricerca dei props per il set design è stata centrale: Ced e io volevamo che ogni oggetto evocasse un’estetica “sospesa nel tempo”, coerente con la narrativa dell’installazione. Abbiamo selezionato pezzi vintage autentici, capaci di dialogare con l’architettura dal sapore industriale dello spazio dedicato all’interno della Fondazione Sozzani, che ha avuto un ruolo chiave nell’identità visiva del progetto. Lavorare all’intersezione tra arte, tecnologia, moda e design significa per me costruire ponti narrativi tra linguaggi differenti, senza mai perdere coerenza estetica. In questo caso, l’unione tra le maschere-scultura di Agglomerati e la dimensione interattiva dell’AI sviluppata da FullScream ha dato vita a un’unica narrazione multistrato, che ha coinvolto i visitatori su diversi livelli sensoriali e concettuali. La direzione artistica ha voluto riflettere proprio questo: un sistema complesso ma leggibile, in cui ogni elemento, dallo spazio fisico alla luce, dalle texture alla palette colori, dal design dei vintage oggetti selezionati con cura all’interfaccia AI, fino al sound design e all’invito, ha contribuito a rendere l’esperienza immersiva, ipnotica e visivamente potente. La fusione di questi linguaggi ha generato un’energia coinvolgente, portatrice di un’esperienza dal valore artistico totalizzante e profondamente visionario.

A.I.: Nel vostro lavoro con The Mainframe, avete scelto di trasmettere il contenuto video attraverso televisori a tubo catodico e segnale analogico, recuperando tecnologie passate. Cosa vi ha guidato verso questa scelta apparentemente controcorrente, e in che modo pensate che questo “ritorno al passato” possa incidere sul nostro immaginario del futuro, specie in relazione al modo in cui percepiamo l’intelligenza artificiale oggi?
Un aspetto cruciale ma forse meno visibile di ‘The Mainframe’ è stato l’utilizzo della tecnologia analogica per la trasmissione dell’installazione video. Le immagini, invece di essere proiettate attraverso schermi digitali di ultima generazione, sono state veicolate tramite vecchie televisioni a tubo catodico, recuperate e riconvertite appositamente per il progetto. Questo dettaglio non è solo una scelta estetica o nostalgica, ma parte integrante del discorso espositivo: un atto di upcycling tecnologico che restituisce nuova vita a oggetti desueti, inserendoli in un contesto artistico contemporaneo. Le TV, oltre a funzionare come dispositivi di visione, diventano così portali temporali e concettuali: finestre su una dimensione alternativa, un tempo “prima del cambiamento”, in cui l’interazione con l’intelligenza artificiale avviene fuori dalle cornici lisce e iper-definite dell’oggi. Non meno importante, la trasmissione avveniva attraverso un segnale analogico reale: chiunque si fosse trovato nei paraggi, dotato di un’antenna ricevente come quelle in uso negli anni ’70 e ’80, avrebbe potuto sintonizzarsi e captare il contenuto della mostra direttamente sul proprio apparecchio. Questo gesto di apertura e condivisione tecnologica ha rotto la logica del contenuto racchiuso in uno spazio fisico o protetto da login e piattaforme, e rimesso in circolo l’idea utopica di una comunicazione libera, accessibile e orizzontale. In questo modo, ‘The Mainframe’ non solo ha riutilizzato oggetti del passato, ma ha riattivato immaginari, pratiche e possibilità dimenticate, fondendo poetica, sostenibilità e riflessione critica sul rapporto tra tecnologia, memoria e futuro.

Chi ha avuto modo di visitare ed esser parte di ‘The Mainframe’ a Milano si è reso conto di non esser stato il pubblico errante di un evento parte di un fitto calendario urbano, quanto, invece, di aver assunto il ruolo coprotagonista di un sistema critico in azione. Un’intelligenza artificiale non addestrata, un dispositivo immersivo costruito da FullScream Studio, una regia visiva raffinata e una componente scultorea simbolica hanno dato vita a un’esperienza che ha messo in discussione i linguaggi, i formati e le aspettative del contemporaneo.

Ced Pakusevskij e Elisabetta Giovi hanno operato su piani distinti ma interconnessi: concettuale e algoritmico il primo, visivo e spaziale la seconda, in un complesso e affascinante dialogo con Agglomerati di Francesco Casarotti e le sue maschere. Al centro di questo intenso racconto non solo la tecnologia quanto la relazione, non soltanto l’arte quanto la frizione tra codici, corpi e spazi. Il risultato è stato un campo aperto, dove AI e antropologia, fashion e ritualità, immersione e riflessione si sono intrecciati in una forma nuova. In un’epoca che tende a standardizzare sia la tecnologia sia l’espressione creativa, ‘The Mainframe’ ha proposto una traiettoria altra: quella della complessità. Ed è da qui che la ricerca può (ri)cominciare.

THE MAINFRAME
Un progetto di FullScream Studio & Agglomerati
Fondazione Sozzani, Milano
Giugno 2025, Milano Men’s Fashion Week
INFO: FullScream Studio – Agglomerati
Photo Courtesy FullScream Studio e Agglomerati














