
Nel cuore della Valcamonica, a pochi chilometri dalle incisioni rupestri riconosciute nel 1979 come primo patrimonio Unesco d’Italia, il borgo di Bienno ospita una nuova edizione del progetto di residenza artistica “Bienno Borgo degli Artisti 2.0”, a cura di Cinzia Bontempi. Un’iniziativa che lavora da anni sul rapporto tra produzione artistica contemporanea e tessuto storico, sociale, simbolico del territorio.
Il progetto si sviluppa tra aprile e ottobre, articolato in due fasi principali, e vede coinvolti quest’anno oltre 50 artisti internazionali, selezionati tra più di 150 candidature pervenute da tutti i continenti, con un incremento del 20% rispetto all’edizione precedente. A Bienno non si arriva con opere finite da esporre, ma con progetti da costruire in situ, dentro spazi reali – fucine dismesse, botteghe chiuse, architetture domestiche – messi a disposizione dal borgo. Alla fine del periodo di residenza, ogni lavoro viene donato alla comunità, entrando a far parte del patrimonio collettivo del paese.
La prima fase, che si concentra nei mesi estivi, vede la presenza di 37 artisti provenienti da Paesi come Argentina, Stati Uniti, Corea del Sud, Germania, Cina, Belgio, Kazakistan, e da diverse città italiane, da Milano a Palermo. Il programma include anche rassegne collaterali come Bienno BorgoVisioni, mostra di videoarte e cortometraggi realizzata in collaborazione con l’associazione Sinergetica – Kinocaravan, e una sessione dedicata alla performance contemporanea nel mese di luglio.
Il tema scelto per l’open call 2025 è “Spazio Vuoto”. Una scelta che sembra alludere tanto a una condizione materiale – le botteghe vuote che oggi tornano a vivere grazie agli artisti – quanto a una dinamica simbolica e percettiva: il vuoto come sospensione, ascolto, disponibilità. Un terreno ambiguo, per certi versi rischioso, ma aperto a interpretazioni anche molto distanti tra loro.
Nella seconda fase, a ottobre, il tema sarà messo in tensione da un gruppo di cinque performer provenienti dal mondo delle arti marziali, che lavoreranno sul corpo come presenza e come intervallo, tra gesto e silenzio.
Più che un festival, Bienno si configura come un dispositivo lento, un’infrastruttura culturale che si innesta nel tessuto urbano e ne mette in discussione gli equilibri attraverso un confronto diretto con le pratiche artistiche. Il passato produttivo del borgo – quello della “ferrarezza”, che nel Seicento portava ad esportare più di 300.000 oggetti in ferro all’anno – non è ridotto a sfondo folklorico, ma si riattiva come grammatica del fare, come memoria materiale che continua a generare senso.
Il progetto non nasconde le sue complessità: il confronto tra artisti internazionali e un contesto di provincia storicamente chiuso, la difficoltà di sostenere un’attività culturale continuativa lontano dai grandi centri, il rischio costante di marginalizzazione o autoreferenzialità. Ma è proprio nella gestione di queste tensioni che Bienno Borgo degli Artisti trova, da anni, una sua posizione specifica nel panorama delle residenze in Italia: senza spettacolarizzare l’arte, senza cercare scorciatoie turistiche, ma restando ancorato al lavoro quotidiano, alle relazioni, alla trasformazione concreta degli spazi.













