
Le voci di 25 artisti palestinesi nell’esposizione itinerante concepita dal museo di Jabal Al Risan e ora in mostra da Recess a New York
La Gaza Biennale è approdata a New York con una tappa ospitata nello spazio no-profit Recess a Brooklyn. Dove resterà visitabile in forma ridotta fino al 20 dicembre. L’esposizione presenta le opere di 25 artisti provenienti da Gaza, molti dei quali vivono ancora all’interno della Striscia sotto assedio. O forse vivevano, vista la drammatica escalation di queste ore.
La rassegna, tra pittura, disegno, installazioni video e testimonianze scritte, offre uno sguardo diretto sulle conseguenze di quasi due anni di guerra. La scelta di un luogo indipendente e non di un grande museo non è casuale. In un contesto cittadino in cui istituzioni come il Whitney Museum sono state oggetto di accuse di censura nei confronti di contenuti filo-palestinesi.

Origini e percorso della Biennale
La Biennale è stata concepita nell’aprile 2024 da un gruppo di artisti di Gaza in collaborazione con il Forbidden Museum di Jabal Al Risan. Impossibilitata a svolgersi nella Striscia, è stata sviluppata come manifestazione “dislocata”, riflettendo la condizione di diaspora palestinese. Prima di arrivare a New York, è stata presentata in 17 padiglioni internazionali, definiti jinnah (“rami” o “ali”). Che hanno ospitato opere realizzate spesso in condizioni di emergenza, tra macerie o rifugi di fortuna.
Tra i lavori in mostra figura il corto Live Broadcast (2025) del giornalista Emad Badwan, che documenta le difficoltà quotidiane della stampa a Gaza. Dall’accesso alle risorse essenziali alla precarietà delle comunicazioni in tempo di conflitto. In meno di due anni, secondo il progetto Costs of War della Brown University, oltre 220 giornalisti sono stati uccisi nella Striscia. La pittrice Aya Juha sottolinea il valore umano della testimonianza artistica, dichiarando: “Scelgo di raccontare come una persona non sia un numero”.
L’esperienza dello sfollamento
L’installazione The Rocket and the Carrot (2025) di Ghanem Alden propone una riflessione sul meccanismo di minaccia e ricompensa imposto alle popolazioni civili. In mostra, carote sospese sopra un campo profughi simbolico alludono agli aiuti umanitari contesi a rischio della vita. E ancora i disegni digitali di Osama Husein Al Naqqa, realizzati sullo schermo di un telefono durante gli spostamenti forzati. E il taccuino illustrato di Suhail Salem, docente di arti visive, che raccoglie schizzi rapidi e caotici ispirati all’esperienza diretta dello sfollamento.













