
Il giorno disegna traiettorie, la notte le sfuma. Lì, dove le gerarchie non esistono, ci immergiamo in altre versioni di noi ed esploriamo spazi alternativi. C’è chi quei luoghi li vive senza dover chiudere gli occhi e trasforma un’esperienza singolare in condivisione, dove suoni e vibrazioni scolpiscono paesaggi che prendono forma nella scena underground del clubbing. Con questo sguardo, in questo episodio di Underground ma non troppo, esploriamo una delle figure protagoniste di questa dimensione e incontriamo R.ocks, dj e selector, resident di Vitamina Milano e presenza nei club d’Italia e d’Europa. Un dialogo su ricerca, scena underground contemporanea e sull’arte di creare connessioni senza usare parole.

Artista eclettica e ricercatrice di suoni, ha costruito la propria identità musicale come un collage vivo di esperienze, luoghi, influenze e incontri. Il suo repertorio spazia dalla cosmic e dall’italo disco alla diva house, dal latin alla progressive: un suono che scivola tra epoche e luoghi restando ancorato al battito crudo del club. Le sue radici latine affiorano in voci calde e profonde che aggiungono emozione e intensità. In console, l’empatia con il pubblico è il suo strumento primo: ascolta, dosa tensione e rilascio, fino a far respirare tutti all’unisono, dall’apertura alla chiusura. Ci incontriamo in un’enoteca, in quel momento in cui il giorno sfuma nella notte. Il vino che accompagna la nostra conversazione, ovviamente, lo sceglie lei.

In che modo la tua storia personale—momenti, persone e luoghi—hanno definito il tuo percorso da DJ?
Sono figlia dei ’90 e la mia scuola è stata MTV: un vaso di Pandora che mi ha aperto le decadi precedenti e mi ha aiutata a costruire la mia mappa musicale. Dai miei genitori ho preso i ’70—Donna Summer, Diana Ross—e più tardi ho riconosciuto quelle trame nella house. Gli ’80 sono la mia grande passione: new wave, new romantic, italo disco e l’elettronica post-’70. I ’90 restano il sottofondo costante: da lì nasce il mio impulso a fondere tutto. Più di dieci anni fa mi sono trasferita a Milano: lì i club, i concerti e le scene diverse mi hanno dato spazio e mi hanno fatto esplorare ogni genere. Il vero switch è arrivato con lo stop del Covid, in un periodo di insoddisfazione lavorativa: mi sono buttata da autodidatta e ho iniziato a suonare. Suonando ho capito la “magia”: la connessione. Non è imporre il mio gusto o inseguire le aspettative, ma costruire un linguaggio comune con chi ho davanti. La console non è una barriera: è il posto dove riesco a esprimermi (e per questo l’inizio del set è la parte più delicata). Milano, con la sua scena underground in crescita, resta il luogo che mi ha formato di più: in una città famosa per le “maschere”, il clubbing è uno degli spazi in cui possiamo essere davvero noi stessi.

Che ruolo ha per te l’improvvisazione durante una set?
Per me l’improvvisazione è fondamentale perché ti permette di leggere il momento in modo diverso da come te lo saresti immaginato. Non è solo scegliere la traccia giusta: è capire chi hai davanti, percepire l’energia del pubblico e adattarti al volo. È lì che nasce il vero dialogo con chi balla, e solo entrando in connessione con loro puoi raccontare la storia giusta, quella che il dancefloor ti sta chiedendo in quel momento.
Il pubblico/dancefloor a cui sei più affezionata?
Per me il pubblico a cui sono più affezionata è quello che, come me, sul dancefloor riesce a essere davvero se stesso, senza sovrastrutture né stereotipi. Quando senti che le persone si lasciano andare con naturalezza, che si spogliano di tutte le maschere che la società ci impone, allora la pista diventa una vera culla, un luogo che accoglie e ti fa sentire libero. In questo senso Vitamina è stata una scelta naturale: ci siamo “studiati” a lungo, ci siamo osservati e con il tempo abbiamo capito di avere la stessa visione del clubbing. Far parte di Vitamina per me significa sentirsi a casa, al sicuro. Far parte di una comunità che condivide i miei stessi valori e la mia idea di dancefloor.
Un’altra relazione che mi ha sempre incuriosita è quella tra due DJ, come ti trovi nei back to back con altri artisti?
Il B2B funziona solo se c’è connessione vera con l’altro DJ. Senza quella sintonia preferisco non farlo, perché non è solo una questione tecnica: è da lì che nasce l’intimità con il pubblico. Quando ci si capisce al volo, anche con stili diversi, l’energia si amplifica e arriva dritta al dancefloor.

La scena underground e il clubbing in Sud America: che ruolo hanno all’interno dei tuoi DJ set?
Negli ultimi anni sento che c’è un avvicinamento molto forte da parte del pubblico verso ciò che viene dal Sud America: ritmi come la guaracha, il baile funk, le contaminazioni latino-elettroniche stanno diventando sempre più presenti nei club, non come “effetti esotici” ma come una vera e propria lettura della musica elettronica. E poi c’è tutto il discorso del latin house anni ’90 a New York, che per me è un punto di riferimento enorme: basti pensare a C+C Music Factory, George Morel, Valeria Vix e tante altre icone che hanno avuto quella capacità di unire le radici latine con la house, portando in pista percussioni, voci, strumenti popolari. Quella roba aveva un calore e un groove che ancora oggi senti vivo. Mi piace mescolare, quando ha senso, questi elementi latini: percussioni, groove, melodie vocali, atmosfere che evocano calore, festa, comunità. Quando faccio questo, creo un ponte col pubblico che magari non parla spagnolo o non ha vissuto certe tradizioni, ma che reagisce subito all’energia, al ritmo sincero. È un modo naturale di raccontare, e ogni volta che succede la pista prende vita in una maniera unica.

Torniamo a Milano, qual è la situazione attuale della scena underground?
Oggi a Milano l’underground sta vivendo un momento un po’ delicato: da una parte c’è tanta voglia di sperimentare e di creare comunità, dall’altra è sempre più complicato trovare e mantenere spazi dove esprimersi liberamente. Alcuni luoghi hanno chiuso o sono cambiati, e questo inevitabilmente riduce la varietà. Allo stesso tempo, però, vedo nascere nuove realtà che inventano modi diversi di fare le cose, e questo per me è il segnale che l’underground, anche se con fatica, continua a rigenerarsi. È proprio questa capacità di adattarsi che mi fa essere positiva: ogni nuova generazione trova sempre il suo modo di ridare energia al movimento e portarlo avanti.
Quali altri obiettivi ti piacerebbe raggiungere?
Da tempo molte persone nel mondo della musica mi spingono verso la produzione. E sento anch’io che questo è un momento maturo, in cui posso finalmente dare forma e frutto alle mie idee. Qualcosa è già in cantiere, anche se per ora non posso svelare troppo…
Per concludere voglio chiederti di lasciarci qualcosa, una tua playlist o dj-set, qualcosa che senti rappresentativo, senza spiegazione
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