
E se in un museo, anziché sgomitare per avvicinanti al quadro che vuoi guardare venissi accompagnato dal Mastro-di-Chiavi che, silenziosamente, ti aprisse le porte, quelle della percezione? Obnubi ci mette di fronte a un’altra direzione…
Domenica eravamo in zona, mia moglie ed io, così abbiamo deciso di fare una deviazione e siamo andati a Castelfranco Veneto. “Deviazione”, dice il dizionario: dal latino “deviato”, formato da “de” – allontanamento – e “via” – strada –, indica quindi l’azione di allontanarsi dal percorso o dalla direzione originaria; in pratica, “deviazione” significa letteralmente “uscita di strada” e forse anche errare e perdersi, mi rendo conto che sembra difficile perdersi nei dintorni di Castelfranco ma la viabilità della campagna veneta riserva più sorprese, e non sempre positive, di quanto si creda. In ogni caso, siamo arrivati a Castelfranco Veneto, malgrado qualche deviazione di troppo, il nostro desiderio era ovviamente rivedere la pala di Giorgione custodita nel Duomo. Rivedere, perché l’avevamo già ammirata molti anni fa, almeno venti e il ricordo di quella visione cominciava ad essere tanto sfocato quanto favoloso.

Siamo arrivati nel primo pomeriggio e il Duomo era ancora chiuso, quindi abbiamo bighellonato un po’ e ci siamo presentati in perfetto orario all’apertura. Non c’erano funzioni ed eravamo gli unici visitatori. La pala della Madonna di Giorgione è custodita in una cappella a destra del presbiterio, proprio in fondo alla navata. La cappella è protetta da un cancello. Il cancello era serrato, le luci nella cappella erano spente e non si poteva vedere nulla, dietro alle sbarre di metallo si apriva un buco nero che non rimandava neanche l’eco delle nostre parole. La chiesa era deserta e silenziosa, la luce intensa, quasi abbagliante, l’aria sembrava come sospesa, come in attesa di chissà quale accadimento, sentivamo solamente il suono dei nostri passi, delle nostre parole sussurrate. Insomma, strano.
Poi è apparso un custode-sacrestano-guardiano, è spuntato da una porticina nascosta dietro a una colonna (poteva benissimo essere l’ultimo “Mastro-di-Chiavi” della “Confraternita del Sonno”* o di una setta del genere, e chi ha visto certi film, come me, come noi, sa perfettamente di cosa sto parlando e avverte la stessa inquietudine), ovviamente era vecchio e, come si addice al ruolo di Mastro-di-Chiavi, aveva in mano un mazzo enorme e tintinnante di chiavi. Il Mastro-di-Chiavi, lentissimamente, un po’ per l’età e un po’ per lo spettacolo, ha scelto la chiave giusta e ha aperto il cancello. Si è introdotto nel nero della cappella ed è scomparso, risucchiato da quel vuoto, da quell’abisso. Noi ovviamente siamo rimasti fuori, lontani, un po’ intimoriti perché dopo aver visto certi film finisci per essere impressionabile, e un po’ per assistere alla rappresentazione. Dopo qualche tempo – tanto? poco? chi lo sa! – si sono accese delle luci e la cappella ha preso vita. Il Mastro-di-Chiavi, silenziosamente come era apparso, ci ha lasciati in compagnia di Giorgione e abbiamo guardato il quadro.

Bello, il quadro, uguale e diverso da come lo avevamo visto vent’anni prima. Ma non è questo l’argomento, dopotutto, chi mai può pretendere di avere ancora qualcosa di interessante da dire su un’opera celebre come quella, consumata dalle parole, dall’esegesi, dalla filologia. La nostra visione però, nonostante tutti i discorsi che l’hanno preceduta, è stata fresca e nuova e questo perché ci siamo allenati a fare un po’ di vuoto attorno al nostro sguardo.

Il fatto che ha reso la nostra “visione” davvero diversa – per precisione dovrei scrivere weird – è stata l’inconsueta pantomima che ci ha accompagnati, sembrava fosse stata sceneggiata: la chiesa deserta come sospesa nel tempo, il cancello serrato, il buio, il mistero, il vecchio guardiano silenzioso, le chiavi, le porte che si aprono e poi la luce e poi… Pensa se ogni volta, per arrivare a vedere, si potesse assistere a qualcosa del genere, tipo: tu vai in un museo e non devi sgomitare per avvicinanti al quadro che vuoi guardare e invece di farti largo tra le ascelle di mille turisti chiassosi, vieni accompagnato dal Mastro-di-Chiavi che silenziosamente, misteriosamente ti elegge a suo adepto e ti apre le porte, le porte della percezione.
*Nota per i non-nerd: “Mastro-di-Chiavi” e “Confraternita del Sonno” sono riferimenti a due film di fantasmi e diavoli, uno fa ridere e l’altro fa paura, molta paura.













