
Io ho sette e più dentisti. Non perchè abbia particolari problemi ai denti, ma perché generalmente i dentisti sono buoni collezionisti. O almeno un tempo lo erano. Quindi, con la scusa dell’igiene dentale per me e le mie figlie, passo alcune mezz’ore nelle loro sale d’aspetto cercando di capire quale angolo di parete possa ancora ospitare le opere che ho da vendere.
Ve l’aspettavate? Del resto la vita di galleristi e mercanti non è sempre scritta e se ci si attarda su sentieri consueti si rischia d’esser finiti. E soprattutto, a differenza dell’idraulico o dell’elettricista, noi non facciamo nulla che davvero serva quindi, piuttosto di stare alla finestra o di fare fiasco, conviene creare fili diretti con vecchi o potenziali compratori e tentare di persuaderli. A proposito di persuasione: un’altra categoria che frequento spesso è quella degli avvocati. Solitamente comprano opere su carta, che hanno a che fare con un testo. Credo sia una sorta di redenzione dal lavoro quotidiano o una specie di emancipazione da certi scritti che raramente risultano poetici o interessanti. La parte drammatica, con la categoria in questione, è quando qualcuno non rispetta le tempistiche, e allora arriva subito una PEC di protesta, con gravi minacce e ribadite scadenze. Del resto il loro mondo va così, e “sa Sig. Mafessoni quante caparre si sono perse anche per brevi inadempienze?”, mi è capitato di sentirmi dire. A loro vantaggio tengo a precisare che di solito studiano molto e sono collezionisti di libri d’artista. In più d’un caso ho visto negli studi degli avvocati persino il Classifying the Thousand Longest Rivers in the World del 1977 di Alighiero Boetti, libro a stampa in edizione di 500 esemplari firmati e numerati da 1 a 450 con numerazione araba, da 451 a 500 con numerazione romana, e con la copertina ricamata per gli esemplari da 1 a 150, mentre ai restanti è stata messa una copertina in tela rossa, tipica dell’artista. E proprio Alighiero e Anne Marie Sauzeau, sua moglie al tempo, avevano creato una classificazione dei mille fiumi più lunghi, raggruppando, senza l’aiuto di internet, nomi, sorgenti, foci e lunghezze dei corsi, oltre ad annotazioni sulle discrepanze dei dati che facevano emergere un disaccordo tra il desiderio scientifico di organizzazione e i limiti della classificazione, dando vita a un pezzo imprescindibile del libro da collezione.

Nella densa libreria di un avvocato, in un caso estremamente fortunato, mi si è presentata addirittura anche la Lito-Latta: un’opera di Bruno Munari e Tullio d’Albisola, che risale alla prima metà degli anni ’30. Il titolo in realtà è L’Anguria lirica e si tratta di 17×19 centimetri ben stampati su 21 fogli di metallo, con un ritratto di Diulgheroff, la prefazione di Filippo Tommaso Marinetti e 11 litografie a piena pagina di Munari, con la legatura editoriale in metallo e il dorso a cilindro. Dei 101 esemplari prodotti, soltanto 50 furono messi in commercio grazie alle Edizioni Futuriste e L’Anguria lirica è solo la seconda delle due lito-latte editate. La prima è Parole in libertà futuriste olfattive tattili termiche, uscita nel ’32, e chissà se qualcuno un giorno me la farà trovare. Ma proseguiamo con i collezionisti. I miei preferiti sono i medici. Forti del loro guadagno certo, non comprano mai troppo, ma lo fanno con sentimento. Preferiscono gli artisti maturi perché sanno che il corpo umano prima o poi termina il suo percorso, quindi i valori delle loro opere probabilmente salgono. Hanno comprato Christo solo dopo il compimento del suo 83esimo compleanno, si lamentano della longevità di Pistoletto, hanno osservato increduli Pierre Soulages sfiorare i 103, e chissà che non abbiano addirittura accesso alle cartelle cliniche degli artisti inseriti nelle loro lista dei desideri. I più difficili, tra i compratori, sono i maschi anziani arricchiti. Mi raccontano la loro visione della vita e fanno domande di tanto in tanto, convinti che risponderò esattamente ciò che loro pensano.

E allora io spesso tergiverso, perché non mi passa neanche per la testa l’idea di intavolare una discussione, magari d’estetica o socio-politica, con chi non posso contraddire. Quindi con loro attendo, mi guardo attorno come Don Abbondio, e generalmente avviene questo:
“Ha visto Mafezzoni* l’installazione nuova dell’artista XY in Piazza Z?”
E io:
“Sì, certo!”, ma non aggiungo altro. E anche se magari penso quello che Fantozzi pensava della Corazzata Potëmkin, aspetto di capire come prendono posizione. Se si sbilanciano e siamo allineati nel giudizio, partecipo e do manforte al discorso. Se invece restano neutri e mi fissano, allora aggiungo:
“Ma Lei, Lei che dice?”
E lui:
“Io l’ho trovata meravigliosa! Davvero geniale e inaspettata!”.
E quindi anch’io sorrido tiepido, dico che valeva proprio la pena vedere l’installazione in questione, mi mordo la lingua e mi compiaccio per la mia tecnica.

Il mondo della moda che compra arte è invece molto divertente. Sovente sceglie opere in tessuto e colorate, parla male di artisti che andavano alla grande fino alla stagione precedente, cerca autori che sono sulla cresta dell’onda, il cool guy, con good vibes. Ha poche turbe intellettuali e regala grandi consigli generici perché, usualmente, chi lavora nella moda e colleziona ha già ottenuto lauti guadagni e si sente in dovere di indicarmi la strada per far fortuna. I peggiori? Gli Arpagoni! Avaracci, tirchi, braccia corte e via dicendo, che amano pronunciare soprattutto la parola sconto. Quelli che per pagare chiedono di aspettare i 5 minuti da barbiere, che poi sono mesi di pene. I più impegnativi sono i veneti. Che non hanno ben capito che “bacco tabacco e Venere riducon l’uomo in cenere”. E loro qui ribattono a tono: “purché succeda piano!”. Ma a cena con loro ci si diverte e quindi non importa l’imprecazione continua o il mal di testa della mattina. Altri clienti scomodi sono quelli che ti sopravvalutano e ti prendono per Google. Che ti chiedono come si chiama l’artista esposto nella Biennale di San Paolo del 2008? Come fossi un Johnny Mnemonic o un avengers in missione con occhio di falco. A voi amici dico: grazie per la fiducia, ma non posso ricordarmi tutto. Quindi? Invento e mento? Ma se poi mi scoprono mi crocifiggono a testa in giù come San Pietro, dunque faccio boccuccia e mi dispiaccio. Del resto, come si dice nelle Marche, anche la mosca dà il calcio che riesce. Se volete però vi posso confidare un ricordo che mi è stato più volte richiesto. La prima volta che ho provato vera soddisfazione da un’opera d’arte moderna è stata con le caramelle di Felix-Gonzales Torres.

Oggi so che sono una bellissima metafora della vita che si consuma e che si riferiscono a Ross, il suo compagno scomparso anzitempo, ma all’epoca mi era bastato il cenno della sorvegliante che, molto banalmente, mi autorizzò a mangiarle.
In fin dei conti, comunque, ringrazio tutti i collezionisti. Di voi mi lamento ma benedico il giorno del nostro incontro. Grazie del supporto passato e soprattutto di quello futuro. Ci sarà, vero? E a tutti quelli non menzionati chiedo venia e vi suggerisco di venire a comprare da me presto, così vi inserisco nel prossimo testo.
*Errore tipico – e purtroppo frequente – della pronuncia del mio cognome.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano), curatore (Settantaventidue, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni













