
Settimana cruciale per la casa d’aste Capitolium Art che martedì 14 ottobre ha proposto in una vendita di Old Masters un’opera del tutto inedita della leggendaria Artemisia e, dopo soli due giorni, rilancia proponendo nell’asta di arte moderna e contemporanea in calendario giovedì 16 ottobre il dipinto che ogni collezionista di arte italiana post war vorrebbe includere nella propria collezione. Parliamo della versione coeva e gemella del dittico di Mario Schifano When I remember Giacomo Balla, New York City, esposto nella Biennale di Venezia del 1964, la storica Biennale della Pop Art, un lavoro di nodale importanza nel catalogo dell’artista perché considerato il numero zero della sua lunga e brillante riflessione sul Futurismo. La notizia che di questo vero e proprio incunabolo della pittura italiana post war esistesse una copia gemella non stupirà i cultori dell’arte di Schifano, il creatore torrentizio che, una volta individuato uno spunto di ricerca, lo sviscerava in modalità seriale, ostentando quella frenesia produttiva indicata da Maurizio Calvesi come una delle sue peculiarità più tipiche.

“When I remember Giacomo Balla, NewYork City”, 1964
smalto, pastelli e carboncino su collage di carta da pacco applicato su tela
172.0 x 126.5 cm
Particolare della scritta sul retro
Storia e caratteristiche dell’opera
Valutato dagli esperti di Capitolium Art tra i 140.000 e i 180.000 euro, il dittico, una grande tecnica mista su carta da pacco applicata su tela, viene prodotto da Schifano durante il più lungo dei suoi viaggi americani, l’intenso soggiorno a New York iniziato a dicembre del 1963 e protrattosi per più di sei mesi. Il tema dell’opera è infatti quello della folla di New York raffigurata “alla maniera “di Giacomo Balla, un tema curioso involontariamente suggerito all’artista da Maurizio Calvesi, lo storico dell’arte che per il gruppo dei giovani artisti di Piazza del Popolo era divenuto un mentore prezioso costantemente impegnato a inventare le loro carriere procurando inviti a mostre e manifestazioni d’arte e riconoscimenti ufficiali.
Effetto non secondario dell’autorevolezza conquistata in breve tempo dal critico nell’ambito della compagine artistica romana fu il potere di suggestione culturale esercitato sui membri più percettivi del gruppo, irresistibilmente attratti nel campo di influenza dei suoi fondamentali studi di storia dell’arte. Dalla fine degli anni ’50, alcuni di questi studi lo avevano visto impegnato nella riscoperta e valorizzazione del movimento futurista, l’italianissima avanguardia sulla quale, nell’immediato dopoguerra, era calato il silenzio a causa delle sue compromissioni con il regime fascista.
A Schifano – ragazzo difficile che aveva abbandonato la scuola in età precoce, ma che nella sua ricerca artistica appariva guidato da una prodigiosa velocità di intuizione – bastò ricevere in dono da Calvesi il catalogo della grande mostra su Balla da questi organizzata a Torino nel ’63 per immaginare quel percorso di brillante “rivisitazione futurista” inaugurato proprio dall’invenzione di “When I remember Giacomo Balla”, l’opera di cui Capitolium Art offre in asta una delle due versioni realizzate.
L’analisi della storia collezionistica di entrambe le versioni offre spunti preziosi per comprendere lo sviluppo dell’arte europea a partire dagli anni ’60 e il ruolo giocato da Schifano nell’ambito di questo

Mentre con la giovanissima fidanzata Anita Pallenberg – destinata a diventare una star internazionale del ruggente ventennio 1960/’70 – Schifano si immergeva totalmente nel clima sopra le righe della New York delle nuove avanguardie, quella di Warhol e della stupefacente congerie culturale e umana che vorticava attorno alla sua Factory, Calvesi in Italia coglieva ogni opportunità per sostenere la carriera dei suoi protetti. Il miglior punto messo a segno dalla sua costante attività di promozione fu l’invito di partecipazione alla Biennale di Venezia del 1964 nell’ambito dell’esposizione dedicata alle nuove tendenze dell’arte italiana. Tra gli artisti selezionati c’era anche Schifano che, tra le opere da esporre, scelse di inserire anche la nuovissima When I remember Giacomo Balla, inviata a Calvesi direttamente da New York.
La XXXII edizione della Biennale si rivelò uno degli eventi artistici cruciali della seconda metà del ‘900, una vetrina di straordinaria risonanza internazionale per gli artisti partecipanti. Nessuno in Europa aveva infatti previsto l’intenzione del governo USA di utilizzare la manifestazione veneziana come scenario di un capitolo, a dir poco romanzesco, della guerra fredda, il severo conflitto politico, ideologico ed economico che, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, aveva diviso il pianeta in due opposti schieramenti. Nelle dinamiche di quella guerra, il predominio culturale diveniva un obiettivo strategico da perseguire anche usando l’arte come un’arma e i suoi uomini come il più inaspettato degli eserciti. Il comando della spettacolare operazione messa in campo per presentare al mondo la novità della Pop art americana fu affidato al più potente gallerista di New York, il triestino Leo Castelli. Fu lui a scommettere su Robert Rauschenbergcome uomo di punta di un’offensiva culturale basata sulla convinzione che quell’artista irregolare e scandaloso sarebbe stato il miglior alfiere possibile del mondo libero, felicemente ancorato al principio di libertà di espressione, mentre oltrecortina l’impero del male annientava ogni forma di disallineamento all’ortodossia dominante.
Il Leon d’Oro conferito a Rauschenberg sancì definitivamente la fine della supremazia culturale esercitata per secoli dal continente europeo e avvantaggiò gli artisti che, come Schifano, si mostravano già aggiornati sul nuovo corso dell’arte mondiale, quello che spostava in modo definitivo l’epicentro della produzione artistica e del suo mercato da Parigi a New York.

Anche la vicenda collezionistica dell’altra versione del When I remember Giacomo Balla, offerta in asta da Capitolium Art, è illuminante per comprendere luci e ombre della carriera di Schifano in quel topico contesto storico.
Nella scheda in catalogo leggiamo che l’opera fu esposta in prima battuta nel 1964 presso la Odyssia Gallery di New York, un contatto procurato a Schifano dal solito Calvesi, come sempre solerte nell’intervenire in soccorso del suo talentuoso quanto autodistruttivo protegé. La storia è illuminante e merita un breve racconto.
Calvesi ha sempre raccontato Schifano come un uomo e un artista capace di cogliere con largo anticipo il nuovo corso delle arti e dei costumi, un preveggente della modernità nelle piccole come nelle grandi cose: “(Schifano) ha fatto un po’ tutto lui prima degli altri, almeno sino a una certa data…È a casa sua che ho visto per la prima volta delle “strutture primarie”: fatte con solidi di plexiglas che collocava davanti ai quadri. Era stato il primo ad averne sentore dall’America. Così fu poi il primo a farsi crescere i capelli avanti che venisse la moda, come era stato il primo a “fumare” o a portare le scarpe da tennis bianche sfondate sul pollice…”. La freschezza delle sue opere dei primissimi anni ’60, al corrente delle novità provenienti dagli USA eppure diverse dalla produzione dei colleghi americani, conquista persino una delle più potenti galleriste in circolazione, la prima moglie di Leo Castelli, Ileana Sonnabend che a Schifano, già nel 1961, offre l’ambita opportunità di un contratto in esclusiva. Il modo in cui Schifano boicotta l’accordo è da manuale: continua a vendere per conto proprio nonostante il vincolo di esclusiva; lei gli pianifica una mostra nella sua prestigiosa galleria di Parigi, lui si indigna perché la calendarizzazione dopo le personali dedicate a Rauschenberg e Jones lo collocherebbe al terzo posto di una gerarchia di cui si sente in realtà al vertice; lei gli apre le porte del mercato americano, lui la snobba e manda a rotoli la collaborazione con la catastrofica conseguenza del ferreo veto del mercato americano sul suo nome. Per via dell’ostruzionismo della coppia Sonnabend-Castelli, durante il suo lungo soggiorno americano del ‘64 Schifano non riuscì a vendere nemmeno un quadro e Calvesi per aiutarlo si adoperò per procurargli un nuovo gallerista, quell’Odissya Gallery in cui fu esposta la versione di When I remember Giacomo Balla proposta in vendita da Capitolium. L’ostracismo di Sonnabend e Castelli fu così radicale da arrivare a coinvolgere tutti gli artisti italiani dell’epoca, compreso il talentuoso Pino Pascali inutilmente proposto da Calvesi alla potente coppia di galleristi.

L’importanza di “When I remember Giacomo Balla” in sintesi
Perché When I remember Giacomo Balla è il dipinto che ogni collezionista di arte italiana post-war vorrebbe avere?
- Perché è un’opera dei primi anni ’60, il periodo più alto della produzione di Mario Schifano, uno dei massimi artisti dell’arte europea post-war e sicuramente il più innovativo dell’arte italiana del periodo.
- Perché è l’incunabolo delle “rivisitazioni futuriste”, un filone della ricerca di Schifano importante anche per comprendere le differenze di orientamento tra gli artisti della pop art americana e quelli della cosiddetta pop art europea, per i quali il confronto con l’eredità di un ingombrante passato rimaneva un cimento ineludibile.
- Perché è parte integrante di un pezzo nodale della storia dell’arte contemporanea.
Il mercato degli incanti ha spesso il merito di riportare all’attenzione del pubblico e della comunità degli studiosi opere di significativa importanza. È il caso di When I remenber Giacomo Balla in asta da Capitolium Art.
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Foto di apertura:
Mario Schifano
When I remember Giacomo Balla, NewYork City, 1964
smalto, pastelli e carboncino su collage di carta da pacco applicato su tela
172.0 x 126.5 cm
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Capitolium Art Asta 549
di Arte Moderna e Contemporanea
16 ottobre 2025 dalle 15,00 CEST
Palazzo Cigola Fenaroli Valotti
Via C. Cattaneo 55 – Brescia
Il catalogo dell’asta è online su
www.capitoliumart.com
Ufficio stampa:
Scarlett Matassi +39 345 0825223 – info@scarlettmatassi.com














