I personaggi ritratti da Antonello da Messina hanno fisionomie evidenti al punto che chi guarda quei ritratti è portato a pensare come dovesse essere esattamente quella persona. Nello stesso tempo ciò che predomina in questi quadri è uno stile talmente personale che si riconosce immediatamente; un buon esperto d’arte, un appassionato, dopo aver visto due o tre ritratti di Antonello da Messina, quando vede il quarto è in grado di attribuirlo. Si tratta di uno stile che trasforma gli elementi della fisionomia in geometria, che immobilizza un’immagine che in realtà è mobilissima perché piena di vita, di evidenza; che non risparmia la descrizione di piccoli dettagli, perfino di difetti della fisionomia, li riproduce per come sono stati veramente, e nello stesso tempo li alza a un livello di perfezione formale che rende bello ciò che in natura probabilmente non è tale. Una ruga, un piccolo difetto, uno sguardo non particolarmente profondo e incisivo, trascritto nel quadro di Antonello, diviene una sublime caratteristica d’arte. Perché? Perché sublime è l’occhio di chi guarda; perché questa è la grandezza dell’arte: la bellezza di un quadro non consiste nel fatto che è bella la persona che in esso è raffigurata, ma consiste nel fatto che è “bello” l’occhio dell’artista che la sta guardando, ed è capace di riprodurla. E’ l’artista che vede la bellezza del reale, perché il reale non è né bello né brutto; diventa tale perché lo decide l’artista. Nel caso di Antonello da Messina questa operazione demiurgica è talmente perfetta, talmente acuta, talmente spietata, che chiunque lo intende (…).
Claudio Strinati “Il mestiere dell’artista. Da Giotto a Leonardo”
Editore Sellerio, Palermo, 2007
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