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LE IDEE DELL'ARTE PER LONGHI

QUATTRO PAGINE STRAORDINARIE DI ROBERTO LONGHI

Io credo che chiunque si occupi – nel parlarne o nel produrne- d’arte non può prescindere dalla conoscenza degli scritti di Roberto Longhi. Queste quattro pagine che vi proponiamo furono redatte da un Longhi giovanissimo, neo-professore in alcuni Licei romani. Mentre le leggete provate a chiedervi quanti, tra coloro, che parlano -anzi blaterano- sull’arte oggi conoscono queste straordinarie idee. Questo modo intelligente e coltissimo di relazionarsi a un’opera d’arte. Tutte le volte che ascoltate o leggete qualcuno che vi parla d’arte fate mente locale e tornate con la memoria a queste straordinarie riflessioni del Longhi. Un caposaldo nell’intelligenza e nella lettura dell’arte.
Lo sviluppo del senso critico e dell’autonomia del nostro intelletto sono gli unici veri ed efficaci strumenti contro qualsiasi tipo di truffa. Buona lettura.
 
Paolo Manazza, direttore di ArsLife

 

da:
BREVE MA VERIDICA STORIA
DELLA PITTURA ITALIANA
 
di Roberto Longhi

 

“Ammetto alla prima che voi siete convinti, senza ch’io ci spenda parole, che l’arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa.

Questo concerne il fatto artistico in generale sia letterario che figurativo: bisogna adunque scendere a un’altra distinzione essenziale: la distinzione tra arte figurativa e letteratura.

Il processo spirituale della creazione è identico per l’artista e il poeta: ma il campo di realtà che interessa l’uno non riguarda l’altro.

Mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l’essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l’essenza visiva: il sentire per l’artista figurativo non è altro che il vedere e il suo stile, cioè l’arte sua, si costruisce tutta quanta sugli elementi lirici della sua visione.

Poiché occorre tenere ormai distinta la visione dell’artista figurativo dalla visione quotidiana di ognuno e dell’artista stesso nei momenti in cui non fa arte: noi infatti guardiamo il mondo, solitamente, per le necessità pratiche che ci spingono a muoverci nello spazio, o tutt’la più per la rievocazione nostalgica di qualche istante della nostra vita sentimentale (tendenza poetica), il pittore invece vede il mondo da un punto di riguardo ben limitato e intenso, ch’è poi il suo modo pittorico di vedere, e a quel modo riduce inevitabilmente il caos sterminato della realtà visiva.

Ecco dunque delle equazioni successive: arte figurativa – stile figurativo -= visione figurativa.

Per maggior comprensione si possono – nel corso dell’arte – estrarre alcuni elementi tranto affini in opere diverse e lontane da costituire una serie dei modi di visione pittorica, degli stile diversi insomma. Vediamoli per l’appunto nella Pittura.

 

Stile lineare

E’ un modo di visione per cui l’artista figurativo esprime tutta la realtà visiva sotto specie di linea e contorno. Voi comprendete quanto sia lontano dal realismo un artista che sfronda dal complesso delle apparenze tutto ciò che non si può esprimere sinteticamente per mezzo della linea.

Quando si voglia, per esempio, esprimere la articolata nervosità di un copro per mezzo di puro contorno, ecco l’artista imprimere tale vibrazione ondulata alla linea marginale da sintetizzare con essa lo scatto e lo spostamento della materia corporea inclusa nel rigirarsi del contorno, materia ch’egli non rappresenta e che pure esprime per mezzo d’una cosa diversa: la linea. La quale quando come in questo caso abbia per iscopo di esaltare l’energia vibrante del corpo può chiamarsi: linea funzionale.

Ma spesso dallo svolgersi e dall’intreccio delle linee funzionali si formano i ritmi, rispondenze di ondulazioni, che accentuate a poco a poco dall’artista vengono a formare dei puri rabeschi decorativi in cui l’antico valore vitale organico non è abolito ma ridotto a un’ondulazione quasi involontaria, come di uno stelo incurvo dal vento, o di un’alga insinuata dalla corrente; e questa nuova specie di linea può ben dirsi: linea floreale.

Come massimo creatore di linea funzionale potete fin d’ora ricordare il nome di Antonio Pollaiolo e riferirvi alle analisi particolari ch’io faccio di qualche opera sua più avanti; come insuperabile floreale non dimenticate ormai Simone Martini e studiate con me il suo “Trittico” degli Uffizi di Firenze, con l’Annunciazione e due Santi; considerate infine di poter gustare, sulle stesse basi espressive, gli artisti cinesi e giapponesi che furono florealisti supremi e per molti secoli.

 

Stile plastico

Non più esprimere il mondo visivo per mezzo delle vibrazioni energetiche o blande della linea funzionale o floreale, anzi esprimere semplicemente la convinzione plastica corporea delle cose; il mezzo non può essere che uno solo: la luce, la quale piovendo sulle cose rappresentate da una fonte determinata, e con certa intensità, sopprime tutti gli scarti analitici della luce reale che, spostandosi, gioca eternamente con le cose, e squadrandole invece in masse nettamente distinte da emergenze di luce e gorghi d’ombra ne accentua il rilievo: quest’accentuazione costante della forma e della corporeità degli oggetti è appunto ciò che dà valore assoluto a questa tendenza artistica: ed è una scelta, una rappresentazione delle cose stesse che non si opponga all’intento semplificatore del chiaroscuro. Per ciò ideazione di corpi solidi massicci pesi robusti sicuri del luogo da assumere nello spazio, sfrondati di particolari, tali insomma da render più facile e completo l’intento costruttivo del chiaroscuro. Come esemplificazione di questo stile ricordate Masaccio nell’”Adamo ed Eva” della Cappella Brancacci al Carmine di Firenze.

 

Stile plastico-lineare

Quando poi avvenga che il chiaroscuro, più blando, lasci certa chiarezza all’ambiente sul quale le figure risaltano, non è strano che il pittore intento ad esprimere la convinzione plastica – una semplice convinzione di esistenza – delle cose pensi anche ad affermarne il senso organico imprimendo ancora al contorno la vibrazione lineare; la linea che può entrare in campo, qui, è naturalmente la linea funzionale, poiché appare alla prima che la floreale non si potrebbe mai alleare con un senso di plasticità corporea. A questo stile plastico-lineare vanno riferiti alcuni nomi grandissimi: fra gli altri quello di Michelangelo e, almeno in parte, di Giotto.

 

Stile prospettico di forma

La tendenza plastica conduce ad affermare con nettezza la situazione relativa dei copri nello spazio. Sentire dei corpi regolarmente appostati in quel cubo di spazi che la tela apre alla nostra visione è già sensazione inizialmente architettonica: ma una volta che in quei corpi vibri un controno funzionale noi sentiamo in essi la possibilità del movimento, quindi l’arbitrio di sottrarsi all’imperativo del luogo loro assegnato: come rendere assoluto quell’imperativo, allora? A questo pensa la visione prospettica di forma immaginando che la piramide visiva che ha per base la tela e per foco il centro dell’orizzonte sia ancora sezionata di tanti piani ideali che, pur non rappresentati, si simboleggiano nell’effetto prodotto sulla forma che ne risulta così appianata e disposta, in totale, lungo certi piani, come avviene di una massa architettonica.

Un capolavoro assoluto di questo tipo è la “Annunziata” di Antonello da Messina, in cui posa azione forma concorrono a formare una piramide umana di mirabile astrazione ideale.

 

Stile coloristico puro

Ci trasportiamo di botto da un mondo visivo di complessità quasi intellettuale, ad un altro di primordialità quasi bruta: dello stile coloristico puro.

Non accorgersi affatto dell’esistenza plastica delle cose, come se non ci si fosse mai addentrati nello spazio: vedere ed esprimere il mondo come un tappeto disteso di superficie variegate e null’altro: ecco il primo intento del pittore colorista. Come d’altra parte rendere più sentito questo avvicinamento di pura superficie? Evidentemente, poiché tutti ammettono che superficie sia il contrario di linea, escludendo al massimo la linea, appunto, l’ondulazione, e accostando quanto più largamente possibile le superficie di colore. La linea inevitabilmente ci distrae dal colore; prima di scriverci mi doleva di turbare la bianchezza di questo foglio; ora mi interesso degli avvolgimenti curiosi che la mia penna ha tracciato e ho dimenticato la bianchezza del foglio. Per questo sebbene Simone Martini usi nella sua “Annunciazione” di tinte deliziose io ve n’ho additato il valore eminentemente floreale – di linea – ; per questo invece vi esorto a considerare come capolavori di stile puramente coloristico i musaici di San Vitale a Ravenna: dove l’artista bizantino, mirabilmente noncurante della convinzione plastica, ha immaginato Giustiniano e i suoi cortigiani, Teodora e le sue dame, come semplici accostamenti di late stole rettangolari fasciate largamente di croci, placcate di borchie e di gemme – sovra un sol piano.

 

Stile di sintesi prospettica di forma e colore

L’artista tenta con esso di superare lo stadio rudimentale del puro colorismo bizantino e di esprimere sinteticamente (in guisa cioè da produrre nello spettatore un godimento unitario) forma e colore. In che modo? Non certo aggiungendovi la linea che come ho detto ci distrarrebbe inevitabilmente dal colore, servendosi piuttosto di una alleanza del colore con la forma a piani (stile prospettico di forma); la forma a piani non ha contorno di valore lineare ma controno sintetico e come tale indifferente (il contorno dell’”Annunziata” di Antonello è…un triangolo); non si tratta perciò che disporre sui piani, dove il chiaroscuro sia ridotto al minimo per la chiarità solare ed aperta, la sostanza del colore, distesa.

Una strada a casamenti regolari come forma prospettica ci appare come una piramide cava – come colore ci appare come un accostamento di quattro triangoli opposti al vertice, per coppie, e di vario colore: due rosa, un grigio, e un azzurro, poniamo.

Complicate a piacimento la composizione prospettica di forma-colore: ingombrate la strada di viandanti, il cielo di nubi: ogni cosa subirà istantaneamente l’imperativo del sintetismo prospettico: le nubi fasceranno di bende bianche l’azzurro del cielo, i viandanti chiazzeranno di vesti variegate il grigio del terreno; ma ogni cosa si subordinerà in modo entro i piani (forma) variegati (colore) così da dotare l’opera della magia inesplicabile di apparire ad un tempo massima profondità (forma) e massima superficie (colore). La magia appunto della “Battaglia” di Sant’Egidio di Paolo Uccello, delle opere di Piero dei Franceschi e dei più grandi pittori veneziani – Giovanni Bellini, ad esempio.

Sebbene io vi esorti a intendere cum grano salis questa divisione da me compiuta degli stili pittorici capitali, e sia il primo ad affermarne la relatività, attribuisco ad esso un valore di orientamento e di illuminazione iniziale, tuttavia; e spero che avrà servito da sola a sfatare in voi il radicato pregiudizio – luogo comune di tutta la demagogia critica – che un’opera per essere bella abbia ad essere ben disegnata e ben colorita ben chiaroscurata e molt’altro, insieme. Voi comprenderete ormai che un’opera ben disegnata può star contenta in ciò, e non desiderare un colorito che insolentirebbe il disegno; e così di seguito per le altre pretese necessarie qualità della perfetta opera d’arte.

(…)

 

Tratto da:

“Breve ma veridica Storia della Pittura Italiana”

scritta il 4 luglio del1914 aRoma

per i corsi di storia dell’arte dei Licei Tasso e Visconti

da Roberto Longhi

edizione Bur, Biblioteca Universale Rizzoli, 2000, Milano

 

 

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