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Sul licenziamento di Corinne Diserens

Riflessione al vetriolo

Allarme: hanno licenziato, con effetto immediato Corinne Diserens, direttrice del neonato Museion di Bolzano. E chi se ne frega! Infuria, si fa per dire, la polemica. C’è già chi intravede un nuovo minculpop, vista l’invadenza politica in vicende culturali come questa e la recente nomina dei direttori del padiglione italiano per la prossima Biennale di Venezia ma, in un momento come questo di colbertismo imperante in settori ben più strategici, non mi pare che le sopradette decisioni mettano in pericolo la vita e la libertà della nazione. Per quel che riguarda la direttrice, lo “scandalo” nasce perché la revoca del suo mandato viene legata alla vicenda concernente l’esposizione della rana crocefissa di Martin Kippenberger, opera che avrebbe solleticato negativamente l’umore di non pochi abitanti. E se anche fosse? Ma così non è o almeno non solo. O bella, se l’incarico è pubblico chi mai dovrebbe revocarlo? Forse il board di una società, ancorché pubblica, non può licenziare un suo dirigente per divergenze, diciamo, editoriali? E per favore non si accampino censorie ingerenze bigotto-cattoliche, con conseguente straccio di vesti e allarme democratico, a difesa della laicità! Non ricordo nessun “glamour-fighetta” alzare la testa di fronte a ben altre e ben più minacciose, quelle sì, invadenze teologiche. È proprio di ieri la notizia che Concita De Gregorio la direttrice de L’Unità -non del Secolo d’Italia- ha soppresso d’imperio la rubrica di Fulvio Abbate, un vecchio collaboratore del giornale, reo di aver rilasciato un’intervista, peraltro di sapore ironico ma di tono antiveltroniano. Si può dissentire, protestare ma non è censura, rientra assolutamente nelle prerogative del direttore. Credo invece che la Diserens sia stata “vittima della tempesta perfetta” e che la revoca del suo mandato, perché di questo si tratta e non di censura, sia dovuta ad una straordinaria confluenza metereologica che ha riunito in un sol luogo e momento la débacle elettorale della SVP e la conseguente emersione di buchi di bilancio nella conduzione economica del museo. Che ha realizzato un progetto culturale sostanzialmente estraneo alle tradizioni ed alla cultura locale, condotto con saccente arroganza, senza il minimo compromesso che evidentemente gli “indigeni” non hanno gradito. Ma la parte peggiore nella commedia se la sono riservata gli amministratori pubblici e non la direttrice che in fondo ha realizzato, più o meno bene, quello per cui era stata chiamata. Sono ben loro, gli amministratori pubblici, che hanno dato vita al costosissimo Moloch, finanziariamente esigentissimo sia in fase di realizzazione che in quella di conduzione, che si è rivelato evidentemente ingestibile. In nome di una modernizzazione culturale che vede nell’arte contemporanea la punta di diamante di un brand comunicativo -pensa un po’ a cosa è ridotta l’arte!- questi improvvisati impresari arrivano da buoni ultimi, a ciclo ormai concluso, a realizzare progetti provinciali e kitch. Tanto paga Pantalone! Si potrebbe aprire il capitolo dello scandalo delle regioni a statuto speciale ma vi risparmio! Concedetemi l’ultimo sassolino -sarò breve- circa le nomine per la Biennale. Sonoanch’io dell’avviso che la politica dovrebbe ritirare le sue zampacce dall’ente, ma quando mai non le ha messe? Chi si è dimenticato di quando esistevano ancora i vecchi partiti (pci dc psi) che si spartivano cencellianamente le cariche relative alle tre discipline, cinema, arte e architettura? Solo in seguito all’implosione di quel mondo la mano pubblica si è un poco distratta, non ritirata, col bel risultato che qualcuno ha pensato bene di far sparire il padiglione italiano. Per cui se il minculpop lo ripristina, il padiglione, ben venga.
in punta di pennino
il Vostro LdR

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