Negli scorsi mesi si è animato un proficuo ed interessante dibattito sui giornali italiani a seguito dell’uscita dell’ultimo bel libro di Pierluigi Battista, noto editorialista del “Corriere della Sera”, I conformisti, l’estinzione degli intellettuali d’Italia (Rizzolieditore).
Non starò qui immodestamente ad unirmi alla cordata di illustri commentatori che hanno discettato circa la arguta polemica sollevata dall’autore, incentrata principalmente sui complessi rapporti tra elaborazione intellettuale e politica, da cui discende l’abitudinaria piatta adesione nei confronti delle opinioni e dei tic della maggioranza, anche perché esula dalle mie povere specifiche competenze. Devo però confessarvi che la declinazione del conformismo in sopravvalutazione, operata da Pietrangelo Buttafuoco su Panorama del 15 aprile scorso, sempre a commento dell’interessante libro di Pierluigi Battista, ha insufflato un leggero zefiro nella finestra aperta della mia mente. Sparpagliando fogli depositati e risvegliando in me vecchi pensieri che la parola “Sopravvalutazione” evoca E inducendomi a spingere la declinazione di conformismo in millantato credito, da attribuire non solo al variegato ambito politico-giornalistico e letterario, ma includendo nella categoria anche i maître a penser, i guru, gliuntouchable del dorato pantheon artistico. Personaggi protetti da una impenetrabile nube di Athena alimentata dal fiato dei corifei intellettuali che “cantano” parole d’ordine che, ripetute come mantra, formano quella spessa coltre di opinioni che dai piani “nobili” dei salotti chic scende giù fino alle loges des consierges e da lì come spore si spandono nell’aere frasi del tipo “è importantissimo, ha anticipato tutti..” oppure “ha messo in crisi lo spazio”… mah!
Sì, di millantato credito si tratta quando vi recitano le solite paroline tipo, significato metalinguistico, spiazzamento semantico, de/o/-contestualizzazione, citazione linguistica… e state pur certi che la “sòla” si avvicina e vi faranno credere che una foto estrapolata da una fortunata campagna pubblicitaria sia un capolavoro dell’arte. Oppure tenteranno di persuadervi che un inutile e noiosissimo video sia stupendo stordendovi con un ricchissimo colophon, manco fosse un film di Spielberg. Potrei dilungarmi e raccontarvi di famose e ricche damazze completamente sedotte dal vezzoso e un po’ sulfureo aroma ammaliatore del Grande Ricamatore che argutamente posiziona nei piani alti della comunicazione il suo brand infarcito di miti post pop da shampista di provincia. Che dire poi dei pensatori che ormai riciclano da anni lo stesso testo cambiando il titolo e la dedica a seconda della bisogna. O di chi poggia la propria consolidata fortuna per aver imposto linguaggi e pratiche artistiche che il tempo ha svelato essere vere mistificazioni in salsa ideologica che soltanto un branco di sotto-cicisbei storditi dal birignao salottiero scambiano ancora per irrinunciabili opere dello spirito!
Bon, Madamina il catalogo è questo … osservate, leggete con me. In Italia seicento e quaranta; in Allemagna duecento e trentuna. Cento in Francia; in Turchia novantuna;
Ma in Ispagna son già mille e tre…
Ma poiché siamo felici nella nostra pelle e inguaribilmente di buon umore ce ne strafottiamo di tutto ciò e vi dedichiamo questo calzante siparietto.