Ora che i nostri eroi della pedata sono tornati a casa si sprecano i commenti che vedono nell’inetta partecipazione della nostra seleçâo lo specchio dell’Italia e dei suoi vizi e difetti tipo mancanza di meritocrazia, prevalenza delle camarille gerontocratiche, mancanza di “fame” sia spirituale che materiale e chi più ne ha più ne metta.
Tutte osservazioni un poco obbligate, ma che un fondo di verità lo contengono. Allora per non rimanere indietro mi proverò anch’io a dire la mia, non di calcio di cui non comprendo un beato cacchio ma, azzardando, concedetemelo, un ardito parallelismo tra lo spappolamento caratteriale dei nostri giocatori ed il corrispondente sfarinamento di una coscienza estetica che deriva dalla nostra gloriosa tradizione.
I club nostrani e non solo, costretti dall’esasperazione competitiva ed economica ad una spasmodica ricerca dei meglio gladiatori sparsi per il mondo, per poter partecipare da protagonisti ai gironi delle competizioni internazionali -unico modo per attirare sponsor e diritti televisivi per alimentare quell’incredibile macchina mangiasoldi che è divenuto “il mondo del calcio”- non coltivando più i propri vivai, finiscono per trasformarsi in una sorta di Crono che divora i propri figli anzi, manco li fa crescere. Così si decostruiscono le nazioni e le nazionali, come le giacche, informali, casual, e ci si ritrova tutti in mutande, naturalmente diversamente firmate. E visto l’effetto Francia, non pensate di cavarvela col multiculturalismo integrativo per rinvigorire gli spiriti: l’implosione centrifuga che ha dissolto la nazionale transalpina è la stessa che la sta mordendo dall’interno delle sue sfasciate banlieues.
Bon, tornando a bomba, all’ardito parallelismo con l’estetica, che significa anche appartenenza e coscienza delle proprie tradizioni storico e culturali e non le sue continue negazioni, che diavolo volete aspettarvi da una nazione le cui élites, sia economiche che intellettuali, sono per l’appunto nel pallone e, come provinciali vergognosi, rifuggono la propria memoria e tutto il ben di Dio che ci è stato tramandato e si innamorano perdutamente di opere di prezioso marmo trasformato in un gigantesco stronzo come quello, fresco fresco, esposto alla Biennale di Scultura di Carrara?
Badate, non è un problema marginale o per addetti ai lavori, è una questione centrale, anzi vitale, perché la coscienza che ha di sé un popolo, una nazione, un continente -l’Europa- sono determinanti per la su sopravvivenza. Tutto questo sciogliersi nell’indistinto e liquido post-modernismo che resetta ogni appartenenza per consegnarci all’indistinto è letale.
Suggerirei al trendyssimo Paul McCarthy, lo stesso che espone a Milano alla FondazioneTrussardi, di cimentarsi alchemicamente al contrario, vale a dire trasformare uno stronzo in marmo o, se proprio gli riesce difficile, provare con un autoritratto, potrebbe bastare!
E visto che per seguire i dettami del contemporary l’abbiamo buttata sul coprofilo, per riequilibrare ed in omaggio alla gloriosa tradizione toscanaccia da Vernacoliere vi consigliamo questo filmatino culi-nario.
in punta di pennino