D’accordo. Siamo a Vila Borghese. In più, nevica come non fu mai negli ultimi 25 anni.
L’altorilievo di Marco Curzio a cavallo, restaurato e integrato dal padre di Gian Lorenzo, Pietro Bernini, è lì da secoli, indifferente alla magione e alle intemperanze metereologiche. Nel Salone d’ingresso del “più bel museo del mondo”, l’eroe che si sacrificò per il popolo romano gettandosi nella voragine, lo sguardo corrusco fra il timore dell’ignoto e la disperazione del coraggio, sembra voler strapparsi dagli intonaci riccamente affrescati a colonne marmoree e grottesche. Ma è il cavallo a ritrarsi, in uno scarto drammaticissimo, l’occhio roteante e atterrìto, deciso a rimanere ben fermo ancorato alla sua sede a sei metri d’altezza sopra il varco che reca alla Sala degli Imperatori. Sublime.
Penso al povero cavallo decollato a grandezza e pelame naturali di Cattelan, indecentemente a penzoloni dai muri meno nobili di qualche collezionista danaroso e incolto e mi viene da ridere. Il paragone è incongruente, anti-storico e fuori luogo. Ma: come evitarlo?